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Umanità Nova, numero 10 del 19 marzo 2006, Anno 86

Le ragioni dell'astensionismo anarchico 4
Diserta le armi, diserta le urne!


In tutti i Paesi, almeno d'Europa, la situazione era la stessa, anche la differenza fra guerrafondai e neutrali era quasi del tutto scomparsa.
(H. Hesse, Se la guerra continua)


Sicuramente, la stragrande maggioranza di quanti continuano ad esporre la bandiera della pace dai propri balconi, così come di coloro che manifesteranno a Roma il 18 marzo nella Giornata internazionale contro la guerra, sceglieranno di votare per il centro-sinistra, ritenendo più o meno in buona fede che una sua vittoria elettorale ed un suo conseguente governo possano fermare le politiche di guerra e le derive militariste che hanno coinvolto in questi anni anche la società italiana.

Il fatto che un governo di centro-sinistra, con D'Alema quale allora presidente del consiglio, sia già passato alla storia nel 1999 per aver partecipato attivamente alla guerra della Nato in Kosovo, rendendosi responsabile di bombardamenti che hanno seminato la morte anche tra la popolazione civile serba, dovrebbe indurre a qualche riflessione critica sul "pacifismo" delle sinistre governative; ma pur volendo consegnare tale verità scomoda al passato, bisogna osservare che il presente e il futuro anticipati dal Programma di governo dell'Unione non appaiono meno inquietanti.

Dopo aver letto, le 280 pagine di tale documento, intitolato "Per il bene dell'Italia", ogni dubbio a riguardo viene meno, dato che la continuazione delle attuali linee dell'interventismo "di pace" e "contro il terrorismo" risultano confermate nero su bianco.

Ancora una volta, così come è stato con il governo delle destre, i mandati dell'Onu e la fedeltà alle alleanze (leggasi Nato e Unione Europea) diventano la copertura di ogni possibile missione di "polizia internazionale", confermando peraltro l'Italia "alleato leale degli Stati Uniti"; posizione quest'ultima ribadita dallo stesso Prodi che, appena la settimana scorsa, ha confermato che "Non abbiamo nessun problema a cooperare in modo fattivo con gli Stati Uniti".

Tragica identità di vedute col centro-destra anche sul nemico che "minaccia l'insieme delle società del mondo contemporaneo", individuato nel terrorismo internazionale "mosso oggi, in primo luogo, da un feroce fondamentalismo".

Partendo da tale visione, l'unica apparente concessione "pacifista" è quello attorno al ritiro delle truppe italiane dall'Iraq; ma anch'esso appare del tutto compatibile e concordato con i vertici di Washington, nell'ambito di uno sganciamento progressivo delle forze militari occupanti. Eloquente questo passo del Programma: "Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari, definendone, anche in consultazione con le autorità irachene, al governo dopo le elezioni legislative del dicembre 2005, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite", ossia niente di più o di meno della linea anticipata anche dall'attuale esecutivo berlusconiano.

Ambiguità tutta dimostrata dal passo del Programma in cui viene affermato che "In coerenza con il principio del multilateralismo, riteniamo necessaria la internazionalizzazione della gestione della crisi irachena, con una netta ed evidente inversione di rotta da realizzarsi con la presenza di una autorità internazionale (Onu) che superi l'attuale presenza militare e che affianchi il governo iracheno nella gestione della sicurezza, del processo di transizione democratica e della ricostruzione": ossia che, seppure sotto l'egida delle Nazioni Unite, si conferma l'opzione interventista nei confronti della situazione irachena.

Ma se nel documento programmatico dell'Unione l'Iraq risulta menzionato otto volte (più una come "Irak", segno che è stato stilato da più mani), l'Afganistan - così come l'intervento militare italiano nei Balcani - non è citato neppure una volta, ad ennesima conferma che il centro-sinistra, una volta al governo, rinnoverà l'impegno militare italiano a Kabul e a Herat nell'ambito della missione Isaf-Nato, così come da tempo ha anticipato Prodi.

Eppure, ogni giorno che passa, è sempre più evidente che l'Afganistan resta un teatro di guerra e che tutte le forze militari straniere vi svolgono un ruolo d'occupazione e ottusa repressione che stride con i proclamati intenti pacificatori e umanitari; ruolo destinato, in tempi ravvicinati, a vedere anche i circa 2 mila militari italiani coinvolti direttamente in un conflitto senza sbocco. Settimana dopo settimana, aumentano infatti le azioni della guerriglia contro il governo-fantasma di A. Karzai e gli attentati ai danni delle truppe occupanti che lo difendono; eppure l'Unione vuole continuare la guerra già persa dagli Stati Uniti, e nemmeno la sua "sinistra" (Prc, Pdci, Verdi) sembra rendersi conto del tunnel imboccato. Solo nell'ultima settimana si segnalano vari attacchi contro unità dell'Isaf, con vittime tra i militari canadesi e francesi; mentre elicotteri da combattimento pakistani hanno colpito le zone tribali sulle montagne, tradizionale roccaforte della guerriglia talebana, al confine con l'Afganistan. 

D'altra parte è pur vero che l'indirizzo dell'Unione è del tutto in sintonia con quello dei governi europei "di sinistra" (da Blair a Zapatero), impegnati ad aumentare i propri contingenti militari in Afganistan, nell'illusione di poter acquisire tale area in vista di futuri tornaconti per il capitalismo europeo.

La scelta anarchica dell'astensionismo è solitamente accusata di essere un'inconsistente forma di rifiuto eppure, guardando proprio ai contratti e ai programmi elettorali delle due coalizioni, disertare le urne appare l'unica scelta coerente per disertare la guerra.

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