Umanità Nova, numero 11 del 26 marzo 2006, Anno 86
Poiché è una di quelle immagini che non si possono dimenticare, non starò a rievocare il mento volitivo e lo sguardo ispirato e rivolto a un radioso futuro, che George W. Bush sfoggiò, una mattina di quasi tre anni orsono, sul ponte di una portaerei nel mare del Golfo. Intappato in una tuta militare fresca di lavanderia, l'ex imboscato eccellente e attuale presidente degli Stati Uniti d'America annunciava al mondo intero: "Missione compiuta", intendendo, con quella frase da filmaccio di terza categoria, che "il lavoro era fatto" e che la guerra con l'Iraq era stata vinta. E quindi conclusa.
Conoscendo per sentito dire la condivisa opinione che si ha in America dell'intelligenza di George W. Bush, ritenuta seconda solo a quella di Pippo, fu lecito pensare che l'establishment politico-militare che governa veramente la più grande potenza mondiale avesse scelto un genio come lui, per fargli dire e fare quelle cose che a una persona normale sarebbe altrimenti scappato da ridere. Ve li immaginate, infatti, dei cinici volponi come Cheney o Rumsfeld sputtanarsi a quel modo? Affacciarsi su una nave e dire che era già tutto finito? Con che faccia avrebbero potuto presentarsi, il giorno dopo, di fronte all'ultimo dei camerieri dei loro esclusivi club di Washington? Su, andiamo! Piuttosto ci voleva un utile idiota che accettasse la parte a cuor contento, e l'utile idiota era lì a portata di mano e impaziente di mettersi in mostra. Perché dunque farselo scappare? E infatti il presidente della più grande potenza del mondo, l'uomo più potente sulla terra, ha consentito alla sceneggiata dicendo una bischerata di tale portata che nemmeno uno come lui avrebbe dovuto, e potuto, crederci.
E infatti oggi, a tre anni di distanza da quel luminoso giorno, leggiamo sui giornali che ha preso avvio "la più grande offensiva dalla fine della guerra", vale a dire un'operazione militare che vede impiegati migliaia di uomini e un'infinità di mezzi, aerei e carri armati. E come sempre accade, per ingentilire queste operazioni di terrorismo istituzionale, ci hanno anche trovato un nome suggestivo: operazione Swarmer, l'hanno chiamata, che potrebbe tradursi con "Operazione sciame". In effetti, uno sciame di assassini in divisa e di strumenti di morte, mandati, ancora una volta a fare il loro "dovere". Ma contro chi, contro cosa? Contro dei fantasmi o contro un popolo che non si è arreso? Per essere una guerra che è finita, non c'è che dire... se si trattasse di una guerra ancora in corso, a che spiegamento di forze si dovrebbe ricorrere?
È ormai sotto gli occhi di tutti il disastro politico e militare di questa guerra irachena. Un disastro ammesso, seppure a denti stretti, anche da chi ha negato l'evidenza fino a pochi mesi fa. Migliaia di morti fra le truppe americane e inglesi e decine e decine di migliaia di vittime fra la popolazione civile. Una regione devastata, città distrutte e rase al suolo, il tessuto sociale dilaniato dalle lotte intestine dei vari potentati, il cosiddetto "buon nome" dell'occidente – la civiltà superiore, per intenderci, quella giudaico-cristiana – finito nel letame del carcere di Abu Ghraib e delle bombe al fosforo. Nel letame di ciò che è accaduto, che sta accadendo, e che ancora deve accadere. E la consapevolezza sempre più precisa e collettiva, che l'unico interesse che conta è quello petrolifero e che il simulacro di democrazia imposto dalle truppe d'occupazione non è che uno strumento nelle mani degli Stati Uniti, creato solo per giustificare l'occupazione dei pozzi.
Del resto che le cose sarebbero state molto più difficili di quello che volevano farci intendere, era chiaro fin dai primi momenti. E non tanto per le capacità di resistenza di un esercito infinitamente inferiore a quello invasore, quanto perché era intuibile che un popolo orgoglioso e determinato come quello iracheno (come sono in generale tutte le nazioni arabe e mediorientali), non avrebbe acconsentito a vedere limitata la sua potestà. E avrebbe dato del filo da torcere, come sta quotidianamente succedendo, con una resistenza sorda e diffusa all'occupazione. Tanto sorda e diffusa, quanto sordi e diffusi sono l'odio e il disprezzo per le truppe americane, che non mancano di dimostrare, giorno per giorno, l'assioma che un esercito occupante, qualunque esso sia e ovunque si trovi a operare, si comporta in un modo solo: criminale!
Eppure, come se non bastasse, già si comincia a parlare della possibilità, non troppo remota, di un nuovo intervento armato, di una nuova operazione di bonifica contro il paese di turno dell'asse del male. E si parla dell'Iran, guarda caso anche questo ricchissimo di giacimenti petroliferi. A dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto sia importante, per gli Stati Uniti, mantenere ed estendere il proprio controllo sugli approvvigionamenti delle materie prime. E che per ottenere questo, mentre ancora non si "è compiuta la missione" in Iraq, ci si appresti ad iniziare una nuova missione nel paese confinante, la dice lunga sui propositi altruisti e democratici degli attuali padroni del mondo. Quei propositi stombazzati a tambur battente dai capoccia americani e riecheggiati dai loro arlecchini europei.
Coraggio pure, compagni! Considerato che non ci spiace affatto scendere in piazza, cominciamo ad organizzarci, perché presto avremo un sacco di occasioni.
Massimo Ortalli