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Umanità Nova, n 19 del 28 maggio 2006, anno 86

Afganistan
La Nato non lascia e raddoppia


Ora che gli Stati Uniti hanno rovesciato la struttura del potere di quella che è stata una lunga guerra civile, una spirale di violenza, una guerra tribale, crede davvero che le cose siano arrivate a una conclusione?
(Arundhati Roy, 1 dicembre 2001, intervista su La Repubblica)

Dopo le prime bare italiane giunte da Kabul, anche a sinistra e nel movimento pacifista ci si comincia ad accorgere che in Afganistan c'è una guerra mai terminata; mentre viene annunciato che dal prossimo luglio, le forze Isaf-Nato passeranno da 9.000 a circa 17.000 effettivi.

Decisione questa accompagnata dalla più che esplicita dichiarazione del 19 maggio espressa dal segretario generale della Nato: "La Nato manterrà la rotta e chi cercherà di impedirlo non avrà alcuna possibilità. Il piano operativo è solido e anche le regole d'occupazione sono solide".

Intanto divampa l'offensiva primaverile, a stento contrastata anche dalle forze aeree occidentali; gravissimi i combattimenti, gli attacchi e gli attentati avvenuti nella scorsa settimana nelle province di Kandahar, Helmand, Uruzgan, Ghazni ed Herat, con centinaia di morti, tra insorti filotalebani, civili, forze governative e militari stranieri.

Dall'area del volontariato, dopo che l'Afganistan era scomparso dalle parole d'ordine della Giornata internazionale contro la guerra e le occupazioni militari dello scorso 18 marzo, adesso un appello sottoscritto da Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Gino Strada (Emergency) e Alex Zanotelli (ex-direttore di Nigrizia), si spinge a chiedere al nuovo parlamento italiano "di interrompere le missioni militari in teatri di guerra e ritirare le truppe italiane dall'Iraq e dall'Afganistan" e "di non rifinanziare queste missioni di guerra", con l'immancabile quanto ormai patetico riferimento all'art.11 della Costituzione.

Dopo anni di silenzio tombale, a tale appello stanno quindi aderendo anche varie personalità, minoranze interne e partiti di sinistra, mentre l'asse politico del nuovo governo - a partire dai Ds - continua a sostenere una presunta diversità tra gli interventi in Iraq e in Afganistan. 

Ed anche "Il Manifesto", dopo mesi di silenzio pre-elettorale, sta scoprendo tale conflitto, pur astenendosi da posizioni troppo radicali; basti dire che, sulle sue pagine, solo attraverso un'intervista all'esperto Alessandro Colombo gli affezionati lettori del "quotidiano comunista" lo scorso 14 maggio hanno per la prima volta appreso che il governo del "pacifista" Zapatero ha ritirato le truppe spagnole dall'Iraq per incrementare la propria presenza militare in Afganistan. 

Eppure, oltre ai continui attacchi della guerriglia e le azioni di guerra delle forze occupanti, le cifre parlano da sole. 

L'aggressione militare Usa alla fine del 2001 ha provocato la morte di 14 mila afgani, di cui circa 4 mila civili. A queste vittime vanno aggiunti 15-20 mila civili afgani morti nei mesi seguenti la fine del conflitto per le malattie e la fame indotte dalla guerra. Cifra alla quale vanno aggiunti altri 5.000 morti causati dai combattimenti e dagli attentati verificatisi nei tre anni successivi alla caduta del regime talebano. Soltanto nel 2005 la "guerra preventiva" in Afganistan ha ucciso più di 1.900 persone; mentre, dall'inizio del 2006, si contano già quasi 800 vittime, con un forte aumento dei caduti tra le forze Usa e del contingente Isaf (International Security Assistance Force) a guida Nato.

Ma, nonostante tutto questo, il governo di centrosinistra - così come ha da sempre sostenuto lo stesso Prodi - non solo continuerà a far parte della missione Isaf-Nato, ma prevedibilmente deciderà per aumentare il numero dei militari italiani (oggi circa 2 mila) già presenti sia a Kabul che nella regione di Herat dove operano 4 Prt (Provincial Reconstruction Teams) rispettivamente a guida italiana, spagnola, lituana e statunitense, oltre alla Fsb (Forward Support Base) di competenza spagnola.

