Umanità Nova, n 20 del 4 giugno 2006, anno 86
Agli inizi degli anni '50 l'euforia post-bellica produsse negli ambienti scientifici americani uno sfrenato ottimismo atomico che riteneva possibile produrre energia nucleare senza limiti e a basso costo. Con il programma "atomi per la pace" lanciato dal presidente Eisenhower alle Nazioni Unite nel 1953, il governo americano cavalcò questo sfrenato ottimismo con due fini precisi: favorire l'industria nucleare americana nei confronti della concorrenza europea e controllare la forniture totali di combustibili nucleari evitando che altri si aggiungessero al club atomico, allora formato da USA, URSS e Gran Bretagna. Per il governo americano la commercializzazione dell'energia nucleare significava anche rendere più economica la corsa agli armamenti nucleari in quegli anni di "guerra fredda" con l'URSS.
Nel 1954 per favorire lo sviluppo del nucleare civile il Congresso USA modificò l'Atomic Energy Act, steso originariamente nel 1946 per riservare all'America il segreto dell'atomo. La spinta al nucleare civile fu fatta benché nella comunità scientifica tutti ben sapessero dei limiti e dei rischi dell'energia nucleare. Ma quasi nessuno li denunciò pubblicamente. Fra le poche voci critiche quella di James Conant, che aveva fatto parte del gruppo di scienziati impegnati nella corsa all'atomica negli anni '40. Nel 1952 Conant aveva predetto che il nucleare sarebbe fallito a causa del problema praticamente insolubile dello smaltimento delle scorie radioattive. Negli anni '50 i rischi dell'energia atomica venivano ammessi dagli addetti ai lavori ma, salvo rare eccezioni, ognuno tenne per se i propri dubbi anche perché l'estrema segretezza che aveva circondato lo sviluppo della bomba atomica fu trasferita nei progetti delle prime centrali atomiche.
Questa segretezza impedì, nei "liberi e democratici" Stati occidentali come nei "regimi autoritari" del comunismo di Stato, che si sviluppasse un dibattito pubblico sul cosiddetto nucleare di pace. Pochi mesi dopo il lancio del programma "atomi per la pace" la tecnologia nucleare americana era in vendita alla prima fiera mondiale dell'era atomica commerciale che si svolse a Ginevra, sotto l'egida dell'ONU.
Nel 1956 il governo americano, resosi conto che la tecnologia nucleare non avrebbe attirato capitali privati a meno che i governi non si fossero addossati gli oneri finanziari, commissionò il primo studio sulle conseguenze di un incidente ad un reattore. La relazione fu pubblicata nel marzo 1957 e indicava, fra l'altro la probabilità di un incidente grave fra uno su centomila e uno su un miliardo per reattore/anno. Anche se questa relazione era molto ottimistica il Congresso fu costretto a legiferare in modo da limitare la responsabilità dei futuri operatori nucleari: con il Price-Anderson Act l'industria nucleare non avrebbe avuto responsabilità proprie e i cittadini non avrebbero potuto ricorrere alla legge per chiedere i danni a costruttori di centrali danneggiate a causa di incidenti. Questa legge, pur modificata successivamente, è tutt'oggi un pilastro della legislazione USA sul nucleare.
Nel 1967 il Congresso decise di rivedere l'indagine del marzo 1957. La nuova relazione confermò che nulla nei reattori in funzione garantiva che non ci sarebbero stati incidenti con conseguenze di grande portata. Le pressioni dell'industria nucleare convinsero il governo a non rendere pubblico l'aggiornamento anche perché gli affari per la lobby nucleare andavano a gonfie vele: tanto i rischi li pagava il governo. Ancora una volta gli americani vennero tenuti all'oscuro dei rischi del nucleare.
Negli prima metà degli anni '70 negli USA si sviluppò finalmente un importante dibattito sulla sicurezza dei reattori. L'agenzia governativa fu costretta a commissionare un nuovo studio ad un professore di fisica del MIT, Norman Rasmussen, assolutamente a digiuno di questioni nucleari. Basandosi sui dati forniti dai gestori degli impianti, Rasmussen diffuse nel giugno 1974 il proprio studio: nove volumi, 2300 pagine. Fu lanciata una massiccia campagna pubblicitaria in tutti gli Stati Uniti, accompagnata da messaggi televisivi in cui si diceva che le centrali nucleari si erano dimostrate più sicure di qualsiasi altro ritrovato della vita moderna.
Il Rapporto Rasmussen fu pesantemente contestato nel 1975 prima dal Bulletin of the Atomic Scientist e dall'American Phisical Society e poi dall'EPA (agenzia governativa per la protezione dell'ambiente) che nel giugno 1976 lo demolì, punto per punto. Diversamente da quanto voluto dai suoi padrini filonucleari dal "Rapporto Rasmussen" scaturì il primo vero dibattito sulla sicurezza nucleare negli Stati Uniti che diede il colpo definitivo all'industria nucleare già in crisi a causa dell'insicurezza economica.
Nel 1975 lo studio di Rasmussen fu definitivamente accantonato poiché ci si accorse che conteneva calcoli di probabilità talmente imprecisi da renderlo inutilizzabile. Carta straccia. Comunque solo nel gennaio 1979 l'agenzia governativa sul nucleare (NRC) ripudiò pubblicamente il Rapporto Rasmussen. Due mesi dopo, lungo le rive dello Susquahenna, a poche miglia dalla fattoria dove era cresciuto Rasmussen, la centrale di Harrisburg subì uno dei più gravi incidenti della storia del nucleare.
Dal 1973 negli Stati Uniti non sono state più commissionate nuove centrali nucleari.
Liberamente tratto da "Il rischio reattore" di D.Lowry, in J. May, Il libro Greenpeace sull'era nucleare, Frassinelli, 1991.