testata di Umanità Nova

"L'altra faccia della guerra"
Supplemento ad Umanità Nova, n 15 del 30 aprile 2006

Migranti
Razzismo di Stato


Negli ultimi anni la gestione dei flussi migratori ha costituito in Europa e in Italia un vastissimo laboratorio di sperimentazione repressiva. È sulla pelle degli immigrati, infatti, che gli stati e i governi hanno attuato - attraverso strumenti normativi e giuridici - una nuova apartheid per escludere gli immigrati dal godimento di libertà e diritti universali. Questa esclusione, architettata politicamente e tecnicamente in ogni minimo dettaglio, è fondamentale per capire quali siano le dinamiche che sottendono la logica del dominio a livello planetario.

Nello specifico, l'Unione europea è un esempio paradigmatico di come il razzismo sia tornato a essere il criterio principale con il quale le istituzioni controllano la società, la distribuzione delle risorse e le vite di tutti noi. In definitiva, si tratta di un vero e proprio razzismo di stato.

L'opinione pubblica è sempre stata indotta a considerare la costruzione dell'Unione europea come una realizzazione di conquiste storiche: abbattimento delle frontiere, libertà di circolazione, benessere per tutti. In realtà, queste conquiste valgono solo per chi è cittadino europeo: tutti coloro i quali non sono cittadini della UE sono automaticamente tagliati fuori. L'Europa è una fortezza, circondata da una frontiera fatta di leggi e regolamenti che vietano l'ingresso a chi non è europeo e non può garantire una sicurezza economica: chi proviene da un paese povero ed emigra per cercare lavoro è un soggetto da reprimere e terrorizzare.

In Italia, la norma vigente in materia di immigrazione è la famigerata Bossi-Fini, un dispositivo di repressione che è stato impostato sull'impianto della precedente legge Turco-Napolitano. Significativamente, centrosinistra e centrodestra hanno trovato la giusta sintonia nell'interpretare il medesimo spirito repressivo. Nella loro tragicità, queste leggi si basano su una logica demenziale: l'immigrato "extracomunitario" che vuole entrare in Italia non può farlo se, prima del suo ingresso, non dimostra di aver già sottoscritto un contratto di lavoro! Risulta chiara la volontà di escludere a priori ogni possibilità di ingresso legale per chi - come tutti gli immigrati, da sempre e in ogni luogo - cerca un lavoro per costruire la propria esistenza lontano dalla precarietà, dalla guerra, dalla fame.

Uno degli aspetti più odiosi di questo impianto legislativo è la creazione dei Centri di Permanenza Temporanea (CPT), luoghi di detenzione per soli immigrati, espressione di un'aberrazione giuridica e politica intollerabile. L'immigrato che entra illegalmente in Italia viene incarcerato in queste strutture per un periodo di sessanta giorni prima dell'identificazione e dell'espulsione: si finisce dunque in un CPT non certo per aver commesso un reato bensì a causa di un illecito amministrativo. Con le dovute proporzioni, i CPT rispondono alla stessa urgenza repressiva dei lager nella Germania nazista: così come un tempo venivano internati ed eliminati tutti i soggetti che lo stato tedesco etichettava come asozialen (asociali, indesiderabili: ebrei, oppositori politici, omosessuali, ecc.) allo stesso modo gli immigrati vengono rinchiusi oggi in questi nuovi campi di internamento. In questi non-luoghi di sospensione dei diritti (nei quali l'accesso è impedito a chiunque, tranne che ai parlamentari o a soggetti più o meno convenzionati) accade di tutto: vessazioni a opera delle forze dell'ordine, somministrazione forzata di psicofarmaci, violenze di ogni tipo. 

Non vanno dimenticati i centri d'identificazione, che dovrebbero essere i luoghi deputati al trattenimento dei richiedenti asilo e allo stesso tempo posti relativamente aperti dai quali entrare e uscire liberamente, ma che vengono usati spesso come CPT: vere e proprie zone grigie che diventano alla bisogna dei campi di internamento per qualsiasi immigrato, rifugiato e non. 

