Umanità Nova, numero 10 del 19 marzo 2006, Anno 86
Non so se sia inscritto nel mio codice genetico femminile oppure no, però tendo sempre a cercare di capire le azioni degli altri, a cercarne una ragione, una spiegazione, e, quando si rivelano sbagliate, anche una attenuante.
Sto notando però che c'è chi mi supera con grande vantaggio, soprattutto quando si tratta di difendere i propri simili.
È il caso del paracadutista statunitense che, a Vicenza, dopo
aver legato, picchiato, stuprato violentemente una giovane donna, si
è visto ridurre la pena perché "era appena tornato dalla
guerra in Iraq" e quindi non era in grado di distinguere con chiarezza
il bene dal male.
In poche parole: hai stuprato una donna, le hai rovinato per sempre la
vita ma avevi qualche giustificazione. Ed infatti è proprio
così...
Se addestri un cane ad attaccare chiunque entri nella tua proprietà, di chi poi sarà la colpa quando addenterà un bambino entrato nel cortile per caso?
La guerra genera mostri: addestra ad uccidere, a non distinguere il bene dal male, a non dare significato e valore alla vita. Ma, finita la guerra, o anche solo accantonata per un attimo, i lupi rimangono in libertà e sono affamati.
Da sempre affermiamo che la guerra porta alla devastazione delle coscienze e ci fa piacere vedere riconosciuto questo principio, anche se sembra quantomeno ipocrita riconoscerlo solo in alcuni casi. Allora qual è la verità? Chi fa la guerra è un eroe o un disadattato?
Troppo spesso vediamo cercare giustificazioni ed attenuanti solo da una parte. Dall'altra si cercano le colpe; infatti le prime domande poste riguardo la donna sono state "Forse lei era una prostituta?"
Troppe volte vi è il rovesciamento delle parti: la donna diventa colpevole e l'uomo diventa vittima delle circostanze. Ma per chi crede nella responsabilità individuale, nulla e nessuno può giustificare un'azione ignobile.
r. p.