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Umanità Nova, n 20 del 4 giugno 2006, anno 86

2 giugno: rifiutare lo stato e i suoi compleanni
La parata degli assassini


Alcune recenti dichiarazioni di Fausto Bertinotti sulla ricorrenza del 2 giugno hanno suscitato un certo clamore nel mondo politico e non solo. Il neopresidente della Camera ha garantito la propria presenza alla parata che si terrà quel giorno a Roma spiegando che questo fa parte dei suoi doveri istituzionali, nonostante che – se fosse per lui – sarebbe meglio che il 2 giugno venisse celebrato con una "divisa di pace" e non con la solita sfilata di carri armati, cannoni, soldati e creature simili.

Ovviamente, gli esponenti del centrodestra hanno gridato allo scandalo accusando Bertinotti di irresponsabilità istituzionale e di mancanza di doveroso riguardo nei confronti dei militari che sono notoriamente degli operatori di pace a tutto tondo.

La querelle è nata da un invito indiretto da parte di Piero Bernocchi il quale, alcuni giorni prima, aveva pubblicamente stuzzicato Bertinotti suggerendogli di disertare la parata del 2 giugno.

Onestamente ci sembra che – come spesso accade – si tratti del solito baccano messo in piedi per distogliere l'attenzione dalla sostanza dei discorsi.

Bertinotti comincia il suo esercizio di doppiezza ontologica: comunista di lotta, o comunista di governo? A ben vedere, sembra che gli riesca benissimo di interpretare entrambi i ruoli ottenendo il doppio risultato utile per quelli come lui: l'abbarbicamento alla poltrona e la rispettabilità agli occhi del suo elettorato.

Democristiani, fascisti & C., invece, colgono la ghiotta occasione per ribadire i contenuti della loro retorica nazionalista secondo la quale non si può minimamente dubitare dell'altezza morale e sociale delle forze armate le quali non fanno le guerre ma esportano la pace.

D'altronde non si può dire che a sinistra non siano d'accordo: lo stesso Romano Prodi, facendo il suo discorso alla Camera, ha sì annunciato il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq definendo la missione italiana una «guerra sbagliata», ma ha anche ribadito il proprio apprezzamento per la professionalità dei soldati italiani.

Che si tratti di un ritiro, comunque, è tutto da verificare: innanzitutto sarà un provvedimento che era già stato stabilito dal governo Berlusconi e, per essere più precisi, si parlerà molto più probabilmente di una "riconfigurazione" della missione italiana costituita da una maggioranza di personale civile (cooperanti, diplomatici ed esperti del ministero degli esteri) e scortata da almeno 800 soldati italiani e 150 rumeni. Un'occupazione soft, forse, ma pur sempre un'occupazione.

Nessuno sembra aver colto quello che per noi è il nocciolo della questione: la connotazione militarista del 2 giugno non è un tradimento dello spirito originario della festività repubblicana. Moltissimi elettori del centrosinistra, tanti sinceri democratici e pacifisti si augurerebbero, in tutta buona fede, una rimodulazione della ricorrenza in una chiave più partecipativa e popolare. A dire di molti, infatti, una repubblica che ripudia costituzionalmente la guerra non dovrebbe festeggiare il proprio compleanno esibendo marce militari e acrobazie di aerei da combattimento. E l'imminente referendum sulle modifiche alla costituzione è entrato a pieno titolo nell'articolazione di questi discorsi. Da parte nostra non riusciamo a comprendere questa indignazione. Il militarismo non è una degenerazione che infetta dall'esterno la bontà dell'ordinamento repubblicano ma è – come dappertutto – l'essenza più autentica di qualsiasi ordinamento statuale: in breve, l'autocelebrazione di uno stato è qualcosa che esula radicalmente da una sua concezione democratica e partecipativa perché lo stato è, per sua natura, un soggetto altro rispetto a ciascuno di noi.

Se così non fosse, non si spiegherebbe altrimenti la reiterazione dello stato italiano a delinquere dal proprio dettato costituzionale: l'Italia, alla faccia del citatissimo articolo 11 della sua legge fondamentale, ha più volte fatto la guerra, occupato territori di altri stati sovrani e partecipato a missioni militari che contemplano l'uso della forza. La guerra come prosecuzione della politica è propria della repubblica italiana così come di qualunque altro stato. Con tutto il rispetto per coloro i quali – da pacifisti – vorrebbero un 2 giugno all'insegna del rifiuto della guerra, ci sentiamo di suggerire a tutti un'opzione radicalmente alternativa: prendere coscienza del fatto che quella militarista è la più normale delle feste della repubblica e che la vera critica non va rivolta al modo in cui si festeggia ma a ciò per cui si festeggia. Rifiutare la guerra significa rifiutare lo stato, e anche i suoi compleanni.

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