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Umanità Nova, n 19 del 28 maggio 2006, anno 86

La necessaria attualità dell'antifascismo
La destra tra mazzieri e politici


Questo testo, in una versione lievemente diversa, è stato esposto lo scorso 3 dicembre in occasione del Convegno "Lo Stato in piazza" organizzato a Milano dai compagni della Federazione Anarchica Milanese nell'ambito delle iniziative organizzate dalla FAI (le prime due si svolsero a Reggio Emilia e Carrara) in occasione dei 60 trascorsi dal primo congresso della FAI. In questi mesi segnati da una dura repressione nei confronti degli antifascisti a Torino come a Milano, la riflessione proposta da quest'articolo richiama l'attenzione sul clima generale di intolleranza, di razzismo e di sessismo che da tempo si va respirando e che fa da brodo di cultura per gli odierni squadristi, in azione ed in pectore; i quali non fanno altro che mettere in pratica quello che a livello istituzionale e sulla stampa è ormai luogo comune, frutto di quella sindrome sicuritaria che individua nel "diverso" il responsabile di ogni male.


Parlare ancora di antifascismo, a sessant'anni da quel fatidico 1945 che vide la liberazione dal nazifascismo, può oggettivamente apparire come anacronistico.

Potrebbe, in effetti, essere una pagina consegnata alla storia, invece proprio l'accanimento, con cui da più parti si vuole rimuovere o stravolgere quella pagina, indica quanto bruci ancora quella che fu e rimane l'unica insurrezione collettiva che, seppur per breve tempo, risultò vittoriosa in Italia suscitando gravi preoccupazioni tra i detentori del potere economico e politico.

Un potere che, attraverso la continuità dello Stato e delle strutture del capitalismo, è uscito indenne da quella breve rivoluzione, continuando ad utilizzare - quando necessario - le armi del fascismo.

Anche se oggi appare tutto cancellato, in questi ultimi sessant'anni in Italia il fascismo non ha mai smesso di essere uno dei principali attori politici, seppure con diversi abiti di scena, lasciandosi dietro una lunga scia di violenze, dolore e terrore che ha ininterrottamente attraversato gli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta.

Per questo, l'antifascismo rimane tutt'ora necessario ed attuale innanzitutto per comprendere una realtà che in questi ultimi anni ha dovuto registrare l'affermazione di un clima culturale che alimenta un nuovo rafforzamento dell'estrema destra.

Questo rafforzamento non è dato tanto dalla crescente intensità di attentati, provocazioni e aggressioni squadristiche culminate nell'ultimo anno con diversi tentativi di omicidio, ed anzi questo aspetto, seppur pericoloso e assolutamente da non sottovalutare, appare semmai l'anello debole della "fascistizzazione" che sta investendo pesantemente rapporti sociali, atteggiamenti di gruppo e dimensioni individuali.

Alcune centinaia di giovani e giovanissimi aspiranti squadristi dal coltello facile, ma con livelli minimi di consapevolezza politica, infatti non potrebbero di per se rappresentare un grande segnale d'allarme, se non fosse per un certo brodo di coltura in cui questi nuotano e per un clima generale di intolleranza, razzismo e sessismo che da tempo si va respirando.

Considerando la sistematica distruzione, sia nel presente che nel passato, di tutto quello che in qualche modo significa e ha rappresentato vivere, conoscere, comunicare, lavorare, pensare, lottare collettivamente e in prima persona, c'è davvero da fare festa se è ancora possibile difendere e mantenere gli attuali spazi di libertà, uguaglianza, solidarietà, attivismo.

Non si può infatti far finta di non vedere come e quanto sono declinati i rapporti tra le persone e persino tra quanti condividono analoghe condizioni di sfruttamento, così come sono stati terremotati i luoghi d'aggregazione nelle città, le forme dell'organizzazione di classe e del conflitto sociale, ma anche i tempi delle nostre vite.

