Umanità Nova, numero 10 del 19 marzo 2006, Anno 86
I fatti
Doveva essere la giornata della riconquista della piazza da parte delle antifasciste e degli antifascisti milanesi: a pochi giorni dall'anniversario dell'assassinio di Dax per mano fascista, in maniera determinata e decisa si sarebbe dovuto impedire ai fascisti della Fiamma Tricolore di sfilare per le strade cittadine sventolando i vessilli e gridando i loro slogan intolleranti e carichi di odio.
È finita invece peggio di quanto non si potesse neanche immaginare: una dura repressione da parte delle forze del (dis)ordine che ha portato all'arresto di 41 tra compagne e compagni.
Circa quattrocento sono stati gli antifascisti e le antifasciste che hanno risposto agli appelli alla mobilitazione e che alle dodici e trenta si sono presentati in Piazza Lima determinati a raggiungere piazza Oberdan dove alle 15 era previsto il concentramento della manifestazione neofascista.
Qui un numero spropositato di agenti presidiava la piazza fin dalle
prime ore del mattino facendo intendere chiaramente che i fascisti
avrebbero sfilato a qualunque costo.
Alla vista dei manifestanti poliziotti e carabinieri hanno cominciato
un fitto lancio di lacrimogeni nel tentativo di disperdere i
manifestanti che sono riusciti a resistere alle prime cariche erigendo
delle barricate con fioriere, cestini, cassonetti e alcune automobili.
Queste però non sono servite quando la polizia ha effettuato l'ultima carica sparando in aria centinaia di lacrimogeni: il corteo è stato spazzato via e i manifestanti dispersi in diversi gruppi.
Subito dopo è cominciato il rastrellamento da parte di poliziotti e carabinieri: androni, bar e negozi della zona sono stati setacciati a fondo portando al fermo di 43 compagne e compagni.
Anche se i mezzi d'informazione hanno accentuato l'attenzione su presunti tentativi di linciaggio da parte della "folla inferocita", non sono mancati gli episodi di solidarietà da parte di cittadini che hanno accolto nelle loro case alcuni manifestanti, dandogli rifugio dalla polizia.
Due ore dopo, protetti da poliziotti e carabinieri un centinaio di fascisti ha svolto il proprio corteo inneggiando tranquillamente al fascismo e all'odio razziale.
Durante il corteo, gli stessi questurini che tanto zelantemente poco prima avevano difeso "l'ordine democratico" e il "diritto di tutti a manifestare liberamente le proprie opinioni" hanno finto di dimenticare il reato di apologia del fascismo.
La notizia, giunta in serata, della conferma degli arresti di 41 compagne e compagni, ha chiuso una giornata da dimenticare per il movimento milanese.
Le accuse nei loro confronti sono pesantissime: devastazione, saccheggio, incendio, resistenza a pubblico ufficiale.
Nella giornata di domenica si è svolto un presidio di
solidarietà sotto il carcere di S. Vittore per chiedere la
liberazione delle compagne e dei compagni.
Il commento
È sempre facile, osservando avvenimenti come quelli successi sabato scorso a Milano, emettere giudizi, siano essi di giustificazione o di condanna. Ma tutto questo ci porterebbe ben poco avanti. L'importante è piuttosto capire cosa c'è dietro l'avvenimento e che tipo di insegnamento da esso si può ricavare. Per andare avanti con più forza e consapevolezza.
Innanzitutto occorre analizzare la situazione milanese, dominata da anni da una politica di destra, più o meno marcata, caratterizzata dal craxismo, dal leghismo, fino alla giunta attuale dei fascioforzaitalioti. Una politica che ha scavato nel profondo questa città, proprio nel momento in cui le grandi concentrazioni operaie venivano dissolte a forza di ristrutturazioni e delocalizzazioni per lasciare spazio ad un'affermazione del terziario, elemento di forza di una fase del berlusconismo. A questa destra la sinistra istituzionale non ha saputo che contrapporre politiche e candidati "deboli" fino ad arrivare a quello attuale, l'ex prefetto della città, a conferma della trasformazione di questo schieramento in formazione di ordine e legalità: il "farsi Stato", indipendentemente da ogni analisi e politica solo vagamente classista.
Contemporaneamente, in coincidenza anche con la scomparsa fisica dei vecchi partigiani, si è andato sfaldando il fronte antifascista che, pur con una forte caratterizzazione istituzionale, aveva contraddistinto le mobilitazioni contro la Strage di Piazza Fontana ed il terrorismo fascista degli anni '70. Le riconversioni seguite poi alla caduta del muro di Berlino e a "tangentopoli" hanno progressivamente favorito l'abbandono di gran parte del bagaglio ideologico dei partiti di sinistra, trasformati definitivamente in comitati d'affari, e lo spostamento dell'asse politico della città verso politiche liberiste, ridando nel contempo l'occasione alla destra di marca fascista di riprendere significativi spazi d'azione politica.
