Umanità Nova, n 17 del 14 maggio 2006, anno 86
Quando ebbi bevuto la coppa di Morte mi si spalancarono gli occhi
allora allora compresi...
Venuta la resa dei conti mi si snebbiarono gli sguardi
allora allora compresi.
(Ahmad, poeta urdu, XVII sec.)
L'annunciata offensiva talebana di primavera continua a non dare tregua
alle forze militari occupanti e alle truppe governative: appena il 22
aprile quattro soldati canadesi erano stati uccisi da una bomba
nell'infuocata provincia di Kandahar, il 5 maggio è stata quindi
la volta di due alpini italiani a Kabul, mentre poche ore dopo un
elicottero Usa, con dieci militari a bordo, veniva abbattuto nella
provincia di Kunar.
Tale intensificarsi della guerriglia filotalebana non appare certo una sorpresa a chiunque abbia avuto modo di seguire l'andamento del conflitto in Afganistan negli ultimi mesi; basti dire che nello scorso marzo le forze statunitensi avevano lanciato un'operazione preventiva, denominata "Mountain lion", nell'area montagnosa tra Afganistan e Pakistan, nota enclave talebana, e da allora i bombardieri B-52 e gli elicotteri d'assalto non hanno mai smesso di colpire la zona.
La situazione militare, per le forze Usa e della Nato, sta comunque ancora peggiorando, specialmente dopo che il potente signore della guerra e del narcotraffico Gulbaddin Hekmatyar, nonché ex-ministro, ha annunciato ufficialmente di schierarsi contro gli occupanti e a fianco dei combattenti jihadisti.
La Nato, che dal 2003 ha rilevato il comando della Forza internazionale sull'assistenza alla sicurezza, meglio conosciuta come Isaf, da parte sua aveva appena annunciato l'aumento verticale del numero delle truppe dell'Alleanza impegnate in territorio afgano da circa 9.000 a circa 17.000 unità, a partire dal prossimo luglio.
Tale incremento d'organico sarebbe finalizzato all'estensione della presenza militare Nato-Isaf anche al sud e all'est del paese, consentendo all'amministrazione Bush di diminuire già da quest'anno il numero dei militari di Enduring Freedom, da 19.000 a 16.500. E, se il buongiorno si vede dal mattino, tale operazione sarà probabilmente per la Nato la missione più difficile dei 58 anni della sua storia, tanto che il portavoce dell'Alleanza Atlantica, James Appathurai, ha significativamente avvertito che "le forze della Nato faranno un uso robusto delle robuste regole d'ingaggio" e che "questo rappresenterà un deterrente efficace contro gli attacchi". Indirizzo confermato anche dal generale italiano Mauro Del Vecchio, comandante uscente dell'Isaf, il quale nel congedarsi dall'incarico aveva annunciato che "le regole di ingaggio e il profilo della missione potranno anche irrobustirsi".
La presenza Nato, come già anticipato, vedrà in particolare l'aumento delle forze armate britanniche, toccando quota 5.700, ma sicuramente tutte le principali nazioni partecipanti all'intervento militare - Italia compresa, attualmente presente con circa 2.000 effettivi dislocati tra Kabul, Herat e unità navali - saranno interessate da analoghi incrementi, anche in virtù del progressivo ritiro dall'Iraq, così come è avvenuto per la Spagna di Zapatero. Contemporaneamente, si allargherà il processo di privatizzazione del conflitto, con un ruolo sempre più esteso affidato a forze mercenarie e agenzie private addette alla sicurezza.
In questo contesto, da un lato il protagonismo politico-militare europeo potrebbe aprire la strada a parziali pacificazioni tra i diversi team provinciali (PRT) con alcune componenti della guerriglia e alcuni poteri clanici, ma allo stesso tempo la perdurante, seppur ridimensionata, occupazione statunitense a tutela degli interessi di Washington continuerà a rendere l'Afganistan un favorevole terreno di scontro e un luogo di coagulo delle più diverse forze anti-Usa, così come il confinante Pakistan da tempo sull'orlo dell'insorgenza interna contro il governo filoamericano.
D'altra parte, le truppe regolari dell'Afghan National Army (Ana) e delle forze di polizia sono ancora ben lontane dal poter svolgere un ruolo determinante di garanzia e difesa del governo. Nell'ambito della riforma del Settore della Sicurezza la responsabilità dell'addestramento dell'esercito afgano ricade sotto il controllo degli Stati Uniti; ma un ruolo di primo piano è svolto dal Battle Group italiano che, oltre a svolgere le normali operazioni militari antiguerriglia, sta contribuendo alla riorganizzazione del sistema carcerario e attuando programmi d'addestramento militare. Secondo fonti ufficiali l'ultimo corso portato a termine era finalizzato "all'acquisizione delle tecniche basilari riguardanti lo svolgimento di pattuglie, le procedure di effettuazione di un posto di blocco, il corretto maneggio di armi leggere con l'apprendimento delle connesse misure di sicurezza, esercitazioni di imboscate e contatto con truppe avversarie, conoscenze di base nel maneggio di un mortaio, gestione di incidenti e addestramento formale connesso all'organizzazione di cerimonie".
Sino a ieri, la rimozione della guerra in Afganistan stava allegramente passando di testimone dal governo di centrodestra a quello di centrosinistra; adesso dopo i morti italiani ci si accorge che l'Italia è coinvolta in una guerra anche in Afganistan; ma neanche quei partiti che si collocano alla sinistra di Prodi, dopo aver da tempo rinunciato a gridare Fuori la Nato dall'Italia, sembrano determinati a sostenere, senza se e senza ma, l'unica opzione possibile: Fuori la Nato dall'Afganistan.
Paradossalmente, dopo non averlo neppure menzionato nelle 280 pagine del suo Programma di governo, soltanto ora l'Unione, per bocca dello stesso Prodi, scopre che "l'Afganistan è un problema".
U. F.