Umanità Nova, n 20 del 4 giugno 2006, anno 86
Puntuale come sempre "Amnesty International" ha presentato anche in Italia il suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo.
Come accade ogni anno, tutti i media hanno doverosamente segnalato e riassunto, più o meno ampiamente, il contenuto del rapporto. Da parte dei politici e del governo (entrante o uscente è lo stesso), destinatari principali del lavoro di "Amnesty", è arrivata la solita risposta di sempre: un colpevole silenzio, interrotto da qualche generica ed innocua dichiarazione di "buona volontà".
Le centinaia di pagine curate dagli attivisti di "Amnesty" passano in rassegna lo stato dei diritti umani in 150 paesi ed il risultato è ogni volta sconfortante: violazioni continue delle libertà fondamentali, censura, pena di morte, torture, incarceramenti e repressione sono diffusi in tutto il mondo. La lista delle violazioni è lunga e non presenta particolari sorprese, coinvolgendo sia gli stati dittatoriali che quelli democratici. Ed è proprio da questi ultimi che arrivano le più pesanti violazioni del loro stesso diritto, come il campo di concentramento di Guantanamo e le prigioni segrete sparse per il mondo. Orrori gestiti e sostenuti non da paesi autoritari ma dagli Usa e da tutti i suoi alleati, Italia compresa. Sempre in nome della "guerra al terrorismo" che sta mietendo le sue vittime solo fra i poveri.
Per ovvie ragioni di spazio non proviamo nemmeno a riassumere le pagine riguardanti i diversi paesi e le nefandezze dei loro governi e ci limiteremo quindi allo spazio dedicato all'Italia, dove la situazione, se si confronta il rapporto attuale con quelli passati, non è affatto mutata negli anni, i settori "critici" sono infatti sempre gli stessi e riguardano i diritti dei rifugiati, la brutalità della polizia ed i maltrattamenti nelle carceri.
Riguardo ai primi viene ricordato che manca ancora una normativa
adeguata per la concessione del diritto di asilo e che troppo spesso i
migranti vengono espulsi in massa ancor prima che abbiano potuto
chiedere lo status di rifugiati, a questo si aggiungono le espulsioni -
senza alcun riscontro legale - delle persone ritenute "pericolose" solo
in base ai rapporti di polizia.
Continuano anche le violenze ai danni dei reclusi nei CPT, episodi che solo in pochi casi arrivano all'onore delle cronache.
In stretto collegamento con la violenza vigliacca ai danni dei
più deboli, la brutalità delle forze di polizia è
attualmente sotto processo per i fatti del 2001 di Napoli e di Genova.
Il rapporto ricorda anche che non è stato ancora inserito nel
Codice italiano il reato specifico di "tortura" e non è stato
creato un organismo indipendente che vigili sull'operato delle forze
dell'ordine.
Infine, nelle carceri italiane, e questo passaggio merita una citazione letterale, "sono proseguiti procedimenti penali nei confronti di un gran numero di membri del personale carcerario, relativi a maltrattamenti di singoli detenuti o, talvolta, di gruppi di reclusi.".
Il rapporto di "Amnesty" conclude lo spazio dedicato all'Italia ricordando la discriminazione esistente verso le donne, la mancata creazione di un organismo che vigili sui diritti umani e la non applicazione di numerose raccomandazioni in tema emanate da organismi internazionali.
Scorrendo, anche solo velocemente, le schede relative agli altri
paesi si nota che i problemi sono gli stessi un po' ovunque: negli
stati autoritari le politiche repressive sono dirette verso tutti i
cittadini, mentre nei regimi democratici si concentrano sulle fasce
più deboli della popolazione. Ma c'è di peggio, secondo i
dati complessivi rilevati da "Amnesty" gli episodi di torture e
maltrattamenti segnalati nel 2005 sarebbero stati compiuti:
- ad opera di forze di sicurezza, polizia ed altri pubblici ufficiali: in almeno 104 paesi;
- ad opera di gruppi armati: in almeno 21 paesi.
Sarebbe come dire che, potendo scegliere, forse converrebbe essere sequestrato da un gruppo armato piuttosto che arrestato dalla polizia.
Un dato del genere dovrebbe davvero preoccupare, soprattutto nei paesi, come l'Italia, dove il numero degli addetti alla "sicurezza" continua ad aumentare senza sosta, mantenendo il belpaese sempre in cima alla classifica europea riguardante il rapporto tra "polizie" e popolazione [2] e dove il futuro non si presenta certamente diverso. Basti pensare che, alla fine della precedente legislatura, è stato approvato un Decreto [3] nel quale si elencano i settori della pubblica amministrazione che possono assumere personale in deroga al blocco sulle assunzioni: su 3619 assunzioni quelle destinate alla sicurezza sono ben 2500 (1500 poliziotti, 650 carabinieri, 290 finanzieri, 30 secondini e 30 forestali) quasi il 70% del totale.
Se poi si tiene conto che oggi si spende per la "sicurezza" [4] il doppio di quanto si spendeva nei famigerati "anni di piombo" allora appare chiaro che non si tratta solo di una semplice politica clientelare, ma di una precisa scelta di chi governa, diretta a militarizzare sempre di più la società.
Pepsy
Note
[1] Sul sito http://www.amnesty.it/ il testo del rapporto in italiano.
[2] Le "forze di polizia" in Italia ammontano a circa 342 mila
unità (110.000 poliziotti, 115.000 carabinieri, 67.000
finanzieri, 43.000 secondini, 6.700 forestali). Sul rapporto tra forze
di polizia e popolazione si veda questo grafico relativo a qualche anno
fa
http://www.lavoce.info/news/view.php?id=16&cms_pk=656&from=index%22
[3] Si tratta del DPR 28/4/06.
[4] Nei dati ISTAT si legge che nel 2001 la spesa pubblica per la
Difesa e per l'ordine pubblico era stimata in 38954 milioni di euro,
mentre nel 2004 era arrivata a 43497 milioni di euro.