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Umanità Nova, n 16 del 7 maggio 2006, anno 86

Quando muore un italiano
Retorica disumana 


"La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
 la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
 sian belli o siano brutti, Marcondiro'ndà
Siam grandi o siam piccini li distruggerà
 sian furbi o siano cretini li fulminerà."
Girotondo di F. De Andrè


Ogni volta è la stessa storia. 

Ci sono tante guerre in giro per il mondo e parlo di quelle guerreggiate perché di altri tipi di guerre ce ne sono a volontà dietro l'angolo di casa nostra e tutti i giorni.

Il potere e i media ne indicano solo alcune, la gran parte della gente un po' per autodifesa e un po' per vigliaccheria accetta la visuale e si concentra su quelle nuove e spettacolari. L'Afganistan ormai interessa poco, l'Italia è in missione dal 2001 e i governi double face ratificano invii di contingenti senza batter ciglio... w gli alpini e che muoia Bin Laden con tutti i Talebani.

La guerra, quella prima in classifica, è in Iraq e nonostante produca decine di vittime ogni giorno, centinaia a settimana e migliaia dopo quel 20 marzo 2003 in cui ebbero inizio i fuochi artificiali a stelle e strisce, l'attenzione è calata. A spanne, è brutto lo so ma in guerra i conti si fanno più o meno come i quintali d'inerti che si buttano in discarica, i civili ammazzati sono minimo 34.500 e al massimo 38.600... più o meno appunto.

La gran parte sono iracheni, poi vengono i militari di varia provenienza e infine i corrispondenti, i volontari e quant'altro.

Però ogni volta è la stessa storia.

Quando muore un italiano allora "è sgomento" e c'è "profondo dolore" perché "è una notizia drammatica che mai avremmo voluto apprendere di nuovo" dopo questo "nuovo efferato atto terroristico" dove i nostri sono stati "ancora una volta colpiti dalla barbarie terrorista nell'adempimento del loro dovere in una missione di pace" e per questo "ci uniamo al dolore di tutto il popolo per la morte dei soldati italiani in Iraq" "in queste ore buie e dolorose" in una "tragedia che colpisce tutta l'Italia", anche se "di terrorismo si muore non solo in Iraq ma anche nei luoghi di vacanza, a Londra e a Madrid" e comunque "è un ko, dal quale però ci risolleveremo".

Ogni volta è la stessa storia e stavolta di soldati italiani ne muoiono tre, sono il capitano Nicola Ciardelli, del reggimento Artiglieria paracadutista di Livorno, il maresciallo capo dei carabinieri Franco Lattanzio, del comando provinciale di Chieti, e il maresciallo capo dei carabinieri Carlo De Trizio, effettivo nel nucleo radiomobile di Roma. C'è lo comunica lo Stato Maggiore della Difesa... ah dimenticavo assieme è morto pure un soldato Romeno, il nome non ce lo comunicano, tanto mica è italiano. È successo la mattina del 27 aprile a Nassiriya e a me viene il vomito.

Che sia chiaro: la perdita di un proprio caro è un lutto a cui va il rispetto e la comprensione, non c'è nessuna retorica perché l'umanità, quella vera, è e dovrebbe essere sempre un sentimento universale.

Sempre appunto. Anche di fronte alle morti altre, ai famigliari altri, al dolore altro, allo sconforto altrui, la tragedia oltre il proprio giardino di casa. Ma quando così non è, e non è mai così, perché ogni volta è la stessa storia, dopo la nausea per la volgarità del potere con le solite fraseologie apocalittiche dei politici nostrani, ebbene dopo la nausea sale la rabbia. Perché l'italianità non può prevalere sull'umanità e un morto ammazzato getta nello sconforto i suoi cari indipendentemente dal suo idioma o dal colore della bandiera che gli si appiccica addosso; perché dopo ottant'anni non possiamo continuare a sostenere che 3 italiani valgono più di 36.000 uomini, donne e bambini iracheni piuttosto che afgani, nepalesi o colombiani, come sosteneva Mussolini quando scriveva, prima d'invadere la Jugoslavia, che "che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani".

Sale la rabbia che è però rabbia lucida perché non fa sconti, non si maschera di vacuo umanitarismo. Ed allora che si dica ogni volta, perché ogni volta è la stessa storia, che i soldati, come quelli italiani, vengono pagati per uccidere e per essere uccisi, s'addestrano e scelgono, loro possono scegliere, di andare in Guerra, di fare la Guerra, di morire in Guerra. I civili ammazzati invece no, non scelgono la Guerra, non la fanno, non sono pagati neppure per morire. Sono solo gli effetti collaterali di questa grande "manovra chirurgica" che è la Guerra moderna.

Ogni volta è la stessa storia.

E dopo la rabbia arriva lo scuotimento della testa e l'imbarazzo di fronte alla stupidità umana che non capisce la retorica della Guerra, così semplice, così banale. Come la filastrocca di Fabrizio De Andrè. Certo i più forti moriranno in meno, quelli che la Guerra la vogliono, quelli che hanno le armi di distruzione di massa e i media di distruzione di senno.
Ma il girotondo è implacabile e prima o poi tocca anche ai "buoni" e "pacifici" italiani, quella "brava gente" in missione umanitaria, gettando nello sconforto qualche famiglia e nello sproloquio patetico la classe dirigente di un paese.

Quando verrà quella volta che non sarà più la stessa storia?

Stefano Raspa


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