Umanità Nova, numero 14 del 16 aprile 2006, Anno 86
"...Ma non è meglio eleggere un nuovo popolo?"
(B. Brecht, rivolta ai dirigenti del partito comunista)
La risicata affermazione elettorale del centrosinistra apre torbidi
scenari politici, in cui l'estrema destra, aldilà delle sue
modestissime percentuali di voti, potrà inserirsi agendo sul
piano ad essa più congeniale, ossia quello della provocazione e
della destabilizzazione, in un contesto generale che ci riporta a certe
situazioni sudamericane.
Molti elettori che hanno scelto di votare "a sinistra", dando un senso antifascista a tale scelta, speravano attraverso la loro scheda di fermare la preoccupante deriva di destra, nonché il dilagare nella società del razzismo e del pericoloso attivismo dei fascisti sul territorio, ormai legittimati al punto da vedere tutte le fiamme tricolori, presenti sul mercato dell'estremismo fascista, arruolate nell'alleanza elettorale anticomunista della sedicente Casa delle Libertà.
D'altra parte in questi anni, sono avvenuti fatti e sono state propagandate ideologie che, a fronte della connivenza e del sostegno neanche velato fornito dalle destre governative, aizzate in primo luogo dalla Lega Nord, hanno beneficiato di inammissibili disattenzioni e sottovalutazioni anche da parte di quella sinistra che dichiara di richiamarsi ancora ai valori e alla storia della Resistenza.
Quanto è avvenuto a Milano, lo scorso 11 marzo è di per sé emblematico.
Davanti ad un inaccettabile corteo nazifascista autorizzato dalle stesse autorità democratiche che dovrebbero in teoria impedire tali rigurgiti, la sinistra parlamentare e l'antifascismo ufficiale non solo non hanno promosso, per puro opportunismo elettorale, alcuna iniziativa collettiva per manifestare e non lasciare libero campo a tale provocazione, isolando così politicamente i militanti antifascisti comunque determinati a scendere in piazza; ma, dopo le violenze poliziesche, gli incidenti e oltre 50 arresti tra gli antifascisti, le cosiddette sinistre sono giunte a dissociarsi dai "violenti" e dai "teppisti".
Antifascismo, d'altra parte, non è soltanto contrastare la solita politica muscolare fatta di infami pestaggi, intimidazioni e attentati, messa in atto in modo sempre più pericoloso dallo squadrismo fascista (nel 2005 è stato registrato un numero doppio di aggressioni rispetto all'anno precedente), ma significa in primo luogo affrontare le connessioni di queste formazioni con gli apparati statali e i poteri economici che storicamente li finanziano per la loro opera sempre e comunque contro le lotte d'emancipazione sociale, nonché ai danni dei soggetti ritenuti deboli, devianti o sovversivi, come dimostra la lunghissima serie di simili fatti avvenuti in questi anni, sino alla recrudescenza di queste ultime settimane.
Così come non è più possibile ignorare il processo di revisionismo nostrano che, nell'ultimo decennio ha investito la società italiana, capovolgendo fatti, letture e giudizi storici sulla pagina più tragica del "nostro" passato, quello della sanguinosa controrivoluzione preventiva e della conquista del potere da parte del fascismo, del regime littorio benedetto dalla Chiesa, delle scellerate guerre di Mussolini, dell'occupazione nazista e della Repubblica di Salò.
Pagina che, teoricamente, doveva essere stata voltata con l'insurrezione operaia e partigiana dell'aprile 1945.
Questo processo, con la pretesa di pacificare la memoria divisa del popolo italiano, ha visto invece erigere monumenti e intitolare piazze a gerarchi e personalità del regime; ha altresì registrato la proposta di abolire la festa della Liberazione; ha comportato la rivalutazione acritica delle opere del Ventennio fascista; ha portato alla minimizzazione delle feroci persecuzioni sofferte dai dissidenti verso la dittatura e la morale dominante, così come alla criminalizzazione di quanti rischiarono al vita opponendosi all'orrore nazifascista; ha sancito non solo l'inopportuna riabilitazione dei "ragazzi di Salò", ma anche l'assoluzione giuridica degli alti responsabili delle più raggelanti stragi e rappresaglie contro i civili; ha decretato il taglio dei fondi destinati alle associazioni partigiane e agli istituti di ricerca sulla resistenza; ha persino permesso che non solo nelle curve degli stadi, ma in ambiti accademici e istituzionali si tornasse a parlare di difesa della razza.
Tutto questo, in una società "normale" sarebbe da tempo impensabile, eppure grazie anche al clima di eterna guerra contro i presunti nemici di una ancor più presunta civiltà occidentale, appena ieri abbiamo visto convivere l'istituzione della Giornata della Memoria per non dimenticare i lager dello sterminio, con l'istituzione dei Centri di permanenza temporanea per la segregazione dei migranti irregolari, mentre il presidente del Senato metteva in guardia i cittadini italiani dai pericoli del meticciato.
Purtroppo è facile prevedere che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, a fronte di una delicatissima fase istituzionale in cui, in attesa di prevedibili nuove elezioni, il governo effettivo del paese sarà in mano agli apparati statali preposti al mantenimento dell'ordine pubblico e alla sicurezza, la destra populista cercherà in ogni modo di fomentare e cavalcare le proteste popolari per l'aggravarsi della crisi economica e i malumori delle "maggioranze silenziose"; così come è altrettanto scontata la ricomparsa di trame eversive e strategie della tensione, volte a invocare un governo forte e nuove misure autoritarie.
Si annuncia quindi un 25 aprile ancora all'insegna della resistenza, almeno fin quando, un altro vento tornerà a soffiare, non dentro le urne elettorali, ma nei quartieri, per le strade, nei posti di lavoro e di studio.
Per decidere e vivere, finalmente, un'altra storia.
Anti