Altresì non si può non registrare il dilagare irrazionale della paura e dell'avversione verso l'altro, grazie all'opera continua degli imprenditori e speculatori politici del razzismo, della xenofobia, dell'odio feroce verso chi è ritenuto una potenziale insidia alle nostre sicurezze di plastica solo perché ha in volto la miseria o l'orrore della guerra.

Le nostre strade, i nostri discorsi, i nostri posti di lavoro, i nostri stadi, i nostri bar trasudano già inquietanti livelli di violenza, discriminazione, prepotenza che prefigurano il fascismo come mentalità autoritaria e struttura gerarchica della vita sociale.

Infatti fascismo è anche stare dalla parte del vincente di turno, disprezzando e prendendosela con chi ci è più vicino, con chi non può difendersi o con chi ha invece trovato il coraggio di rivoltarsi contro i potenti, oppure semplicemente essere pronti a ricorrere all'uso della violenza con qualsiasi pretesto.

Emblematico quanto accaduto a Roma lo scorso autunno.

Infatti dietro il feroce quanto insensato omicidio di Giuseppe Silvestri, 42 anni, prima travolto con l'auto e poi ucciso a pistolettate, davanti agli occhi della moglie e dei figli, fuori da un ristorante della Magliana, c'erano due noti nazi della cosiddetta "Legio Aurelia", i fratelli Andrea e Luciano Calisti, rispettivamente di 26 e 33 anni, attivi nelle iniziative di piazza contro gli immigrati.

I due assassini sono finiti in carcere, ma viene da chiedersi quanti immigrati, prostitute o senza dimora sono stati anonime vittime di questo genere di violenza apparentemente senza movente politico, eppure frutto anche di un'ideologia antiumana che rivendica la supremazia del più forte.

La lista infatti dei "nemici" da annientare è infatti infinita quanto ossessiva. In un volantino del fantomatico Movimento Nazionale Risorgista, tale elenco comprende "immigrati clandestini, malavitosi, spacciatori, corrotti, delinquenti, mafiosi, usurai, anarchici, drogati, profittatori, buonisti, internazionalisti, pedofili, sfruttatori, scafisti, moralisti, ladri"; mentre da un volantino firmato Verona Ariana si apprende che "l'unico zingaro buono… come l'unico giudeo, maomettano, clandestino/terrorista, comunista, anarchico, massone, negro, giallo, drogato e finocchio… è soltanto quello morto". 

Eppure dietro a queste espressioni deliranti di intolleranza, caratteristiche di frange "naziskin", vi sono personaggi di una destra radicale colta che, magari riprendendo le tesi di Evola, teorizzano una nuova "rivolta contro il mondo moderno" e denunciano l'eterna cospirazione mondialista che vede l'alleanza globale di lobby ebraiche, massoneria, alta finanza statunitense, mirante a distruggere l'Europa delle nazioni, dei popoli ariani, del tradizionalismo spirituale, favorendo l'immigrazione comunque definita "selvaggia" e il meticciato.
E su tali posizioni si ritrova una destra che va dall'ex presidente del Senato Marcello Pera a gruppi apertamente filonazisti, passando dalla Lega Nord, da Forza Nuova, dalle schegge di Fiamma Tricolore, ma anche da settori di Alleanza Nazionale.
Infatti dietro la rinnovata aggressività dell'estrema destra militante non è difficile scorgere sceneggiatori, finanziatori e suggeritori politici facenti capo alle destre governative, oltre a lampanti benevole compiacenze nell'apparato statale.

Quello stesso apparato che, tramite giudici e poliziotti, puntualmente arresta, denuncia e persegue penalmente i militanti antifascisti, come si è visto in particolare a Milano, Rovereto, Torino e Taranto.

