Umanità Nova, numero 11 del 26 marzo 2006, Anno 86
Era il 13 novembre 2001, ad appena due mesi dall'attacco alle Due Torri, quando Kabul cadeva il regime talebano sotto l'attacco delle forze riunite dell'effimera Alleanza del Nord, appoggiata militarmente dagli Stati uniti e dalla Gran Bretagna, nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom contro i "santuari" del terrorismo.
Sono passati ormai più di cinque anni, eppure mai come adesso appare chiaro che la sbandierata vittoria delle democrazie in Afganistan non c'è mai stata.
Ai primi di marzo, durante una visita lampo a Kabul, il presidente Bush ha dovuto ammettere che la presenza militare Usa non prevede scadenze, dopo che era stato ventilato un disimpegno a partire dallo scorso ottobre, ripetendo che la caccia a Osama bin Laden e al mullah Omar continua.
Se si pensa che proprio la cattura di questi due fantomatici personaggi era ufficialmente il primo obbiettivo della guerra contro il terrorismo scatenata nel 2001, ci si può rendere conto come e quanto Bush sia politicamente attaccato negli Stati Uniti proprio su questo punto.
Appena quindici giorni dopo, proprio il mullah Omar, in un messaggio, ha minacciato un "ondata di inimmaginabile e feroce violenza" contro gli occupanti Usa in Afganistan, promettendo che "con l'arrivo della buona stagione questa terra diventerà incandescente per gli invasori".
Facile profezia questa, visto che negli ultimi anni, con la fine del lungo e gelido inverno afgano, puntualmente si è andata intensificando l'attività della guerriglia.
Quest'anno però, osservando il crescente sviluppo delle azioni dei combattenti filo-talebani in quasi ogni provincia, è davvero probabile che ci sarà un'offensiva ancora più consistente ed aggressiva.
Tutto questo è peraltro largamente preventivato dai comandi Usa e Nato, compresi quelli italiani. Ne è riprova l'annunciato schieramento in Afganistan di sei cacciabombardieri Amx dell'aeronautica militare italiana, annunciato dal generale Fabrizio Castagnetti del Comando operativo interforze, la struttura che gestisce le missioni all'estero. Ufficialmente, tali velivoli dovrebbero svolgere funzioni di ricognizione, fotografando le coltivazioni di papavero da oppio, ma appare evidente che la destinazione è quella di sostituire i sei F-16 norvegesi che attualmente assicurano copertura alla missione Nato-Isaf e possono anche cooperare con i reparti statunitensi di Enduring Freedom.
Da più parti, è circolata anche la voce, riportata pure da alcuni settimanali, secondo cui l'Italia avrebbe negoziato nuove regole d'ingaggio per i circa 2 mila militari italiani in Afganistan, senza aver preventivamente informato le Camere. A riguardo è seguita una smentita del ministro degli Esteri, Gianfranco Fini; ma la questione della catena di comando e della partecipazione diretta ad azioni di guerra dei militari italiani è apparsa fin dall'inizio dell'intervento del tutto ambigua, così come il rapporto operativo tra le forze Nato-Isaf e i comandi Usa di Enduring Freedom.
Eppure, nonostante che ogni giorno l'Afganistan sia sempre più un teatro di un conflitto senza fine, il silenzio connivente della sinistra politica è assordante, anche in campagna elettorale. Nell'agosto 2003, ricordiamo, il ministro della Difesa Martino aveva annunciato il ritiro delle truppe italiane dall'Afganistan entro un anno (la Repubblica, 20 agosto 2003): sarebbe quindi stato un buon argomento per attaccare il governo di centro-destra; ma evidentemente per il centro-sinistra non è un problema. Prodi ha infatti da tempo dichiarato l'intenzione di rinnovare l'intervento militare italiano in Afganistan, mentre nel programma d governo dell'Unione questo non risulta neppure menzionato.
Lapsus freudiano, si potrebbe ironizzare; ma è sindrome di guerra.
U.F.