In questo contesto le numerose aggregazioni giovanili che si sono formate in quegli anni hanno rappresentato, insieme all'esperienza del sindacalismo di base, un'importante barriera contro l'omologazione strisciante e l'integrazione in logiche di puro mercantilismo, recuperando all'azione sociale strati significativi di popolazione. Aggregazioni che nel tempo hanno dovuto fare i conti con politiche del lavoro altamente disgregative imperniate sul precariato, con la carenza di soluzioni abitative possibili e praticabili, con un'iniziativa nazifascista sempre più aggressiva, con sgomberi e repressioni poliziesche, con le problematiche dell'immigrazione, con le seduzioni di una politica d'opposizione in chiave istituzionale, come quella proposta da Rifondazione.
In questo contesto si è potuto registrare la revisione politica di "Centri sociali" significativi come quello del Leoncavallo, ma non solo, accentuata dopo i fatti di Genova; revisione che ha comportato una loro successiva istituzionalizzazione ed un deciso allontanamento dalle posizioni precedenti che si rifacevano all'esperienza, variegata, dell'Autonomia, e alle pratiche dell'azione diretta.
Altre aggregazioni, invece, hanno conservato i valori delle proprie origini cercando di veicolarle nelle generazioni a seguire.
Una conseguenza di questa divaricazione è stata sicuramente quella della perdita progressiva della propria capacità di aggregazione; perdita che ha contraddistinto le varie anime del movimento, favorendo la nascita e lo sviluppo di logiche di setta, di processi di atomizzazione, che trovano sempre più difficoltà di sintesi, soprattutto sui temi dell'uso della forza e, conseguentemente, della lotta al fascismo, considerata da alcuni come vera e propria cartina di tornasole della propria "coerenza" e del proprio "valore". Non a caso un significativo momento di polemica attuale è stata la concomitanza della manifestazione antiproibizionista di Roma con l'iniziativa antifascista di Milano, con le reciproche accuse che ne sono seguite.
La crescente aggressività dei fascisti, supportata da addestramento specifico nelle palestre e dal sostegno di settori delle forze del (dis)ordine, coltivata in molte curve del tifo calcistico, utilizzata dai settori istituzionali della destra, viene registrata e subita da una parte, con sempre più preoccupazione, diventando l'elemento primario della propria attività, mentre dall'altra viene sottostimata, individuando nell'insieme delle forze di governo, il vero, e moderno, autoritarismo montante.
La manifestazione di Milano, indetta con un documento da un'assemblea antifascista tenutasi alla Pergola, in risposta alla provocatoria sfilata dei nazifascisti di Fiamma Tricolore, rientrava nel tentativo di dare una energica risposta di piazza alle numerose aggressioni che i fascisti hanno compiuto negli ultimi anni in Lombardia - a partire dall'assassinio di Dax - e che i media si sono ben guardati dal documentare e tanto meno dall'esecrare. Un generoso tentativo, del tutto volontaristico, di richiamare l'attenzione sul pericolo che queste formazioni rappresentano, tentativo che si è però scontrato con la scelta di quella parte del movimento che ha sfilato a Roma contro la legge antiproibizionista e con l'ostilità di tutta la sinistra istituzionale.
Con la loro manifestazione questi compagni e compagne -
consapevolmente o meno - hanno di fatto messo a nudo la profonda
lacerazione esistente in quello che resta del movimento, un movimento
carente ormai di strutture, di un comune sentire, di un tessuto
connettivo, di assemblee unitarie, anche e soprattutto su scala
cittadina. Ed è questo il dato su cui riflettere se si vuole
mantenere viva una proposta che non sia immediatamente riconducibile
all'istituzionalizzazione di ogni forma di resistenza e di
contestazione.
Il resto è quello che viviamo oggi: la campagna di
criminalizzazione dei media, le prese di distanza e le condanne dei
compagni di una volta, l'opportunismo elettoralista dei partiti che si
dicono antifascisti, i processi e la repressione, la prospettiva di un
nuovo riflusso.
E questo mentre un centinaio di nazifascisti, innalzanti bandiere repubblichine e ordinoviste, sfilano inneggiando al loro duce; il questore afferma la piena legittimità di una manifestazione puramente apologetica del fascismo; Berlusconi li definisce a pieno titolo suoi alleati. Succede anche questo in una Milano che sembra sempre più senz'anima.
AA.VV.