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Umanità Nova, numero 10 del 19 marzo 2006, Anno 86

Immigrazione: il programma dell'Unione
Tutto cambi perché tutto resti come prima


Nove pagine "per una immigrazione governata". A tanto ammonta il prodotto dello sforzo redazionale di chi ha curato il tema dei flussi migratori nel programma elettorale de L'Unione. 

Cinque brevi paragrafi che riassumono analisi del fenomeno migratorio, la sua gestione in ambito europeo e internazionale, la regolamentazione giuridica che viene proposta, le politiche di soggiorno e cittadinanza e la questione della tutela del diritto di asilo.
Tutto il documento si fonda essenzialmente sul concetto dell'integrazione e dell'assimilazione. Il capitolo si intitola significativamente "Migranti e nuovi italiani", tanto che il ragionamento sulla garanzia dei diritti dei migranti è sostenuto dalla necessità di riconoscere un nuovo tipo di cittadinanza (che prevede diritti e doveri uguali per tutti) a chi, pur non essendo nato in Italia, vive e lavora nella società italiana. 

Ci sono molte contraddizioni politiche e concettuali in questo programma. Da un lato si critica la legge Bossi-Fini e la sua filosofia di fondo che lega la possibilità di permanenza in Italia di un immigrato alla sua reale capacità produttiva, ma allo stesso tempo si riconosce in più punti che gli immigrati sono una "risorsa preziosa" perché pronti "ad assecondare le esigenze del lavoro, spostandosi sul territorio tre volte più spesso dei nostri connazionali".

L'Europa viene invocata a gran voce come soggetto sovranazionale capace di stabilire regole uniche nel trattamento dei flussi migratori. In particolare, si rispolvera il Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999, in cui furono individuate diverse priorità quali la gestione dei flussi, un regime comune in materia di asilo e il partenariato con i Paesi d'origine. Vien da chiedersi il perché tali buoni propositi non furono presi in considerazione quando nel 1999, il Centrosinistra era al governo e le frontiere italiane mietevano le loro prime vittime in mare e nei CPT.

Probabilmente perché quel governo era troppo occupato ad applicare il vero volto della politica comunitaria, fondato sulla chiusura dei confini e la repressione.

Il nuovo patto tra lo stato italiano e i cittadini stranieri verte su una semplificazione dell'accesso al permesso di soggiorno e all'ingresso regolare in Italia imparando la lezione dagli esiti fallimentari della Bossi-Fini, la quale è considerata "restrittiva e repressiva oltre ogni necessità" (ci chiediamo allora quali saranno i termini delle nuove necessità repressive).

A dispetto di una lodevole premessa secondo la quale i migranti "sono prima di tutto persone, che cercano di costruire un proprio progetto di vita", gli estensori del programma de L'Unione intendono migliorare i meccanismi di ingresso e stabilizzazione tramite l'introduzione del permesso annuale per ricerca di lavoro "da rilasciare in seguito a prestazione di precise garanzie economiche". Come se non bastasse, viene riproposta la "reintroduzione della figura dello sponsor, privato, imprenditoriale o istituzionale".

Sono posizioni gravissime, che ripropongono - tali e quali - le medesime premesse sulle quali la Bossi-Fini ha inasprito l'impianto giuridico della Turco-Napolitano.

Ancora una volta, l'immigrato può godere dei diritti solo in funzione della sua capacità produttiva e delle garanzie economiche che può esprimere.

Nello stesso paragrafo ("Vie legali per l'immigrazione"), si propone un chiaro invito alla delazione generalizzata in cambio della tutela giuridica: l'idea è quella di introdurre "misure premiali per gli irregolari che collaborino con le autorità per individuare e sanzionare i trafficanti e gli sfruttatori del loro lavoro" e, in particolare, "prevedere sanzioni limitate e un meccanismo premiale per l'immigrato irregolare che collabora all'identificazione e al rimpatrio".
Lungi da noi il voler concedere copertura a mafiosi, schiavisti o sfruttatori, ma queste proposte assomigliano troppo al vecchio gioco del bastone e della carota che può essere molto efficace se applicato sulla pelle dei migranti bisognosi di stabilità. Si tratta di un esplicito invito a demolire ogni solidarietà di classe individuando all'occorrenza un capro espiatorio da accusare e reprimere. Il rischio c'è, ed è concreto.

