Umanità Nova, numero 11 del 26 marzo 2006, Anno 86
La morte di Slobodan Milosevic in un carcere dell'Aja mentre veniva processato dal tribunale penale internazionale per crimini contro l'umanità, non fa solo balzare nuovamente all'onore delle cronache la tragedia che si è consumata nell'ex Jugoslavia, ma permette di fare una riflessione sulla giustizia penale internazionale e sui suoi meccanismi.
La disgregazione della ex Jugoslavia ha avuto molti protagonisti e non è certo questo il luogo per elencarli tutti. Di certo, la cosiddetta comunità internazionale ci ha messo del suo perché il disastro fosse completo, giocando sulla pelle delle popolazioni locali nell'appoggio all'uno o all'altro nazionalismo (serbo, bosniaco, croato, kosovaro) ed intervenendo poi direttamente contro la Serbia con pesantissimi bombardamenti aerei sotto l'egida della Nato, con la pretesa della guerra umanitaria a difesa dei kosovari. Nelle ferite aperte dei Balcani la Nato e l'Italia con essa hanno rovesciato bombe all'uranio impoverito, tanto per essere sicuri che non si rimarginassero.
A guerra finita, è andata in scena la caccia ai criminali di guerra, di cui in realtà nei Balcani c'era senz'altro abbondanza in tutti gli schieramenti. Il fatto è che, naturalmente, sono rimasti fuori americani ed europei che hanno sparso bombe dal cielo, oltre che variamente armato i contendenti. A finire nella rete della giustizia penale internazionale è stato quello che sarebbe stato il maggior artefice delle tragedie balcaniche, il presidente serbo Milosevic, oltre che vari altri suoi sodali sempre dello schieramento serbo.
È andato quindi in scena una sorta di processo di Norimberga dei Balcani, nel quale il cattivo (uno solo) veniva processato dai buoni (tutti gli altri, ed in particolare americani ed europei). Finché nel giro di forse venti giorni, prima un leader serbo locale anch'egli sotto processo, poi lo stesso Milosevic sono stati trovati morti in cella.
Al di là delle cause delle due morti, naturali o no, quel che conta sottolineare è che in tempi come questi di guerre preventive, Guantanamo e Abu Graib, di sistematica violazione del diritto internazionale e dei diritti civili da parte dell'occidente "democratico", la farsa del tribunale penale internazionale non riesce proprio ad apparire credibile.
Così come non appaiono credibili tutti i processi intentati ad indifendibili leader come Noriega o Saddam che dopo esser stati allevati foraggiati e usati, mentre gli si lasciava compiere le peggio cose contro tutti i loro oppositori interni, vengono poi rovesciati con gran fragore a monito ed esempio della bontà della democrazia da esportazione a mezzo guerra e devastazione.
Dall'esercizio mistificatorio di una "giustizia dei popoli" si vorrebbe far credere che il "sistema democratico" è migliore e sa punire chi viola i diritti umani in ogni angolo del pianeta: purché naturalmente sia ormai diventato o un inutile dittatore o non sia abbastanza forte militarmente o politicamente da continuare ad agire impunito.
Di certo i macellai su scala globale americani europei russi o cinesi continuano ad agire impuniti, troppo potenti per finire in una cella all'Aja o in qualsiasi altro posto, troppo presi dai loro interessi incrociati o in momentaneo conflitto.
Ai popoli massacrati lo spettacolo della gogna o della forca di leader soli e imbolsiti, triste spettacolo sia per loro che per chi l'ha organizzato e lo guarda. Segno del bisogno di coprire con mistificanti processi la verità dell'orrore fatto regola e istituzione.
Simone Bisacca