"L'altra faccia della guerra"
Supplemento ad Umanità Nova, n 15 del 30
aprile 2006
Del carcere in generale e di carceri in particolare se ne parla poco, c'è voglia di rimuovere quella che viene considerata una "necessità" per il vivere civile e non c'è voglia di mettere in discussione né le condizioni di vita all'interno delle strutture né la supposta utilità dell'istituzione stessa.
Noi anarchici siamo contro tutte le carceri. Quando lo proponiamo in giro, nella migliore delle ipotesi, si viene trattati da illusi. La più banale contestazione è "Come fai quando qualcuno uccide un bambino?", come se il fatto di tenere qualcuno in galera potesse far resuscitare il piccolo e come se fosse sensato cominciare un discorso dalla fine. La domanda corretta dovrebbe essere "Perché qualcuno dovrebbe uccidere un bambino?", e, se si riuscisse ad individuare la risposta corretta, si otterrebbe anche di salvare anche la vita al bambino, invece di limitarsi a cercar vendetta.
Invece di parlare di teorie, parliamo di numeri. Visto che le nostre argomentazioni sono sostenute dai numeri invitiamo, chi sostiene la loro fallacia, a portare altri numeri in sostegno ai propri argomenti.
In realtà si preferisce ignorare del tutto qualsiasi tipo di argomentazione contro il carcere, viene rimossa anche la banale constatazione che il numero dei detenuti di un paese non c'entra nulla con la maggiore o minore propensione criminale dei suoi abitanti.
Appare inutile cercare di far ragionare qualcuno invitandolo a riflettere sul fatto che negli USA ci siano più detenuti che agricoltori e che questo non serva assolutamente a far diminuire il numero dei reati.
Eretico appare poi collegare la popolazione prigioniera con le mire imperialistiche di un paese: degli 8 milioni 750mila detenuti nel mondo la metà è imprigionata proprio nelle carceri delle "superpotenze": negli USA (circa 2 milioni), in Russia (circa 1 milione) ed in Cina (circa 1,5 milioni, non considerando le reclusioni in attesa di giudizio e domiciliari), paesi che sono, tra l'altro, tra i più accaniti sostenitori della pena di morte.
Provare a suggerire che la repressione (di cui il carcere è uno degli aspetti) dipenda dal modo di gestione del conflitto sociale e non delle esigenza di "sicurezza" delle popolazioni non serve a nulla di fronte al muro d'ostilità che si trova quando si prova a mettere in discussione il luogo comune.
I paesi con la più alta percentuale di detenuti in rapporto
alla popolazione sono proprio alcune "democrazie liberiste" come gli
USA (686 detenuti ogni 100.000 abitanti) seguiti dalle Cayman Island
(664 detenuti ogni 100.000), dalla Russia (638) e, variamenti
alternati, dai paesi dell'ex URSS e da quelli centroamericani che
imitano il sistema giudiziario statunitense.
In Italia, tanto per avere un termine di paragone sono recluse 95
persone ogni 100.000 abitanti, un po' più della media europea
(che è di 69 detenuti per 100.000 abitanti).
Le 59.523 persone rinchiuse nelle 207 carceri italiane costano quotidianamente, a testa, 135 Euro. Al di là della curiosità di sapere come vengano utilizzati i soldi, visto che il 63% dei detenuti tutte le mattine si lava la faccia con l'acqua gelata, una riflessione sugli utilizzi alternativi di quelle somme forse sarebbe opportuno farla. Magari anche alla luce anche del fatto che il 72% dei reclusi nelle carceri italiane dichiara, al momento dell'arresto, di essere disoccupato.
L'unico motivo per cui si parla, ogni tanto, delle carceri italiane, sui giornali, è per denunciarne il sovraffollamento: visto che la capienza massima è di 43mila posti, nelle galere italiane c'è il 40% di persone in più del normale.
Le statistiche non danno mai l'idea di cosa significa "sovraffollamento", un episodio può rendere meglio il concetto.
Lo scorso primo febbraio, nel carcere di Marassi, Marco, imprigionato
due giorni prima per un tentato furto commesso nel 1985 (ventun anni
fa!), è morto cadendo dal terzo piano di un letto a castello.
Nella sezione "definitivi" di Marassi ci sono 300 reclusi per una
capienza di 120 posti ed è per questo motivo che è stato
aggiunto il terzo "piano" ai letti a castello.
I forcaioli che vorrebbero risolvere il problema costruendo nuove carceri fingono di ignorare che il numero dei detenuti é in costante aumento. Negli ultimi 20 anni il numero dei detenuti è raddoppiato.
Hanno un bel dire che in Italia la legislazione è avanzata e ci sono le pene alternative al carcere: dall'introduzione delle prime pene sostitutive al carcere (nel 1981), passando per la legge Gozzini (nel 1986), ad oggi è aumentato, oltre che il numero dei detenuti, e di molto, il numero delle persone sottoposte a provvedimenti di restrizione della libertà personale, visto che sono aumentati luoghi utilizzati per il controllo delle persone: case, comunità, commissariati, posti di lavoro.
