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Umanità Nova, n 16 del 7 maggio 2006, anno 86

Iraq
Massacro senza fine


"Oggi il ritiro dall'Iraq significherebbe soltanto consegnare il paese ai tagliatori di teste e alla guerra civile"
(Emma Bonino, Congresso radicale, Riccione 2 novembre 2005)


L'attentato del 27 aprile contro un convoglio miliare italiano a Nassiriya ha improvvisamente fatto tornare d'attualità la guerra in Iraq, rompendo l'atteggiamento prevalente di assuefazione e rimozione politica.

Invece, in Iraq una guerra su più piani, intersecati tra loro, non ha mai cessato di produrre stragi, terrore e oppressione.

Qualche dato generale appare quindi necessario per avere un'idea, per quanto sommaria e relativa, del contesto in cui l'Italia è stata chiamata a rivestire il lutto nazionale per la morte di tre militari, peraltro di professione, con lo scudetto tricolore sulla mimetica.

Nonostante che il primo maggio del 2003, il presidente Bush avesse annunciato la fine dei "maggiori combattimenti"; gli Stati Uniti - pur volendo generosamente accogliere come attendibili le cifre ufficiali- hanno avuto dall'inizio del conflitto circa 2.400 militari caduti, mentre gli altri contingenti dell'occupazione "alleata" hanno registrato 213 vittime.

Cifre queste certo di rilievo, ma non paragonabili a quelle relative alle vittime irachene nel cosiddetto dopoguerra che, secondo le stime più prudenti, vanno stimate tra le 250 e le 300 mila, uccise nel corso delle operazioni militari come quella contro Falluja dove i morti sarebbero comunque da contarsi nell'ordine delle decine di migliaia, oppure assassinate dalle azioni terroristiche o per la guerra civile, peraltro fomentata dalle stesse forze d'occupazione.

Soltanto dal giorno delle elezioni (15 dicembre) in Iraq si contano inoltre circa 20 mila desaparecidos, sequestrati da apparati di sicurezza, bande paramilitari e contractors delle compagnie private.

Da parte sua, come rilevano concordemente i più attenti osservatori, la resistenza all'occupazione imperialista continua a svilupparsi sia sul piano offensivo che su quello organizzativo. Dalla stima iniziale di circa 3 mila insorti nel 2003, oggi si è passati a valutazioni di circa 18/20 mila, con un considerevole e progressivo aumento della presenza di combattenti jihadisti stranieri.

Gli attacchi della guerriglia, invece, dal 2004 alla fine del 2005 sono aumentati del 23% circa; attacchi che, oltre a colpire in continuazione obiettivi militari e governativi, stanno paralizzando l'estrazione strategica del petrolio, la distribuzione di carburante, i processi di ricostruzione, la fornitura di acqua e di elettricità.

Secondo i rapporti sia delle autorità irachene di governo che dei vertici statunitensi, il numero delle province sunnite ormai fuori controllo negli ultimi mesi sono passate da 4 a 6, compresa quella di Baghdad, mentre altre 8 nel centro-sud sciita sarebbero sull'orlo dell'instabilità, in considerazione anche dell'aggravarsi della crisi tra Usa e il vicino Iran. Ma anche in quest'area relativamente "pacificata" le cose stanno già precipitando soprattutto dopo la strage - quasi quaranta persone inermi massacrate - compiuta nello scorso marzo dentro la moschea Al Mustafa, di culto sciita, di Sadr City a Baghdad, ad opera di militari Usa fiancheggiati da soldati regolari iracheni. D'altronde neppure gli sciiti, non esclusi i ministri del governo nazionale, tollerano la presenza militare straniera, specie se questa ostacola i poteri effettivi dei clan e non reca immediati e concreti vantaggi.

A Nassiriya, in particolare, una diffusa insofferenza popolare nei confronti dei militari italiani e britannici da tempo s'incontra con le posizioni oltranziste della milizia di Muqtada al Sadr, di altri gruppi armati locali e della brigata Badr facente capo allo Sciri (Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq), parzialmente arruolata negli organici della polizia nazionale.
D'altronde i militari italiani di "Antica Babilonia" stanno raccogliendo anche quello che loro stessi hanno seminato, seppure nessuno in patria sembra più ricordare di quanto avvenuto nelle diverse "battaglie dei ponti" dall'aprile all'agosto 2004, quando i reparti italiani seminarono la morte tra i civili "annichilendo" centinaia di persone, comprese quelle su un'autoambulanza devastata dal tiro dei "nostri ragazzi" in missione, ovviamente, di pace.

U.F.


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