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Umanità Nova, n 18 del 21 maggio 2006, anno 86

Armi: un business indecente ma legale
Commercio di Morte


Amnesty International fa di nuovo centro. Questa volta lo fa insieme a TransArms in un rapporto che denuncia le agghiaccianti dinamiche del commercio mondiale di armi.

Il dossier mostra come "operazioni sempre più sofisticate di trasporto e intermediazione permettano attualmente il trasferimento di centinaia di tonnellate di armi in giro per il mondo, sempre più spesso dirette verso paesi in via di sviluppo e destinate ad alimentare conflitti tra i più brutali". In queste operazioni, secondo il rapporto, "sono coinvolti trasportatori e intermediari di Cina, Emirati Arabi Uniti, Israele, Italia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Ucraina e dei paesi balcanici". 

L'Italia, in particolare, è il quarto paese produttore e il secondo esportatore mondiale di armi leggere. 

La richiesta avanzata dalle due organizzazioni è quella di esercitare un migliore e maggiore controllo dei trasferimenti di armamenti per "fermare una catena sempre più in espansione di intermediari, aziende di servizi logistici e trasportatori che alimenta massicce violazioni dei diritti umani nel mondo". 

Questa rete di mediazione, secondo il dossier, "agevola l'export dei principali fornitori di armi verso i paesi in via di sviluppo, che ora assorbono oltre i due terzi delle importazioni mondiali a scopo di difesa, rispetto al 50% degli anni '90". 

Il rapporto descrive "la natura segreta, priva di regole e irresponsabile, di molte operazioni di intermediazione e trasferimento di armi, attraverso lo studio di una serie di casi".
Ad esempio, si sostiene nel documento che "centinaia di migliaia di armi e milioni di munizioni, provenienti dalle scorte della guerra della Bosnia Erzegovina, sono state esportate clandestinamente, sotto la direzione del dipartimento della Difesa Usa. Questo materiale destinato - pare - all'Iraq, è stato trasferito attraverso una serie di società di intermediazione e di trasporto private, compresa una compagnia aerea responsabile della violazione di un embargo delle Nazioni Unite sulle armi destinate alla Liberia". 

Si cita poi il caso di un consistente carico di munizioni ed esplosivi spedito, attraverso uno spedizioniere olandese-britannico, "da una fabbrica brasiliana verso l'Arabia Saudita e le isole Mauritius. Il carico è stato sequestrato dalle autorità del Sudafrica perché privo di licenza di trasporto. Il Brasile aveva autorizzato l'esportazione, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani in corso in Arabia Saudita". 

Oltre ad altre situazioni analoghe, nel dossier vengono denunciati una serie di casi in cui "società private coinvolte in consegne illegali di armi sono state utilizzate, con denaro pubblico, anche a sostegno delle missioni di pace delle Nazioni Unite e per distribuire aiuti umanitari". Guerra è pace, e viceversa.

Ogni anno, secondo i dati di Amnesty International e TransArms, "in tutto il mondo circa mezzo milione di esseri umani sono uccisi dalla violenza armata, una persona al minuto" e "ci sono 639 milioni di armi leggere", di cui otto milioni prodotte ogni anno. La spesa media annuale per  l'acquisto di armi nel mondo, invece, è di 22 miliardi di dollari.
In buona sostanza, il rapporto di Amnesty International e di TransArms affronta un punto cruciale intorno al quale si avviluppano spesso le prese di posizione più ipocrite e accomodanti. L'assoluta deregolamentazione in materia di traffico d'armi è ad un tempo causa ed effetto dell'assunzione della guerra come paradigma permanente e infinito nelle relazioni globali. Su tutto domina il mercato, la logica dell'accumulazione capitalistica, e la strutturale necessità di scatenare focolai di conflitto nel sud del mondo per ingrassare le tasche dei produttori di armi nel nord del mondo. Ed è così che gli occidentalissimi trasportatori e intermediari che forniscono strumenti di morte e devastazione ai paesi in via di sviluppo sono gli stessi soggetti che prendono appalti pubblici per garantirsi la propria fetta nel lauto business delle missioni di pace, delle ricostruzioni e dei "dopoguerra" che non finiscono mai. Il tutto, sotto l'egida delle Nazioni Unite o dietro diretto controllo del Pentagono. Giusto alcuni giorni fa, un'altra importante organizzazione non governativa – Save the children - ha scoperchiato un'altra pentola di quotidiano orrore: le bambine rinchiuse nei campi profughi in Liberia sono sfruttate da coloro che dovrebbero proteggerle: i caschi blu, i volontari delle organizzazioni umanitarie, i loro insegnanti. Le comprano con un po' di cibo, un cellulare o un giocattolo e poi abusano di loro. 

Sulla base di quanto raccontato da 315 persone (la metà di queste risiede ancora nei campi profughi dove ha trovato riparo a causa della guerra civile che ha insanguinato il paese per anni) è emerso che ragazzine e bambine sono sfruttate sessualmente dal personale che dovrebbe aiutarle a crescere. Così è scritto nel rapporto: "Le autorità del campo, operatori umanitari, uomini d'affari, caschi blu, funzionari governativi e anche insegnanti sono citati frequentemente". 

Amnesty International, TransArm e Save the children non sono né possono considerarsi dei soggetti politici. Tanto meno si può confonderli con soggetti che fanno dell'antimilitarismo o della lotta al potere in quanto tale una prassi specifica.

Tutte e tre le organizzazioni si occupano ottimamente, come molte altre nel mondo, di tutela dei diritti umani, di rispetto dell'etica nelle politiche pubbliche, di difesa degli individui dall'arbitrio del potere.

Eppure, i risultati delle loro inchieste confermano ancora una volta quello che gli anarchici sostengono da sempre: la guerra è il terrorismo degli stati, e il terrore del potere passa attraverso la spietata ipocrisia di chi proclama la pace e il benessere ammazzando la gente, spacciando armi e violentando donne e bambine.

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