"L'altra faccia della guerra"
Supplemento ad Umanità Nova, n 15 del 30
aprile 2006
"Il quotidiano italiano [è] uno strumento autoritario di
repressione. Anche se non è un quotidiano di destra" (U. Eco,
1971)
All'interno dell'apparato repressivo statale i mezzi di comunicazione
di massa svolgono, essenzialmente, una attività di
fiancheggiamento. Questo compito viene portato avanti attraverso la
manipolazione dell'informazione e tramite l'assunzione del ruolo di
portavoce delle strutture della repressione.
Il modo più semplice usato dai media per manipolare un
avvenimento è quello di nasconderlo del tutto, un sistema che
poteva andar bene il secolo scorso e che viene usato sempre più
raramente. Al suo posto oggi prevale il racconto deformato della
realtà che contribuisce alla creazione di pericoli (spesso
inesistenti), all'amplificazione strumentale di determinati episodi
marginali, allo sviluppo di vere e proprie "campagne mediatiche"
dirette contro particolari settori sociali. Vengono ancora usati,
sebbene ormai siano tecniche che appartengono al passato, l'invenzione
totale e la ripetizione ossessiva.
Notizie come favole
Una delle occasioni nelle quali avvengono evidenti manipolazioni riguarda la cronaca degli scontri di piazza che, a seconda del momento storico e politico, vengono amplificati a dismisura oppure ridimensionati fino quasi a sparire. Per cui un'auto bruciata può diventare - di volta in volta - un semplice atto di vandalismo oppure la prova di una rivolta stile banlieue parigina.
A Torino, il 18 giugno 2005, la polizia attaccò un corteo che stava protestando contro una serie di violenze fasciste culminate con l'accoltellamento di due occupanti del Barocchio e la manifestazione finì con l'arresto di alcuni compagni. Durante le cariche si verificarono i prevedibili danni che avvengono di solito in questi casi, ma nulla di particolarmente eclatante.
Il quotidiano torinese così descriveva l'accaduto: "Gli "antifa" hanno pensato bene di prendere di mira i dehor e le vetrine dei bar di Via Po. Hanno scaraventato le sedie contro lo sbarramento di polizia, distrutto le piante, scardinati i cassonetti dei rifiuti, con l'idea di formare una grossa barricata, poi incendiata, non senza aver prima deturpato le fiancate di un bus con le solite scritte spray." (La Stampa, 19/6/05)
Il giorno successivo, sempre lo stesso giornale e sempre la stessa penna, riassumeva gli stessi fatti in modo molto più stringato: "gli squatter che hanno devastato bar e negozi" (La Stampa, 20/6/05).
Il passaggio dal danneggiamento di piante, sedie e cassonetti alla "devastazione" di locali commerciali avviene in modo "indolore" per chi scrive e chi legge, mentre per chi è accusato la differenza tra danneggiamento e devastazione può significare diversi anni di carcere. Questo genere di cronaca tende a presentare i fatti accaduti in modo da suscitare un discreto allarme per un avvenimento, che viene dipinto come particolarmente pericoloso e quindi degno di una maggiore attenzione da parte delle forze della repressione.
Da parte sua la magistratura muove agli arrestati l'accusa di "devastazione e saccheggio" che coincide alla perfezione con quanto raccontato dal giornalista e così le due "verità" si rinforzano a vicenda, fornendo alla famigerata "pubblica opinione" una ricostruzione dell'accaduto funzionale alla richiesta di condanne esemplari. Tanto poi se, a distanza di mesi o di anni, gli accusati verranno assolti questo non farà notizia e - sicuramente - non modificherà le falsità scritte.
Questo modo di "fare informazione" raggiunge, in determinate occasioni, livelli davvero insuperabili, come dimostra un altro esempio un po' più lontano nel tempo: durante le giornate di Genova del luglio 2001, a dar retta ai mezzi di comunicazione ci sarebbero state centinaia e centinaia di macchine distrutte, mentre poi - a conti fatti - il totale non ammontava che a poche decine, e questo secondo una fonte insospettabile ("il foglio" del 7/9/01).
Il sistema del media tende comunque a spettacolarizzare qualsiasi
notizia e non solo quelle relative alla repressione, ma in questi casi
il risultato principale non è quello di avere più lettori
o spettatori, ma quello di contribuire a creare una atmosfera
favorevole all'applicazione di provvedimenti repressivi sempre
più pesanti.
