Umanità Nova, numero 11 del 26 marzo 2006, Anno 86
Anche chi non le considera un rito, e in quanto tale attinente più alla sfera del simbolico che non del materiale, dovrà ammettere che la procedura elettorale, attraverso la quale si eleggono i rappresentanti che decidono della vita di tutti e di ciascuno nella sfera politica, ha necessità di alcuni presupposti per rendersi valida e credibile agli occhi di un preteso popolo sovrano, il primo dei quali, va da sé, è l'impossibilità fisica di un autogoverno diretto e senza delega politica (ma solo operativa e revocabile). Ciò che proprio viene messo in discussione dal pensiero anarchico.
Ma per esercizio immaginario diamo per scontato che risulti difficile ipotizzare una serie di spazi circolari concentrici che dal luogo sussidiario più prossimo agli individui risalga in modulo federativo sino a coprire il territorio globale.
Le condizioni della libertà di scelta nel modello rappresentativo riguardano tanto gli elettori quanto gli eleggibili, ossia sia la libertà di presa di posizione da parte del cittadino, libero di pensare come gli pare e di vedere le proprie idee rappresentate nello spazio dell'offerta politica a disposizione in occasione delle elezioni (locali, regionali, nazionali, internazionali); sia la possibilità di candidarsi come eleggibile all'interno di uno schieramento per sottoporre al vaglio elettorale del popolo sovrano il proprio modo di identificare lo specchio della rappresentanza, in concordanza con le strategie più ampie delle formazioni politiche.
Per quanto concerne la prima condizione, se uno stato di diritto liberale e democratico configura in astratto la possibilità per chiunque di formarsi idee autentiche e genuine in merito alla conduzione della vita pubblica, e a maggior ragione sulla propria vita privata, ognuno può vedere come tale astrazione si colmi giorno dopo giorno di contenuto politico e non formale: potremmo tirare in ballo le strategie di propaganda e di acquisizione del consenso che plasmano le opinioni nel momento cruciale della chiamata alle urne (mentre il resto dell'anno quasi tutto diviene tollerabile) grazie a un sapiente e non causale bombardamento mediatico che gioca su livelli di sofisticatezza inauditi e sempre perfezionabili - da Goebbels e Mussolini sino ai comunicatori e ai simulatori di immagini (fisse e in movimento) che proiettano idee convincenti al di qua della rispondenza con i contenuti specifici di realtà, appunto ridotta a simulacro poiché simulata come surrogato di una verità altrimenti inaccessibile (se non per rivelazione divina o per fede personale, ma qui ritorniamo allora all'era pre-liberale in cui la convinzione personale non apparteneva all'individuo ma a un gruppo, una comunità, una casta, una elite privilegiata).
Ma il contenuto politico necessario affinché ognuno e tutti acquistino una propria idea politica di merito rispetto alle strategie possibili di buon governo, attengono evidentemente agli investimenti pubblici e privati sulla cultura di base, sulla libertà di circolazione delle idee in senso lato, ossia istruzione slegata da ogni vincolo di sussistenza (i crediti universitari connessi al mercato del lavoro, ad esempio), e cultura slegata da ogni vincolo di produzione di profitto per imprenditori (l'arte per l'arte e non per i mercanti d'arte, ad esempio), e men che mai per editori che ormai trattano la formazione delle coscienze attraverso la messa a disposizione di dati e notizie come uno strumento di scambio per le proprie società originarie (o per la produzione di profitti monetari, qualora siano editori puri...).
Qui non c'entra lo statuto ufficiale dello stato di diritto liberale e democratico, c'entrano scelte di politiche pubbliche, di strategie globali che le elite al potere negli stati volgono a proprio vantaggio per assicurarsi un predominio conoscitivo tramite cui riguadagnarsi la permanenza nel segmento elitario detto ceto politico (professionale e senza sbarramento o obbligatorietà di turn-over, penalizzante qualora si è senza un mestiere redditizio...).
Tale è questo reale obiettivo, che la procedura elettorale, in Italia particolarmente, ma altrove non da meno, non è mai asetticamente neutra quanto a precondizione della selezione di chi si gioca tutto pur di accedere a questo segmento privilegiato; infatti anche gli eleggibili non sono liberi di sottoporsi allo scrutinio del popolo sovrano, in quanto prima devono farsi cooptare da una elite superiore già in vigore, obbligandoli a una lealtà parziale non verso il corpo elettorale dei pretesi sovrani, ma di chi articola la gestione del potere esercitando un veto di fatto sulla formazione delle liste elettorali. Il risultato è che il popolo sovrano è libero di scegliere coloro che altri hanno voluto far gareggiare concedendo - a prezzo di una fedeltà di parte, da ricambiare nelle occasioni decisionali, se tutto va bene - l'opportunità di cambiare vita distaccandosi dalle condizioni esistenziali del popolo sovrano, che elegge i propri rappresentanti senza vincolo di rispecchiamento sociale. La rappresentanza, infatti, non rispecchia fedelmente le appartenenze sociali e economiche, ma al limite quelle politiche e ideologiche, comunque entro i limiti di una cattura del consenso che può benissimo fare a meno di mettere in palio argomenti razionali da far valere come criteri di scelta oculata e responsabile: spesso si vota l'amico in cerca di favori da farsi contraccambiare, spesso si vota la parte che maggiormente impressiona a livello mediatico, quindi emozionale, spesso si vota contro e non a favore.