Per quanto riguarda il dispositivo più odioso del razzismo di Stato, l'Unione propone di "graduare le misure di espulsione, modulandole sul grado di integrazione e situazione personale". Rabbrividiamo nel pensare ai parametri che verrebbero usati per stabilire chi è abbastanza integrato e chi no. 

La doppiezza politica raggiunge il punto più alto sulla questione dei Centri di Permanenza Temporanea per i quali si prevede un non meglio precisato "superamento".

È poi sibillino il riferimento alla dotazione di "strumenti efficaci per assicurare l'identificazione degli immigrati e il rimpatrio di quanti vengono legittimamente espulsi". Poco prima, leggendo tra le righe, l'ambiguità lascia spazio a un sinistro déjà vue: tra le misure efficaci per il contrasto all'immigrazione clandestina vi è la necessità di "utilizzare misure di sorveglianza di pubblica sicurezza dove il trattenimento non sia necessario".

Se dunque sono contemplati alcuni casi in cui non c'è bisogno del trattenimento, significa che il trattenimento è pienamente previsto come dispositivo repressivo di ordine generale. E se, infine, non viene detto chiaramente che i CPT saranno chiusi abbiamo ragione di credere che la situazione attuale resterà immutata.

Alla fine, tenendo conto che gli immigrati "giocano un ruolo attivo e importante nel mercato del lavoro", bisognerà riconoscere loro diritti e doveri essenziali in termini di riconoscimento di cittadinanza (diritto di voto), stato sociale, sanità e istruzione. Per concludere, viene promessa una "legge organica di attuazione dell'articolo 10 della Costituzione" per garantire il diritto d'asilo. Ma anche in questo caso bisognerà introdurre "meccanismi che consentano una reale capacità di identificare il richiedente e di distinguere tra richiedenti asilo e migranti per motivi economici". Sembra proprio quindi che neanche i famigerati centri di identificazione saranno messi in discussione da un eventuale governo di Centrosinistra.

Sia chiaro. La finalità di questo articolo non è quella di esprimere un parere funzionale alla campagna elettorale. Non abbiamo parlato della Bossi-Fini e del programma di governo della Casa delle Libertà in materia di immigrazione per il semplice motivo che cinque anni di destra al governo sono stati più che sufficienti per giudicare e contrastare il portato razzista, xenofobo e criminale della loro azione amministrativa. 

La nostra modesta analisi del programma de L'Unione serve a togliere dall'imbarazzo quanti ancora in Italia sperano o pensano che un cambio di governo possa rivelarsi decisivo per le sorti dell'agibilità umana e politica degli immigrati, delle loro comunità e dello stesso movimento antirazzista.

La doppiezza e l'ambiguità di questo programma nascondono malamente una strutturale incapacità di dare risposte soddisfacenti a chi ha sempre lottato per la libertà di circolazione di tutte e di tutti. Chiunque governerà, non potrà che rappresentare interessi diametralmente opposti a quelli di chi vive giorno per giorno lo sfruttamento e la precarietà, italiano o immigrato che sia.

Il rischio è quello di trasformare le lotte di anni in uno sterile serbatoio di voti da sfruttare a uso e consumo della canea elettoralistica. Fare chiarezza non è solo un nostro dovere, ma è un atto di rispetto verso ogni immigrato imprigionato, torturato, discriminato, sfruttato o ammazzato dalle leggi e dagli apparati di repressione dello stato italiano.

Sappiamo chi ha varato la Turco-Napolitano e conosciamo chi ha messo in piedi la Bossi-Fini.

La nostra scelta è irriducibile e alternativa, e passa attraverso la lotta, l'autorganizzazione e l'azione diretta. 

Alla libertà attraverso la libertà.

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