Umanità Nova, n 18 del 21 maggio 2006, anno 86
Dopo 56 giorni di sciopero della fame i quattro prigionieri politici mapuche, detenuti nell'infermeria del carcere di Temuco, denunciano i maltrattamenti e le torture psicologiche cui sono sottoposti per aver rivendicato il loro diritto ad avere giustizia.
Dopo essere stati tradotti a forza, contro la loro volontà, nell'infermeria di Temuco, che si trova in territorio Mapuche, sono stati sottoposti ad alimentazione forzata; mentre alcuni, debilitati, hanno dovuto sottostare, altri hanno reagito rompendo i contenitori. Incatenati al letto per tutta la notte sono stati poi "liberati" per la visita medica. Le condizione igieniche dell'infermeria sono pessime e inoltre, in essa, vengono ospitati malati che potrebbero trasmettere le loro malattie ai fisici già debilitati dei mapuche in lotta.
Per finire essi devono assistere ogni giorno alla distribuzione dei pasti agli altri degenti, devono odorare il profumo del pane caldo e del cibo servito: una tortura psicologica quotidiana.
Ma nonostante tutto essi resistono e al grido di "Libertà o morte per tutti i detenuti politici mapuche" chiamano alla solidarietà e alla lotta il loro popolo, le comunità di resistenza, le varie organizzazioni mapuche e quanti hanno a cuore la libertà e la giustizia per ogni essere umano.
I loro nomi: Juan Patricio Marileo, Jaime Marileo, Juan Carlos Huenulao, Patricia Troncoso.
Da Temuco domenica 7 maggio.
Accusati di aver appiccato un incendio in un fondo forestale quattro
attivisti mapuche, condannati a dieci anni di carcere, sono in sciopero
della fame dal 13 marzo. Protestano contro il governo cileno che
continua ad applicare, nonostante la tanto sbandierata democrazia, le
vecchie leggi antiterrorismo del boia Pinochet. In base a tali leggi
ogni atto di protesta di trasforma in un'azione terroristica da punire
duramente. Le manifestazioni mapuche, a sostegno dei detenuti, vengono
attaccate e disperse dai Carabineros, come quella del 21 aprile a
Valparaiso.
Attualmente sono dodici i mapuche rinchiusi nelle carceri cilene grazie a queste leggi. La domanda di revisione dei processi, avanzata dalle organizzazioni mapuche al nuovo governo di Michelle Bachelet, è rimasta per il momento lettera morta. In questo il governo attuale su muove in sintonia con i governi precedenti. Come se la questione indigena non esistesse in Cile, come se prima della "conquista" non esistessero popolazioni autoctone con le loro lingue, le loro consuetudini, le loro concezioni d'uso collettivo delle terre e delle proprietà. A dimostrazione di quanto dia fastidio ai governi cileni affrontare la questione indigena sta il fatto che, pur avendo sottoscritto il Trattato internazionale sui Popoli indigeni nel 2000, sono bei sei anni che il senato si rifiuta di ratificarlo.
Il rifiuto di affrontare la questione dei mapuche è quindi pressoché totale, con l'unica, furba, eccezione della Bachelet che, con la sua legge sul riconoscimento dei Popoli Autoctoni, in realtà tende a favorire i grandi proprietari terreni ed a ignorare le richieste indigene. Non a caso tutte le organizzazioni mapuche e le centrali sindacali vi si sono opposte decisamente, costringendo la premier a fare un passo indietro.
Attualmente le organizzazioni dei Mapuche che hanno sede in Belgio, in Svezia e Gran Bretagna, si stanno mobilitando per sensibilizzare l'opinione pubblica affinché l'Unione Europea condanni la sistematica violazione dei diritti umani delle popolazioni indigene in Cile, per costringere il governo presieduto dalla socialista Bachelet, verso la quale si sono tributate grandi dichiarazioni di simpatia, al riconoscimento pieno della libertà del popolo mapuche.
All'interno di questa mobilitazione si inscrive il giro di
conferenze, organizzato dall'Associazione del lavoratori cileni in
esilio, tenuto recentemente in Italia (ad Alessandria, Milano, Casale,
ecc.) da Rayen Kvyeh, notevole figura di attivista mapuche,
giornalista, scrittrice di teatro e poetessa, teso ad informare sulla
situazione del suo popolo e a sollecitare solidarietà.
CHI SONO I MAPUCHE
I mapuche, termine che significa "uomini della terra" nella loro lingua Mapudungun, abitano da sempre nella zona meridionale del Cile e dal seicento anche nell'Argentina del Sud. Il loro territorio si estendeva per trenta milioni di ettari. Organizzati su una base completamente locale che diventava federale in caso di necessità (soprattutto in occasione degli attacchi dall'esterno) sono stati in grado di difendersi per secoli dalle invasioni degli inca e dei conquistadores spagnoli che furono costretti a riconoscere la loro sovranità sui territori a sud del fiume Bio Bio. Solo nel 1881 l'esercito cileno cominciò ad occuparne le terre, costringendoli, in parte, all'esilio in Argentina. Attualmente sono solo 250.000 gli ettari presidiati dalle comunità mapuche che contano a resistere, nonostante le migrazioni di molti di loro nelle città per poter sopravvivere, alle politiche degli espropri e degli spostamenti forzati ad opera del governo.
Ma non hanno alcuna intenzione di soccombere, forti delle loro tradizioni e delle modalità organizzative.
Come dice Rayen "Viviamo in comunione con la terra. La nostra struttura sociale è fatta in maniera tale che tutte le comunità sono indipendenti tra loro, protette da un machi e amministrate da un lonko, che rappresenta il rapporto tra il popolo mapuche e la terra. Ma l'autorità più importante è il filosofo, a cui spetta il compito di tramandare la storia e la memoria del nostro popolo da una generazione all'altra. Tra le comunità non c'è una struttura piramidale, ma orizzontale. In caso di pericolo si formano delle unità territoriali tra le varie comunità, con un capo eletto democraticamente. Questo significa che se il capo viene meno, viene sostituito. È grazie a questa struttura che i mapuche hanno resistito a qualsiasi tentativo di invasione".
max