"L'altra faccia della guerra"
Supplemento ad Umanità Nova, n 15 del 30
aprile 2006
"La rivolta non sarà dunque la rottura d'un sistema
pacifico di leggi per una causa qualunque, ma sarà il rovescio
d'una guerra che il governo non cessa di condurre."
(M. Foucault)
Da sempre, nella storia, è esistito un terrore di Stato motivato
da ragioni considerate superiori quali l'integrità della patria,
la vittoria in guerra, la tutela della libertà, la difesa della
democrazia e persino il mantenimento della pace.
Superiori al punto da consentire e benedire l'aggressione contro altre patrie, i massacri di civili, la soppressione di tutte le libertà, l'instaurazione di dittature e la pacificazione sotto la minaccia delle armi.
Un terrore istituzionalizzato, burocratizzato, pianificato e rivendicato come legittimo monopolio della violenza, contro i nemici sia interni che esterni della presunta comunità nazionale o internazionale.
Un terrore da sempre alimentato e motivato dalla paura che lo stesso dominio crea, dissemina e coltiva nei confronti dei nemici del momento.
Eppure, nonostante il dichiarato principio per il cui il fine giustifica tutti i mezzi, utilizzato per autorizzare ogni genere di sopraffazione ed annientamento, il moderno terrore di stato è andato sempre più caratterizzandosi paradossalmente per la missione universale che si prefigge, ossia l'aspirazione di procurare una vita migliore per tutti attraverso l'amputazione della "parte insana" della società, la quale poi potrà rinascere guarita dal male che la minava.
Violenza e paura vengono perciò presentate dalle oligarchie al potere come strumenti provvisori di emancipazione degli oppressi, amari quanto estremi rimedi che dovrebbero favorire la liberazione dell'intera umanità.
Se non si capisce questa ambizione "liberatoria", si rischia di non comprendere pienamente il meccanismo di consenso attorno allo stato di guerra permanente, alle misure liberticide, ai vari patriot act, alle sospensioni delle libertà fondamentali, alle più inumane violazioni dei diritti umani, perpetrate dalle democrazie liberali dopo il fatidico 11 settembre 2001.
Sia chiaro, anche in passato, il terrore di stato nell'illuminato e progredito Occidente non era stato certo meno criminale, basti pensare ai lager inglesi nella Germania del dopoguerra dove vennero imprigionati e torturati sospetti comunisti, oppure al determinante apporto della Cia alle macellerie fasciste dell'America Latina o alle stragi di Stato che hanno seminato la morte in Italia per oltre vent'anni; ma, in questo ultimo quinquennio, col pretesto della lotta al terrorismo, tale realtà ha conosciuto un'ulteriore escalation planetaria e, appunto, motivazioni sempre più di preteso carattere etico, piuttosto che semplicemente d'ordine politico.
In altre parole, per far accettare condotte sempre più immorali, si è premuto sull'acceleratore morale delle guerre di civiltà, dello scontro tra una violenza fanatica e una violenza necessaria quanto razionale.
Emblematico quanto dichiarato dall'ineffabile Tony Blair, dopo gli attentati di Londra il 7 luglio 2005: "Coloro che hanno commesso quest'atto terribile esprimono i loro valori con il terrorismo (…) cercano di usare il massacro di persone innocenti per terrorizzarci, per impedirci di badare come sempre ai nostri affari, come è nostro diritto".
Questo infatti è l'assioma dominante: il cosiddetto terrorismo internazionale non ha ragioni storiche, motivazioni politiche, cause economiche, connivenze inammissibili, così come non ha alcun rapporto con le dominazioni coloniali o imperialiste, con lo sfruttamento, con le guerre o la morte per fame di milioni di esseri umani. Esso è soltanto l'espressione del nuovo Impero del Male, col suo disegno diabolico finalizzato a stravolgere, inquinare, soggiogare la "nostra" società le cui contraddizioni non sono mai connesse con il sistema economico dominante, la religione del profitto e la struttura autoritaria imposta come "normale" al vivere sociale.
Se quindi tale è la malvagia quanto folle cospirazione dei nemici, ogni mezzo è buono per difenderci da essi, barbari per definizione e per appartenenza razziale.
Da qui, la ormai sperimentata pratica di non celare mai del tutto la sorte orrenda riservata agli oppositori del migliore dei mondi possibili: campi di detenzione, torture, esecuzioni, sequestri, deportazioni, negazione dell'essere umano.
Basta infatti, aprire un giornale stampato o teletrasmesso, per imbatterci nello spettacolo della morte e del sopruso legale senza limite: dalle galere di Kabul alle piazze di Genova, dal carcere di Abu Graib ai campi segreti d'internamento in Europa, dal lager asettico di Guantanamo ai maleodoranti Cpt della bell'Italia.
Ogni politica del terrore, infatti, e in particolare quello statale, è per sua vocazione spettacolare, nonché legata a doppio filo con il sistema delle comunicazioni. Prefiggendosi di propagandare una posizione, o di combatterne altre, catturando l'audience più larga possibile, non ricorre ad una violenza proporzionata rispetto all'obbiettivo, in quanto essa è sia il fine dell'azione che il suo stesso mezzo. E quanto più l'azione è eclatante - sia questa un aereo che si schianta contro un grattacielo o un inerme torturato con scariche elettriche - infrangendo il rapporto tra norma e trasgressione, tanto più la visibilità ottenuta è estesa, profonda, efficace, terrificante.
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