Libertà di scelta, insomma, reale e non fittizia, come da sempre gli anarchici denunciano, equiparando gli schieramenti formatisi su un medesimo versante dell'offerta politica, quella della selezione di un ceto politico professionale dirigente che difficilmente sente di appartenere al popolo sovrano là in fondo, perché elevatosi su un piedistallo di privilegi e ruoli e funzioni e premi sociali che, tanto simbolicamente, quanto materialmente, valorizzano l'individualità sospinta del premiato dai voti e non gli interessi collettivi che vengono costruiti successivamente come falsa proiezione del ceto politico per catturare e mantenere il consenso nei regimi democratici in merito all'andamento della politica funzionale alla propria perpetuazione in quanto sistema di dominio.
Infine, è opportuno rilevare come tutto ciò si compendia nella significatività del gesto rappresentativo, ossia nel fatto che la delega rappresenti una reale delega di potere dal popolo sovrano, inabilitato a decidere da sé, a propri fiduciari che, in numero ristretto, assumono le delibere necessarie in attesa di una riconferma a scadenza predeterminata. L'irrilevanza delle differenze politiche degli schieramenti in gara conferma che il rito elettorale è truccato alla base, poiché le scelte cruciali ormai si collocano al di là dello spazio sacrale della democrazia. Lo stato liberale abdica alla liberalità delle condizioni di sviluppo del cittadino, sempre più tranciato in tante appartenenze da fargli smarrire l'intelligibilità del gioco politico - e infatti le società liberali sono spoliticizzate al massimo: si vota una tantum seppure a diversi livelli, con il paradosso di sembrare sempre in campagna elettorale permanente (a vantaggio degli aspiranti ad entrare nel recinto del privilegio professionale della politica istituzionalizzata), mentre le reali decisioni sono prese altrove nel chiuso di stanze ovattate senza che nulla filtri al controllo democratico.
D'altronde, in tempi globali, la filiera della rappresentanza democratica soffre di buchi vistosi in quanto pure i legittimi governi regolarmente eletti vengono sempre più scavalcati da stati di fatto che sfuggono al controllo delle delibere politiche collettive e addirittura di quelle pertinenti alle parti che privatamente decidono le strategie pubbliche. Non è un caso, infatti, che le piattaforme elettorali sembrano sempre più frequentemente tutte eguali e simili nei fondamenti dei valori a cui si ispirano, proprio perché alcuni vincoli sub- e sovra-democratici (tipo Unione europea, per intenderci) spostano la reale posta in palio della sovranità del popolo (sempre come corpo elettorale, mai come realtà di genti, corpi e cervelli singolari) alla sovranità decisionale (che in gergo viene definita "Governance") di gruppi di interesse, di professionisti, di burocrati, ossia di gente potente che acquista potenza in virtù di un posizionamento concreto da cui tirare le fila del dominio reale e materiale, in parte casuale, in parte sapientemente costruito proprio in occasione di procedure elettorali di cui far credere la delega di potere, quando invece è in ballo la possibilità di formare squadre elitarie di esercizi del potere.
Perché partecipare a questa gara truccata? Perché contribuire alla fortuna altrui (l'accesso all'elite del privilegio) quando ciò avviene sempre a scapito della maggioranza della popolazione? Perché si continua a credere che l'elezione, questa elezione in specifico, come sempre per ogni elezione, sia realmente importante per i destini della collettività, se essi si giocano altrove? Come sottrarsi credibilmente a questa macchina infernale di dissimulazione di massa? Cosa prospettare di diverso senza passare per velleitari? Si tratta di un incantesimo della seconda natura, come dicono i filosofi, o addirittura di un sortilegio infausto, come dicono i poeti?
Gli anarchici e l'anarchismo hanno sempre dato una risposta sia critica, sia affermativa, come pratica alternativa rappresentata dal coinvolgimento diretto e responsabile in spazi di autonomia e autogoverno territoriale, federati dal basso verso l'alto. Tuttavia tale risposta, che da sempre è stata rappresentata, pure su queste colonne in modo articolato, incontra qualche limite di convincimento legato alla disaffezione impolitica, pervasiva in una società di massa: coloro che praticano per convinzione la sottrazione astensionista al rito non hanno mai trovato un canale di partecipazione strutturato, magari offerto in qualche maniera da noi anarchici, specie su base territoriale.
L'incitamento alla smemoratezza che caratterizza la spoliticizzazione di massa ci trova con strumenti deboli per ribaltare la china, né la mera contro-propaganda astensionista può qualcosa di fronte allo strapotere mediatico, specie in assenza di fantasia comunicativa (in altri campi, invece, ben sfruttata, si pensi agli adbusters che deviano il senso dei messaggi pubblicitari relativi a marche di merci o a stili di vita veicolati da brand industriali, materiali e immateriali). Il radicamento anarchico in società ne è ovviamente un presupposto non trascurabile, alla ricerca di una dimensione specifica in quanto anarchici organizzati, ma di ciò non vale parlarne solo in occasione di scadenze del potere quali sono le elezioni, anche se le considerazioni che si aprono alla fine di questa riflessione a voce alta meritano, a mio avviso, un impegno diretto e costante da parte nostra.
Salvo Vaccaro