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Umanità Nova, n 18 del 21 maggio 2006, anno 86

Lo stupro umanitario


Che lo stupro in tempo di guerra non sia una conseguenza della guerra stessa, ma un'arma ad essa intrinseca è una realtà terribile e ben conosciuta. Un po' meno "normale" appare però il fatto che le violenze continuino anche a guerra finita e che questo non avvenga ad opera dei "nemici" dell'altro fronte ma sia portato avanti dagli "amici", dai funzionari civili, dai funzionari Onu, dalle ong impegnate in aiuti umanitari...

Eppure questo è dimostrato in un rapporto di Save the Children appena pubblicato e che documenta le violenze su bambine da 8 ai 18 anni in Liberia. Bambine, ragazze, donne che venivano (e vengono) violentate da chi è andato in quel paese per portare aiuto: funzionari Onu, lavoratori delle organizzazioni non governative, ecc. Persone cioè che erano lì per aiutare la popolazione, per ricostruirne un futuro accettabile e che invece queste vite rovinavano per sempre.

Ma quello che mi ha indignato ulteriormente è stato il modo in cui il fatto è stato trattato sui giornali italiani: in nessuno veniva mai pronunciata la parola violenza o stupro. Gli articoli parlavano di baby prostitute, costrette a vendersi in cambio di cibo o altri favori.

Riporto alcuni passi: "bambine costrette a fare sesso in cambio di aiuti" (Liberazione), "...perché se pure non c'è stupro c'è l'abuso evidente di una condizione di necessità" (L'Unità), "...costrette a prostituirsi" (Il Corriere) e così via.

Non è solo una questione di parole: parlare di prostituzione indica uno scambio, anche se minimo, tra le due persone coinvolte. Qui non c'è stato. Queste bimbe non avevano nessuna scelta e nulla gli è stato dato in cambio. Il cibo, il sapone, la razione di medicine, il libro, che veniva dato loro era solo una piccola parte di quello cui avevano diritto non un regalo. Ciascun uomo che "compri" un rapporto sessuale è un violentatore se dall'altra parte non c'è stata libera scelta. Usare la parola prostitute è un insulto ed una ulteriore violenza per queste donne. 

Va anche ricordato che per la legge italiana qualsiasi rapporto sessuale con una bambina è considerato violenza, in qualsiasi modo esso accada. Non dare il giusto nome a quanto è accaduto in Liberia significa fare un'ulteriore, terribile differenza tra i corpi delle donne. Utilizzare la parola prostituzione in questo caso vuol dire spostare la responsabilità facendola passare da quegli uomini infami alla "povertà", parola molto innocua e asessuata. La colpa non è della guerra, o della povertà o della necessità: la colpa è di uomini che non sono degni di questo nome. Il rapporto di Save the children, probabilmente cadrà nel vuoto. Non è il primo né sarà l'ultimo. Alcuni anni fa fu presentato un rapporto dell'Onu sulla violenza contro le donne che riportava atti di violenza ad opera dei funzionari civili della stessa Onu in zone di guerra. Racconti agghiaccianti che però non hanno messo fine ad alcun sopruso né grande né piccolo. Lo stesso rapporto Onu proponeva come soluzione l'istituzione di corsi speciali per gli inviati delle missioni(!!)

Questi fatti dimostrano come chi abbia potere (grande, piccolo, minimo, infimo) lo usa per ottenere dei benefici, incurante della vita altrui. Così come è accaduto in Nigeria dove bambini malati di meningite sono stati utilizzati, a loro insaputa, per testare un farmaco della multinazionale Pfizer: sono stati utilizzati cioè come cavie da laboratorio. Un delitto iniziato dieci anni fa e che per anni è stato tenuto nascosto. Il farmaco, Trovan, non autorizzato in Europa era stato testato su bambini malati: undici sono morti e molti altri ne hanno riportati danni cerebrali e motori. Ma solo oggi viene alla luce la responsabilità di uno dei maggiori colossi del farmaco: anche in questo caso persone che dovrebbero "proteggere" gli altri, ed invece proteggono solo i propri interessi.

R.P.


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