Umanità Nova, n 16 del 7 maggio 2006, anno 86
Sabato 15 aprile sono iniziati i primi scioperi a scacchiera per il rinnovo del contratto integrativo (CIA) dei lavoratori Feltrinelli e Ricordi.
La nostra lotta ha suscitato l'interesse dei mezzi di informazione, dei clienti e delle persone che abbiamo avuto modo di incontrare durante i nostri scioperi e volantinaggi sia perché si è trattato del primo sciopero dei dipendenti contro l'azienda in 50 anni di storia che per la forte percezione di un grosso cambiamento sotto le insegne Feltrinelli.
La forte espansione commerciale del gruppo non è passata inosservata: 1 libro su 4 è venduto da Feltrinelli che è diventato il 9° gruppo al mondo per la vendita di prodotti culturali. Dopo la fusione con Ricordi e l'acquisizione delle librerie Rizzoli, le librerie tradizionali hanno lasciato il posto a nuove tipologie di negozio: i megastore che costituiscono la grande scommessa economica dell'azienda, i negozi nei centri commerciali (Feltrinelli Village) e quelli nelle stazioni ferroviarie. La dequalificazione del lavoro è lo specchio di questo processo: i nuovi negozi non hanno più bisogno di librai ma di lavoratori giovani, intercambiabili e flessibili mettendo in secondo piano quella qualità del lavoro e del servizio che ha sempre caratterizzato Feltrinelli.
La trasformazione aziendale sta proiettando in tutto e per tutto Feltrinelli nel panorama della grande distribuzione e non è un caso che i dirigenti alla guida di questa trasformazione provengano da grandi catene commerciali.
La firma del CIA del 2001 ha rappresentato un passaggio centrale di questa trasformazione. I diritti storicamente acquisiti vengono mantenuti per i lavoratori in forza e cancellati per i nuovi assunti.
La discriminazione che questo contratto ha generato è oggi evidente soprattutto nelle grandi città dove i "nuovi assunti" costituiscono la maggior parte dei lavoratori.
La nuova organizzazione del lavoro genera malcontento tra molti di noi. Nasce l'esigenza di confrontarsi anche in vista della scadenza del vecchio CIA. Diffidiamo del sindacato (lo scotto del precedente contratto bidone è ancora forte) così decidiamo di autorganizzarci. Assemblee generali e un questionario distribuito a tutti contribuiscono a elaborare in maniera orizzontale e collettiva la piattaforma rivendicativa per il nuovo contratto: chiediamo l'estensione del CIA a tutti i colleghi che ad oggi ne sono esclusi, una regolamentazione della turnistica che non sacrifichi la qualità della vita, incrementi salariali e garanzie rispetto a mansioni e qualità del lavoro.
È dopo l'elaborazione della nostra piattaforma che cominciano i rapporti con le strutture sindacali: in alcuni grandi negozi vengono elette le RSU per creare un minimo di coordinamento con i delegati delle altre città e perché al di fuori della dialettica sindacato-impresa, rigorosamente concertativa, sarebbe stato difficile e forse prematuro far valere la nostra autorganizzazione fino in fondo imponendoci come controparte all'azienda. Gli scontri tra delegati e CGIL in una prima fase sono anche forti. Ai funzionari nazionali, abituati a valutare i rapporti di forza in funzione del numero di tessere, la nostra determinazione non sembra legittima. In realtà sul piano dei rapporti di forza siamo stati in grado di incidere costringendo il sindacato a sostenere le nostre rivendicazioni, anche se solo temporaneamente.
Presentiamo la nostra piattaforma all'azienda che la respinge totalmente proponendone una propria. Evidentemente credono di poter riproporre il modello del 2001 accentuando le discriminazioni e senza concedere nulla, sicuri di una rapida ed indolore conclusione della vertenza.
Le cose però sono cambiate: le assemblee respingono la loro proposta e indicono uno sciopero di 8 ore per il sabato prima di natale (il giorno con il maggior fatturato dell'anno). L'azienda fa un passo indietro presentando una nuova proposta che viene giudicata come terreno plausibile di trattativa. I funzionari nazionali sospendono lo sciopero. A gennaio si riapre la trattativa ma la proposta che aveva determinato la sospensione dello stato di agitazione è cambiata, in peggio. Una perentoria lettera di Carlo Feltrinelli elimina ogni margine di trattativa. Il 30 marzo il coordinamento nazionale dei delegati dichiara riaperto lo stato di agitazione secondo il vecchio principio "il minor danno per noi, il maggior danno per l'azienda"; reputiamo più incisivo scioperare a scacchiera, per 2 o 4 ore al massimo paralizzando a rotazione e senza preavviso i negozi quando questi sono più vulnerabili. Dilazionando lo sciopero moltiplichiamo il danno! Dal 15 aprile in tutta Italia cominciano a susseguirsi gli scioperi. Le adesioni sono molto alte: spesso i negozi chiudono e quando ciò non accade è grazie alla presenza dei direttori e di personale mandato dalla sede o da altre città.
Anche l'attacco al marchio Feltrinelli assume un ruolo centrale. In questi giorni il blog che abbiamo aperto qualche mese fa si rivela uno strumento formidabile: i lavoratori si scambiano informazioni, materiali, commenti e riflessioni, testimonianze anonime con lo scopo di colpire l'immagine dell'azienda e di tenersi costantemente aggiornati sull'andamento degli scioperi nelle diverse città. Il blog (www.effelunga.blogspot.com) suscita curiosità anche al di fuori dei nostri negozi e una grande irritazione tra i dirigenti perché lo stesso nome "effelunga" (ironica sintesi di Feltrinelli e Esselunga) contribuisce a disvelare le contraddizioni interne alla più grande azienda culturale del paese. Abbiamo rotto il silenzio scioperando per la prima volta, ci abbiamo preso gusto e continueremo fino a quando l'azienda non tornerà sui suoi passi.
Due effelunghi