I media come megafono
Da sempre i media hanno tra le proprie fonti di informazioni primarie gli organi della repressione: questura, polizia, carabinieri e via dicendo forniscono quotidianamente ai mezzi di comunicazione molto materiale per il loro lavoro.
E da sempre i media riportano, per ogni avvenimento di cronaca, il punto di vista degli apparati della repressione: alcuni lo trasformano direttamente nella descrizione dei fatti, mentre quelli meno cialtroni lo riportano trattandolo come una fonte di informazione al pari delle altre. In entrambi i casi la voce della repressione ha comunque un peso specifico superiore a quello di una qualsiasi altra fonte e molto spesso è anche l'unica disponibile.
Quest'ultimo aspetto ha assunto sempre più importanza anche a causa del fatto che buona parte del "prodotto" giornalistico viene preparato non dalle redazioni ma piuttosto dai "services", servizi esternalizzati, nei quali lavorano i precari del settore costretti a sfornare "notizie" come fossero bulloni. Per cui è molto più facile, comodo e soprattutto veloce, ricopiare, senza nemmeno leggerla, la velina della questura e trasformarla in "notizia".
Una situazione del genere è utile sia ai padroni dei media, che si garantiscono maggiori profitti, sia all'apparato repressivo che ha a disposizione un comodo canale per la diffusione acritica delle sue notizie.
Chiunque legga più di un giornale o ascolti più di un tg avrà sicuramente notato quanto siano diffuse le "notizie fotocopia". Chi ha accesso ad Internet lo scopre immediatamente: articoli esattamente uguali, errori compresi, pubblicati da fonti diverse, una massa omogenea che sarebbe davvero difficile considerare una informazione libera.
Citiamo il recente arresto a Pietrasanta (Lucca) di due compagni accusati di aver tentato di incendiare la porta di una sede di FI. I mezzi di comunicazione di massa hanno riportato la velina che raccontava di un arresto avvenuto in flagranza di reato, mentre i due sono stati arrestati nelle loro abitazioni (italy.indymedia.org/news/2006/04/1036257.php).
In casi del genere il media è semplicemente il megafono che diffonde il racconto proveniente da un organo dell'apparato repressivo statale.
Questo modo di fare informazione si nota ancora di più quando
i mezzi di comunicazione, per una qualsiasi ragione, si sottraggono
alla parte loro assegnata, come è accaduto in un altro fatto di
cronaca recente, quello della morte di Federico Aldrovandi. La procura
di Ferrara ha chiesto i nomi dei giornalisti che si sono occupati della
vicenda, proprio in un caso nel quale i cronisti avevano sollevato
qualche perplessità sulla versione dei fatti fornita dai
poliziotti che fermarono il giovane
(www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=9247&numero='124').
La Rete contro i media
L'irrompere di Internet sulla scena mediatica ha provocato un discreto sconvolgimento nel mondo dell'informazione, da sempre legato in modo indissolubile ai "poteri forti". Un piccolo, ma significativo, passo in aventi verso la possibilità di fare informazione, senza passare per i filtri censori che da sempre hanno contribuito a costruire il sistema dei media così come lo conosciamo.
La diffusione di strumenti utilizzabili per diffondere notizie cancellate o distorte dai media ha già provocato, in più di un caso, un salutare corto circuito tra la realtà dei fatti raccontata in prima persona dai partecipanti e quella rappresentata sui "vecchi" media. E l'interesse, sempre maggiore, dell'apparato della repressione nei confronti dei siti web che fanno informazione dal basso è indicativo dell'importanza da essi raggiunta.
Oggi, una montatura mediatica come quella seguita nel 1969 alla "Strage di Stato", forse non sarebbe più possibile, ma questo non significa che i mezzi di comunicazione di massa sono diventati improvvisamente più liberi. Uno dei mass media più diffusi, la televisione, continua ad essere saldamente nelle mani di ristretti gruppi di potere economico e politico che difficilmente lo abbandoneranno. Non è un caso che una delle più recenti manovre riguardanti Internet sia proprio quella di trasformare la Rete informatica in un semplice canale attraverso il quale far passare i contenuti di una qualsiasi televisione.
Costruire nuovi strumenti di informazione non conformista, ed usare quelli esistenti, è uno dei modi che abbiamo a disposizione per contrastare il sistema dei media e il potere del quale essi sono portavoce, ma è anche un modo per sostenere le lotte ed i compagni colpiti dalla repressione.
Pepsy