Quello stesso apparato che, tra le file delle forze del cosiddetto ordine, arruola e mantiene in servizio individui che non perdono occasione per palesare le proprie convinzioni fasciste; come si è visto nel 2001 a Napoli e Genova ai danni dei manifestanti no-global, più a Roma contro i tifosi di sinistra del Livorno, ma anche come emerso dai reportage nei CPT di Milano e Lampedusa.

Niente di cui meravigliarsi se si ha presente la continua denigrazione della lotta partigiana ad opera degli esponenti della cultura dominante, il continuo revisionismo storico intento a riabilitare il regime di Mussolini, la richiesta di grazia per il boia nazista Priebke avanzata da personaggi della destra, le proposte ministeriali di affondare le imbarcazioni cariche di disperati, l'accanimento proibizionista di A.N. o il continuo evocare vagoni piombati e forni crematori per gli immigrati da parte degli esponenti della Lega Nord, per comprendere che la propaganda di certi gruppi estremi è tutt'altro che l'isolato nostalgico delirio di formazioni fuori dal tempo.

Non è certo azzardato affermare che i nazifascisti non fanno altro che mettere in pratica quello che tra la destra istituzionale e sulla stampa è normale prassi quotidiana, inserendosi pienamente in quell'allarmismo sicuritario che non risparmia neppure le città governate dal centro-sinistra.

Sovente le aree del sedicente antagonismo di estrema destra, attaccano verbalmente i partiti del centro-destra (salvo poi essere stringere intese elettorali con essi), così come i poteri forti e la mentalità borghese, ma nei fatti gli obiettivi delle loro spedizioni sono gli stessi che vengono criminalizzati dalle forze di governo: i migranti, i comunisti, gli anarchici, i diversi, i centri sociali, i sindacati di base…

Basta leggere, ad esempio, cosa scrivono in continuazione testate quali "Il Foglio", "Il Giornale", "Libero" o "La Padania" contro gli scioperi, sulle presunte invasioni di immigrati o nei confronti dei centri sociali, puntualmente presentati come covi di drogati, deviati e terroristi, per rendersi conto come, in realtà, i "rivoluzionari nazionali" con la testa più o meno rasata sono portatori ed esecutori di un'ideologia contigua a quella dei benpensanti borghesi che vorrebbero ancora più polizia e ancora più repressione in questa società in cui libertà, autogestione ed uguaglianza sono ormai parole proibite.

L'elenco statistico dei luoghi oggetti di incendi e devastazioni compiuti negli ultimi anni conferma tale sintonia: al primo posto centri sociali e case occupate, quindi le sedi di organizzazioni politiche, sindacali e partigiane; ma anche di associazioni solidali come l'Opera Nomadi ed anche negozi di proprietà di immigrati o ebrei.

Per questo, mai come in precedenza, la pratica antifascista si trova a dover affrontare ben oltre le contingenze di una necessaria autodifesa nei confronti della manovalanza a caccia di soggetti ritenuti diversi o asociali, di sovversivi - veri o presunti - con cui prendersela in nome della difesa della nazione, dell'ordine e della gerarchia.

È infatti indispensabile sviluppare la conoscenza e l'azione preventiva nei confronti dei gruppi nazi-fascisti che s'incaricano di incendiare centri sociali e sedi dell'opposizione di classe, di compiere aggressioni, di moltiplicare l'intolleranza razziale; così come è indispensabile riannodare tra le diverse generazioni i fili della memoria dispersa.

La pratica antifascista torna quindi ad intrecciarsi con la critica radicale dell'esistente e la prospettiva rivoluzionaria di una società senza sfruttatori, affinché non sia proprio l'estrema destra ad inserirsi nelle contraddizioni sociali e nella perdita di senso collettivo per suggerire un generico ribellismo "contro il sistema", pronto a scagliarsi sul nemico più facile.

Una pratica quindi che veda moltiplicarsi le esperienze solidali di autorganizzazione e antirazzismo, in grado di tradursi in conseguente resistenza sociale al capitalismo, per la libertà di vivere senza imposizioni.

M.R.


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