Per motivare e legittimare l'intervento militare italiano in terra afgana, il centrosinistra continua ad utilizzare la presunta copertura di un mandato Onu per una missione di "polizia internazionale"; ma in realtà si tratta di una coperta assai corta, per quanto riguarda i compiti realmente svolti, ma soprattutto rispetto al comando assunto dalla Nato che nessuna risoluzione ha mai deliberato.

Vediamo comunque le tappe dell'interventismo Nato che peraltro, come fu per l'aggressione del '99 contro la Serbia, appare in contrasto persino con lo stesso Statuto dell'Alleanza, nata ai tempi della "guerra fredda" con motivazioni formalmente di carattere difensivo.

Il 14 settembre 2001, mentre era in preparazione l'attacco Usa denominato Enduring Freedom, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, con la Risoluzione n.1378, affermava la decisione di sostenere l'istituzione di una nuova amministrazione transitoria in Afganistan nella prospettiva di un futuro governo; il 6 dicembre 2001 l'impegno veniva quindi reiterato con la Risoluzione n.1383, in occasione della firma dell'Accordo di Bonn del 5 dicembre 2001 tra i rappresentanti delle diverse etnie afgane. 

Il 20 dicembre seguente lo stesso Consiglio di Sicurezza, con la Risoluzione n.1386, autorizzava la costituzione di una International Security Assistance Force (Isaf), avente il compito di assistere l'Autorità interinale afgana nel mantenere la sicurezza a Kabul e nelle aree limitrofe. Il 23 maggio 2002 con la Risoluzione n.1413, era autorizzata la prosecuzione di Isaf, per ulteriori sei mesi. 

Il 21 novembre 2002 la Nato annunciava che la Germania e l'Olanda assumevano il Comando di ISAF succedendo alla Turchia e che la Nato stessa avrebbe fornito alle due nazioni supporto in talune aree. Il 27 novembre 2002 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvava la Risoluzione n.1444, con la quale veniva prolungata la missione Isaf, per ulteriori dodici mesi, e si prendeva atto che il Comando di Isaf era assunto congiuntamente da Germania ed Olanda al termine del mandato della Turchia.

Il 16 aprile 2003 la Nato decideva di incrementare il proprio impegno con l'Isaf., in formale accordo con le Autorità afgane, il segretario generale dell'Onu e gli stati confinanti con l'Afganistan. 

Il 25 giugno 2003 venivano nominati il comandante ed il vice-comandante dell'operazione Isaf a guida Nato. Erano due generali, di nazionalità rispettivamente tedesca e canadese.

L'11 agosto 2003 la Nato assumeva il Comando dell'operazione Isaf. 

Il 13 ottobre 2003 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvava la Risoluzione n.1510, con la quale autorizzava l'estensione del mandato dell'Isaf al di fuori di Kabul e nei suoi dintorni e la prosecuzione della missione per ulteriori dodici mesi.

Il 19 dicembre 2003 la Nato rendeva noto che il Consiglio Atlantico aveva deciso l'allargamento dell'Isaf inglobando il Prt a guida tedesca di Kunduz, e il 6 gennaio 2004 ne assumeva il diretto comando. 

Il 1° giugno 2004 la Nato prendeva il controllo dell'aeroporto internazionale di Kabul, in precedenza presidiato dall'aeronautica tedesca.

Il 28 giugno 2004, in occasione del Vertice di Istanbul, la Nato decideva di espandere la propria presenza in Afganistan assumendo, tramite l'Isaf, il controllo di quattro nuovi Prt, e di inviare ulteriori forze in occasione delle elezioni, quale sostegno al processo democratico. A tale fine ogni Prt veniva rinforzato con una compagnia (circa 100 uomini). Inoltre, veniva schierata una forza di reazione rapida di circa 1.000 militari, mentre ulteriori truppe vennero poste in stato di allerta.

Detto questo, considerato che nel parlamento italiano tutti i partiti riconoscono e accettano trasversalmente la Nato - comprese le servitù e le basi disseminate sul nostro territorio - appare fin troppo chiaro come e perché la guerra in Afganistan continua a non suscitare interesse né opposizione, ma solo retorica e disinformazione.

U.F.


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