Umanità Nova, n 18 del 21 maggio 2006, anno 86
La Torino e la sua provincia postolimpiche mostrano i segni delle trasformazioni che il loro tessuto produttivo ha subito negli ultimi dieci anni. Schematicamente, possiamo dire che tre erano e sono i poli intorno cui ruotava/ruota l'attività economica ed imprenditoriale: Torino, con l'industria dell'auto; Ivrea e il Canavese con l'industria elettronica ed informatica; la Val di Susa con i suoi perenni cantieri aperti autostradali, stradali e ferroviari.
Fiat e Fiat Auto in particolare sono state al centro di un triplo movimento, di esternalizzazione, precarizzazione dei contratti di lavoro e di dimagrimento. Tutte le aziende del gruppo Fiat sono state interessate al generale processo di esternalizzazione di interi pezzi di ciclo produttivo, quelli, si dice, non legati al core business, affidati a ditte esterne specializzate in logistica piuttosto che nelle pulizie, nel confezionamento e immagazzinamento materiali piuttosto che nella gestione dei flussi energetici e nel trattamento dei residui di lavorazione. Le aziende destinatarie della esternalizzazione possono essere state aziende dello stesso gruppo Fiat (come Fenice per i flussi energetici) oppure no (come TNT per la logistica o le varie aziende di pulizia). Contemporaneamente, dall'entrata in vigore della legge 196/97 (pacchetto Treu) con l'introduzione nel nostro ordinamento del lavoro interinale e con la legge 30/03 (legge Biagi) e la sua selva di tipologie di contratti di lavoro precario (decreto legislativo 276/03 di attuazione), la composizione della forza lavoro si è in parte modificata con il massiccio uso soprattutto del lavoro interinale e del contratto a tempo determinato (grazie alla sua pratica liberalizzazione contenuta nel decreto legislativo 368/01). A ciò si aggiungano le procedure di mobilità che si sono susseguite periodicamente sull'onda della crisi di Fiat Auto: su base volontaria e scivolo verso la pensione con un incentivo economico sono stati eliminati dalla fabbrica ampi gruppi di lavoratori fortemente garantiti e dagli alti costi per il datore di lavoro, perché, data l'età, ancora beneficiari di trattamenti economici e normativi del passato. I lavoratori non andati in mobilità hanno pagato un altissimo prezzo al risanamento di Fiat Auto con lunghi periodi di cassa integrazione che ha falcidiato i loro salari. Accanto alla crisi del settore auto, il gruppo Fiat ha però visto ad esempio Iveco sempre in ottimo stato di salute, mentre Teksid è andata verso una pratica liquidazione. Iveco, va notato, con i conti in ordine e un'ottima posizione sul mercato ha di fatto visto esaltare i benefici effetti di terziarizzazioni, precarizzazione dei contratti di lavoro e svecchiamento del personale; per essa, che in crisi non era, l'uso degli strumenti contro la crisi si è risolta in un puro profitto sia economico che di controllo del personale.
Il polo informatico del Canavese, incentrato sull'Olivetti di Ivrea e sulla Bull di Caluso, semplicemente non esiste più, si è dissolto. Olivetti prima ha fatto a pezzi i vari settori produttivi da cui era composta, li ha venduti e ha acquisito Telecom Italia, assumendone il nome. Solo una delle aziende del gruppo si chiama ancora Olivetti e fa stampanti e macchine per ufficio in Cina, mettendoci sopra il glorioso marchio. Il resto è stato ceduto o ad aziende poi fallite (come il settore personal computer) oppure ad aziende a loro volta smantellate lentamente (come il settore reti informatiche ceduto all'americana Wang e poi a Getronics). La Bull di Caluso (stampanti di fascia alta) prima è passata alla Compuprint e poi è entrata nel buco nero Finmek, gruppo padovano specializzato nel rilevare in tutta Italia aziende elettroniche con la scusa del risanamento per drenare risorse pubbliche; anche il settore pc di Olivetti è finito nell'orbita Finmek ed è poi fallito una seconda volta nel giro di pochi anni. La Finmek è stata poi ammessa all'amministrazione straordinaria, cioè praticamente è fallita con tutto il suo corteo di aziende decotte e spolpate. Migliaia di lavoratori, tra cui molti canavesani, da anni campano di cassa integrazione, senza alcuna possibilità di riprendere una seria attività produttiva.
Il declino dell'industria manifatturiera a Torino e provincia, secondo la classe politica locale, di tutti i colori, deve esser compensato dallo sviluppo turistico, trainato dall'evento olimpico: Torino deve diventare un polo fieristico e di eventi, mentre ad Albiano, in Canavese, dovrà sorgere un parco divertimenti di dimensioni disneyane, il cui progetto è già stato approvato dalla Regione Piemonte. Una città vetrina, un territorio vetrina. Dove il potenziamento delle strutture universitarie (si pensi al raddoppio del Politecnico) si accompagna alla lievitazione dei canoni di affitto per le case, stante la forte domanda studentesca. Dove le migliaia di metri cubi di edilizia residenziale costruiti negli ultimi cinque anni testimoniano delle enormi risorse disponibili da qualcuno orfano degli investimenti in borsa e del basso costo del denaro che ha permesso il boom dei mutui immobiliari, il cui esito finale è tutto da verificare. Va da sé che l'edilizia è settore ove lo sfruttamento di lavoratori extracomunitari non regolarizzati o con la spada di Damocle del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro è più intenso, con le ovvie ricadute sul tessuto sociale della città e del territorio.
La Valle di Susa è da molti anni un cantiere perenne e, se il progetto del TAV non sarà fermato, rischia di continuare ad esserlo almeno per i prossimi venti anni. L'economia del cemento ha portato con sé la criminalità organizzata che si è stabilmente radicata nell'alta valle (con l'eclatante episodio del consiglio comunale di Bardonecchia sciolto per motivi di inquinamento mafioso) e nelle località turistiche dello sci, complice anche la frontiera con la Francia. La Valle di Susa luogo di traffici e trame oscure è un polo di attrazione di ingenti risorse economiche e degli appetiti che esse si portano dietro, periodicamente agli onori delle cronache per qualche arresto, come nel caso della società che ha costruito e gestisce l'autostrada che ha violentato la valle, la Sitaf.
Come si vede, un quadro dalle forti contraddizioni, dove sicuramente la forbice sociale si va allargando, dove le sacche rimaste di lavoro stabile sono assediate dalla moltitudine dei sotto pagati e dei sotto tutelati, dove la ricostruzione di un tessuto di solidarietà tra sfruttati è arduo e complesso. Questo compito passa per la presa d'atto di ciò che è successo e dalla lucida analisi delle cause, nonché del progetto che nell'accaduto si manifesta. Urge quindi smascherare il disegno sotteso agli ultimi anni di vita sociale politica economica torinese e piemontese e far cadere il velo di lustrini che copre il gigantesco dirottamento di risorse comuni verso le tasche di pochi e la polarizzazione della società tra chi ha potere e cultura e chi per campare lucida e spazza il salone delle feste di qualcun altro.
Simone Bisacca