Gli interessi economici che gravitano dietro al business della repressione sono assolutamente rilevanti: i CPT e i centri di identificazione costituiscono una grossa fonte di reddito per le strutture laiche o religiose di cosiddetto volontariato sociale che speculano sulla pelle della povera gente inserendosi nelle maglie di un sistema che fa del bisogno, della debolezza e della ricattabilità un proprio punto di forza.

È questa, infatti, la ragione profonda del razzismo di stato: negare diritti a chi è disposto a tutto pur di sopravvivere significa mettere a disposizione dei datori di lavoro una quantità impressionante di manodopera a costo zero: la clandestinità è una condizione giuridica della quale gli immigrati farebbero volentieri a meno ma che, di fatto, viene sancita dallo stato nell'interesse del capitale e del padronato.

L'impossibilità di entrare regolarmente in Europa costringe gli immigrati provenienti dal sud del mondo ad affrontare viaggi pericolosi per raggiungere le nostre coste e i nostri confini: le migliaia di immigrati morti annegati nel mediterraneo o asfissiati a bordo dei tir che attraversano l'Europa da est a ovest sono tutte vittime provocate dalle politiche assassine dei governi. Una lunga ed estenuante strage di stato che viene perpetrata con lucida consapevolezza, così come quando il governo italiano fa morire i migranti sbarcati a Lampedusa deportandoli con aerei militari e abbandonandoli a loro stessi nel deserto libico, o come quando la guardia civil nella Spagna del socialista Zapatero spara sulle masse di disperati che premono alla frontiera con il Marocco. 

La repressione, lungi dall'arginare il fenomeno migratorio, ne ha esaltato i tratti solidaristici e di condivisione di un destino comune. Gli immigrati sono perfettamente consapevoli della natura autoritaria delle politiche europee sull'immigrazione poiché vivono quotidianamente sulla loro pelle leggi come la Bossi-Fini e la vocazione repressiva che le ispira.

Tentativi di fuga dai CPT, rivolte, proteste nei quartieri abitati massicciamente da immigrati sono ormai uno scenario di conflitto permanente che non può non preoccupare i rappresentanti degli stati europei.

Da parte loro negare tutto questo è forse un segnale di debolezza o di comprensione del fatto che tutto ciò non potrà andare avanti per molto tempo ancora. Negli ultimi anni, in Italia, gli immigrati hanno dimostrato di saper fare da sé: oltre ai singoli episodi drammatici quali le rivolte o la resistenza organizzata a operazioni (sporche) di polizia, le numerose esperienze di autorganizzazione tra i migranti sono un segnale di vitalità dal quale prendere spunto per costruire un'alternativa reale allo stato di cose presenti.

Sostenere i migranti nella lotta antirazzista significa proprio questo: valorizzare l'autonomia dei gruppi e/o dei singoli senza delegare l'azione antirazzista ad alcuno.

La precarietà economica e sociale coinvolge tutti, stranieri e non, e proprio su quest'asse vanno rinsaldate le rivendicazioni in materia di diritti fondamentali quali lavoro, salute, istruzione.
L'apparente attrito (su cui fa leva chi detiene il potere politico ed economico) tra i bisogni di chi è cittadino comunitario e chi non lo è, deve essere svelato per ciò che rappresenta: uno strumento utile alle istituzioni per indebolire e frammentare quello che può e deve essere un ampio fronte di resistenza al Pensiero Unico.

Non si può pensare di risolvere sbrigativamente la questione della presenza degli stranieri in Italia incarcerando espellendo o schedando chi ha avuto la sfortuna di nascere nel posto "sbagliato". 

La libertà di circolazione, la possibilità di costruire e progettare la propria vita a prescindere dal luogo in cui si è nati, l'opportunità di fuggire dalla precarietà economica e sociale, dalle guerre, dai contesti di miseria e arretratezza sono tutti diritti fondamentali che appartengono a tutti e che nessuno deve limitare. 

L'antirazzismo è oggi un terreno di conflitto che non ammette mediazioni perché non è possibile mediare su ciò che è umano e ciò che non lo è. Lo Stato, le sue leggi, i suoi interessi e i suoi tutori cancellano l'umanità togliendole il respiro vitale della libertà, dell'autodeterminazione, della dignità.

Le anarchiche e gli anarchici sanno da che parte stare e per cosa lottare.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria


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