Umanità Nova, n 18 del 21 maggio 2006, anno 86
Il 10 giugno manifesteremo a Torino.
Un anno fa, nella notte dell'11 giugno, nella città della Mole
una squadraccia fascista armata di coltelli e bastoni si introdusse di
notte nella casa occupata Barocchio: due occupanti vennero
accoltellati. Uno di loro, l'intestino trapassato da un fendente,
dovette essere operato d'urgenza. Solo per un caso non c'è
scappato il morto.
La settimana successiva, il 18 giugno, un corteo di denuncia venne
caricato in via Po dalla polizia che trasse in arresto due
manifestanti. Un mese dopo altri arresti. In totale 10 antifascisti,
che trascorreranno un paio di settimane in carcere e, in buona parte,
altri cinque mesi ai domiciliari.
Durante la fuga dalla carica vennero danneggiati alcuni tavolini e
sedie di bar e una vetrina. Tutto questo è valso l'accusa di
"devastazione e saccheggio": un reato che costa dagli 8 ai 15 anni di
reclusione.
Siamo di fronte a una vera e propria torsione politica del diritto:
semplici "danneggiamenti" danno luogo a un'imputazione da tempo di
guerra, da disastro epocale. Venne applicata per il disastro del
Vajont: 3.500 morti e tre paesi spazzati via.
Il 27 giugno comincerà il processo ai 10 antifascisti torinesi.
Questo processo ha una valenza che va ben la di là della Mole.
Il reato per il quale sono perseguiti e per cui rischiano lunghi anni
di detenzione, è, intrinsecamente, un reato di natura
collettiva, poiché prescinde dalle responsabilità
individuali.
L'accusa di "devastazione e saccheggio" palesa la chiara volontà di criminalizzare le manifestazioni di piazza.
Non c'è uno straccio di prova a carico dei 10 compagni. Ma che
importa? A sentire i PM, basterebbe l'intenzione. E che l'intenzione vi
fosse lo deducono dalle biografie politiche redatte dai funzionari di
polizia. Detto in altro modo: sono colpevoli perché anarchici o
antagonisti, al di là della responsabilità individuale
sui fatti loro contestati.
Da qualche anno la magistratura applica le norme in modo follemente
estensivo per limitare la libertà di manifestare e di opporsi al
disordine costituito. Quando non basta ci pensa l'esecutivo ad emanare
leggi sempre più speciali che hanno esteso la categoria di
eversione al punto che anche la protesta pacifica contro un
provvedimento dello stato potrebbe rientrarvi.
Nelle lotte sociali, i reati che possono essere al limite contestati
(dalla resistenza al blocco stradale al danneggiamento all'occupazione
di edificio, ecc.) non portano con sé pene particolarmente alte.
Per questo l'apparato repressivo cerca di inquadrare le proteste
all'interno di fattispecie penali punite più gravemente. Questo
è il motivo del ricorso, ad esempio, ai reati previsti dagli
artt. 270 e 270bis c.p.
In tutta Italia oggi sono aperte inchieste nei confronti di
realtà che hanno posto la questione sociale (casa, reddito,
accoglienza degli stranieri), tutte inchieste accomunate dall'uso degli
artt. 270 e 270bis del codice penale, associazione sovversiva e
associazione finalizzata all'eversione dell'ordine democratico.
Il fatto che venga punita la mera associazione rende queste fattispecie
utilizzabili in modo ampio ed esse possono colpire anche soggetti che
non abbiano commesso alcun reato; l'applicazione di queste fattispecie
presuppone, però, la dimostrazione della sussistenza appunto di
un'associazione, di una stabile struttura, e della finalità
politica che va oltre i singoli fatti eventualmente commessi dagli
associati.
I tentativi di criminalizzare l'opposizione politica e sociale con
l'utilizzo e l'estensione infinita dei reati di natura associativa
è sinora sostanzialmente fallita.
Il caso di Torino spicca nel panorama repressivo, perché la
procura della repubblica sta provando ad imboccare una strada nuova, in
fase di sperimentazione nel processo di Genova per i fatti del G8, e
che in Piemonte si cerca di affinare.
Da un reato di organizzazione, la magistratura torinese cerca oggi di
passare all'utilizzo di un reato di piazza, come quello di devastazione
e saccheggio. La valenza repressiva di quest'operazione è molto
forte e denuncia una tentazione autoritaria che mette in pericolo la
libertà di tutti.
Quest'accusa può colpire in astratto tutti i soggetti
partecipanti ad una manifestazione, indipendentemente dal fatto che
abbiano compiuto atti specifici. Il passaggio da danneggiamento a
devastazione e da furto a saccheggio fa sì che il reato divenga
collettivo, venga cioè imputata una sorta di
responsabilità collettiva a tutti quelli che, partecipando alla
manifestazione, avrebbero consentito, voluto, fors'anche programmato
eventuali danneggiamenti. Chi partecipa a una manifestazione per questo
solo fatto viene investito da un reato gravissimo.
Se il teorema dei magistrati torinesi Laudi e Tatangelo dovesse
passare, i primi a pagare sarebbero i nostri compagni, ma subito dopo
sarebbe il turno dei valsusini, degli antifascisti milanesi incarcerati
l'11 marzo e di chiunque manifesti pubblicamente la propria opposizione
all'ordine costituito.
Gli antifascisti arrestati a Milano per la manifestazione dell'11 marzo
contro l'indecente sfilata fascista nel centro della città sono
accusati di "devastazione e saccheggio".
I No Tav, che l'8 dicembre a Venaus, in Val Susa, si ripresero i
terreni sgomberati con la violenza dei saccheggiatori e devastatori
della lobby tavista , sono inquisiti per "devastazione e saccheggio".
Con questo delirio giuridico si vuole colpire e criminalizzare la mera
partecipazione alle manifestazioni, si vuole attaccare la
libertà di partecipare attivamente alle lotte esprimendo le
proprie idee.
Di fronte alle violenze fasciste, alla predazione delle risorse e dei
beni comuni, allo sfruttamento selvaggio, al razzismo che si fa legge,
alla guerra e al militarismo in questi anni sono scesi in piazza
milioni di uomini e donne.
In Italia ci sono 9000 procedimenti in corso contro i protagonisti delle lotte sociali.
Chi si batte per la casa, il reddito, la libertà di
circolazione… chi si oppone ai CPT-lager, alla predazione delle
risorse e dei beni comuni, allo sfruttamento, alla precarietà,
alla guerra, al militarismo finisce nel mirino di polizia e
magistratura
I fatti di Torino sono prove tecniche di regime alle quali tutti coloro
che hanno a cuore la libertà e la giustizia sociale devono
opporsi con fermezza e determinazione.
Facciamo appello a essere in piazza Torino il 10 giugno: c'è in
gioco la libertà di poter manifestare pubblicamente il proprio
pensiero.
L'antifascismo non si arresta.
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana – FAI
cdc@federazioneanarchica.org
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