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Umanità Nova, numero 15 del 30 aprile 2006, Anno 86

USA: immigrati in lotta contro una legge razzista
Verso lo sciopero generale?


Diverse centinaia di migliaia di immigrati hanno manifestato il 9 e 10 aprile scorsi in tutti gli Stati Uniti d'America: a Dallas, dove la polizia ha valutato la folla a mezzo milione, e in numerose altre città - sessanta in tutto - in California, New Mexico, Oregon, Utah, Alabama, Minnesota e Michigan. 

L'impressionante massa di immigrati ha protestato vivacemente contro la proposta di legge Hr4437, o legge Sensenbrenner, approvata in dicembre dalla Camera dei rappresentanti. Secondo questo progetto di legge la presenza illegale negli USA diventerebbe un reato molto grave, e chi dà aiuto o lavoro agli immigrati irregolari subirebbe sanzioni molto pesanti. Le multe nei confronti di chi è senza documenti aumenterebbero esponenzialmente e si darebbe il via alla costruzione di oltre 1.000 chilometri di muro sul confine tra Stati Uniti e Messico, con l'obiettivo di arrivare un giorno a far correre la barriera dal Pacifico all'Atlantico. 

Questa stretta repressiva è voluta dall'ala più reazionaria dei repubblicani, non senza qualche imbarazzo del presidente Bush, favorevole - per non sprofondare in una totale impopolarità - a permessi temporanei per gli immigrati che lavorano. 

Circa 200 mila persone sono passate vicino alla Casa Bianca, sventolando bandiere americane e portando cartelli con scritto "Questa è una nazione di emigranti" prima di radunarsi sul Mall, la spianata dei monumenti della capitale federale. Tra gli slogan urlati dai manifestanti si distinguevano: "Noi siamo l'America"; "Bisogna legalizzare, non criminalizzare".

L'approccio repressivo al fenomeno dell'immigrazione ha i suoi sostenitori nell'opinione pubblica americana: esistono infatti dei vigilantes volontari – i Minutemen - che, richiamandosi a una figura mitica della Guerra di Indipendenza, inviano pattuglie a sorvegliare le frontiere e intercettare i migranti.

Le numerose associazioni di immigrati statunitensi si starebbero movendo per raggiungere un obiettivo ambizioso: indire la "giornata senza immigrati", in cui tutti gli stranieri saranno chiamati a boicottare il lavoro e l'economia. Ancora in dubbio la data - alcuni propongono il primo maggio - di un'iniziativa che, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe paralizzare ristoranti, alberghi, alcune industrie e diverse imprese edili, vale a dire tutte quelle realtà lavorative dove l'impiego di stranieri è assai diffuso. 

Grazie a questa diffusa opposizione, la Commissione giustizia ha fornito subito una proposta alternativa, approvata con 12 voti a 6 (quattro repubblicani si sono schierati con i democratici). Oltre a raddoppiare le green card (i permessi di soggiorno), la bozza prevede la legalizzazione dei migranti e al tempo stesso offre un infame percorso a ostacoli – lungo fino a 11 anni – verso l'acquisizione della cittadinanza: se avranno un lavoro, dimostreranno di conoscere l'inglese, non si saranno macchiati di reati, pagheranno multe e tasse, gli immigrati illegali usciti allo scoperto diventeranno cittadini americani. Il Senato non è riuscito ad approvare il testo preparato dalla Commissione e ora torna tutto in gioco.

Materia spinosa per il partito di Bush, diviso tra una componente più conservatrice, sensibile alla questione dell'identità, e una parte più vicina agli imprenditori, che sa benissimo come il paese non possa fare a meno della manodopera a basso costo fornita dagli immigrati.

È evidente che le "aperture" (sia da parte repubblicana sia democratica) non sono dettate dal riconoscimento della libertà e dei diritti delle persone ma da concreti calcoli legati all'unica priorità riconosciuta dalle istituzioni: lo sfruttamento.

Gli immigrati, che ne sono consapevoli, hanno la possibilità di mettere in atto un'azione molto importante se andrà in porto la proposta dello sciopero generale del lavoro immigrato. Si tratterebbe di un salto di qualità non indifferente in una lotta che, fino ad ora, ha assunto dei connotati rivendicativi legati alla richiesta di un riconoscimento minimo di cittadinanza. Se la radicalità del conflitto uscirà dall'attuale fase meramente rivendicativa, le potenzialità delle lotte dei migranti americani potrebbero avere sviluppi sorprendenti.

Taz – Laboratorio di comunicazione libertaria


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