La politica penitenziaria della giustizia italiana prevede infatti, senza differenze significative tra i due schieramenti politici, un incremento del numero dei reclusi ed un peggioramento delle loro condizioni di detenzione, puntando ad una privatizzazione delle carceri, sul modello americano.
Certo, il numero dei detenuti dipende anche dalle scelte di politica criminale. Facendo finta che non vi sia arbitrio nel sistema giudiziario, la detenzione dipende da cosa viene considerato reato e quale sia la pena.
Prendiamo ad esempio la legislazione sugli stupefacenti. Se il governo volesse combattere seriamente la mafia e legalizzasse l'eroina, sua principale fonte di profitto, otterrebbe come effetto anche la diminuzione della popolazione detenuta, visto che i tossicodipendenti non avrebbero più bisogno di delinquere per comprarsi la dose giornaliera: più di un quarto dei detenuti italiani è tossicodipendente.
D'altro canto che il carcere serva solo ad affermare il principio d'autorità lo dimostra l'altra grande comunità dietro le sbarre: quella degli extracomunitari (il 33,3% dei detenuti). Con una politica migratoria che consente allo straniero solo di entrare clandestino in Italia, sperare di non farsi beccare, arrangiarsi per qualche anno e aspettare la successiva sanatoria per mettersi in regola, non c'è da meravigliarsi di queste cifre.
Da quando il parlamento ha deciso di "blindare" la legge per concedere l'amnistia e non ne ha più fatte, si è persa anche quella valvola di sfogo usata per tamponare le situazioni di emergenza come l'attuale.
La nuova legislazione penale rilancia l'uso del carcere come mezzo di minaccia e controllo per comportamenti non conformi alla legge.
Degli altri detenuti (quelli non immigrati e non tossicodipendenti) solo 7mila sono quelli in regime di "alta sicurezza" (detenuti per omicidi e grandi reati), e, di questi, 600 sono sottoposti alla sorveglianza speciale disciplinata dall'articolo 41 bis.
Una citazione a questo proposito la merita il GOM (Gruppo Operativo Mobile), raggruppamento speciale di secondini che si incaricano, tra le altre cose (scorta ai pentiti, pestaggi, perquisizioni in cella) della sorveglianza dei detenuti sottoposti a questo regime speciale.
Sono nati nel 1997, durante il primo governo Prodi (con Flick ministro della giustizia), a dimostrazione dell'indifferenza della gestione penitenziaria allo schieramento politico, il decreto che ne regolamentava l'istituzione è stato firmato nel 1999 (governo D'Alema) dal guardasigilli Oliviero Diliberto, che ha avuto immediatamente modo di vederli all'opera nel pestaggio dei detenuti del carcere di San Sebastiano (Sassari) in sciopero dopo due giorni di digiuno forzato.
Sono assurti alla notorietà con i pestaggi nella caserma Bolzaneto durante il G8 a Genova (governo Berlusconi, ministro della giustizia Castelli), attualmente seguitano la loro brutale azione certi che nessuno gli chiederà conto dei loro comportamenti.
Per tornare ai detenuti, non dimentichiamo le donne che sono 2.804, tra queste 60 vivono in cella con i figli con meno di tre anni. Chissà che reati gravissimi avranno commesso per non poter usufruire dei domiciliari o del trasferimento in case famiglia.
Non stupisce neanche che sia affetto da malattie psichiche un detenuto su cinque. Ed è una conseguenza altrettanto ovvia il fenomeno, ormai stabile, dei suicidi in carcere: nel 2005 si sono tolti la vita in 58, nel 2004 52, nel 2003 57, nel 2002 51 e 69 nel 2001. Non dimentichiamoci mai che dietro questi numeri ci sono delle persone, delle vite spezzate, degli amici, dei compagni, come Marco Sanna "Pisellino", Edoardo Massari "Baleno" e Soledad Rosas "Sole".
Le morti per suicidio sono solo una parte delle morti di carcere. Nel 2004 (ultimi dati certi) i detenuti morti in carcere sono stati, in tutto 172, l'anno prima 157, nel 2002 160 e 177 nel 2001.
Trovare dei dati "ufficiali" sui morti di carcere è quasi impossibile, trovarne sulle cause è inutile! La maggior parte dei decessi avvengono per "causa da accertare". Nell'immediatezza dell'evento sarebbe quasi normale, ma, visto che seguitano ad essere considerate come "causa da accertare", anche le morti avvenute anni fa appare evidente che non si voglia "accertare" nulla. In particolare, tranne i casi di suicido, di malasanità (quando la morte avviene nell'infermeria del carcere), i pochissimi omicidi tra detenuti, vengono considerate "da accertare" tutte le altre morti, indipendentemente dal fatto che dipendano dalle sniffate di colla di un detenuto, dai pestaggi dei secondini, da incidenti o da altro.
Questa è la dimostrazione finale dell'assurdità del carcere: la giustizia ritiene che un detenuto venga rinchiuso perché si è "accertata" la sua colpevolezza nella commissione di un reato. Se quel detenuto muore non c'è più nulla da "accertare", neanche in ordine alle cause della sua morte.
Il carcere uccide, il silenzio è complice.
FRK