Umanità Nova, n 20 del 4 giugno 2006, anno 86
"La sicurezza del potere si fonda sull'insicurezza del cittadini”
Leonardo Sciascia
L'ovvietà, in quanto tale, è un viatico infallibile
all'indifferenza. Mi spiego. Dire che c'è brutto tempo mentre
siamo con l'ombrello sotto la pioggia è tanto ovvio quanto
inutile, tanto che il vicino a cui è diretta l'esternazione non
avrà nulla da eccepire ma neppure nulla da ribattere, in
sostanza è come non aver detto nulla. Ancora. Se sostenessi in
uno scambio d'opinioni tra compagni che i preti sono dei mangiapane a
tradimento qualcuno tuttalpiù ghignerebbe per l'espressione ma
in generale si passerebbe ad altro... è scontato, ovvio, non fa
notizia.
Nella sinistra storica, quella a cui l'anarchismo fa riferimento, il dibattito sul parlamentarismo s'è arenato da tempo in una chiarezza di posizioni che non lasciano granché spazio ad ulteriori discussioni e approfondimenti: o ci si crede, o lo si accetta per motivi contingenti (il classico "non ci resta che questo”) o lo si disapprova e contesta (come facciamo noi anarchici). Il tentativo di convincimento reciproco tra le correnti è inutile perché ovvio sarebbe il risultato: nullo. Sostenere la rivoluzione anziché il riformismo viene bollato come utopico e impraticabile o velleitario e anacronistico da una parte; sostenere il parlamentarismo come strumento di democrazia matura viene definito falso e mistificatorio dall'altra; sostenere il parlamentarismo come male minore e quindi come lotta tattica non può che essere bollato come opportunista da alcuni e illusorio e controproducente dagli altri. Seppur schematicamente (non me ne vogliate) il fondo delle obiezioni sono queste con tutte le ulteriori analisi, giudizi e questioni conseguenti e inerenti.
Tuttavia sia per i parlamentaristi convinti e sia per quelli col naso turato le questioni del militarismo e della guerra rimangono irrisolte e irrisolvibili. I motivi sono semplici: lo stato nazionale in quanto tale deve avere dei confini e quindi un esercito e una polizia per difendere i propri interessi; il parlamento è lo strumento dello stato per legiferare sulla "difesa” di questi interessi. Non ci si scampa. A meno che qualcuno non voglia credere che una volta al parlamento si possa abolire esercito e polizia (ma a questo punto avremmo spostato il dibattito dalla politica alle barzellette) nessuno potrà più sostenere ipotesi antimilitariste, semmai pacifiste moderate nel senso del trito e ritrito concetto di democratizzazione del militarismo attraverso corsi di savuar fair, come in occasioni di manifestazioni, scioperi e tumulti interni. Per quanto riguarda le operazioni di polizia internazionale (e quindi fuori dai propri confini) già ci hanno pensato chiamando le guerre missioni di pace e affiancando agli eserciti le ONG. Inoltre con le bombe intelligenti e le missioni chirurgiche il tutto appare comunque più "umano” e "democratico”.
Questa ovvietà, e cioè che la via del parlamentarismo è una scelta militarista, è apparentemente più complessa da comprendere ma solo perché siamo abituati a diffidare della logica come metodo di osservazione. A questo punto, in realtà da sempre, la giustificazione che viene portata per rispondere a tale ovvietà prende il nome di "responsabilità”. Proprio così, nei casi particolari si parla di "responsabilità di governo”, "responsabilità del ruolo istituzionale”, "responsabilità verso la nazione o i cittadini” ecc.
Succede ad esempio per il non troppo scandaloso Bertinotti, che ha
dichiarato che presenzierà la prossima parata militarista del 2
giugno a Roma. Non perché ci crede o ne condivida il senso
ovviamente ma perché "il suo ruolo lo obbliga ad una
responsabilità” e cioè quella di presidiare una
festa in onore della macelleria italiana in divisa. Non bastasse ci
consegna un'interpretazione degna del famoso "Dott. Jekill e Mister
Hyde” di Robert L. Stevenson sostenendo che come uomo e cittadino
è contrario e disapprova ma come "istituzione”
onorerà la cerimonia. E pensare che solo due anni fa dalle calli
veneziane trascinava il suo partito verso i lidi della nonviolenza
senza se e senza ma, ponendosi come l'artefice convinto della svolta.
Complimenti Fausto, il "cerchiobottismo”, disciplina antica ma
attuale, annovera un peso massimo fra i suoi ranghi.
E ora che al governo abbiamo l'intrepida compagine antiberlusconiana
dell'Unione di centrosinistra aspettiamocene delle belle. Si
perché i conti all'Esercito, Aeronautica e Marina li hanno fatti
bene e da tempo e i malcontenti sono, oltre che diffusi, manifesti. A
capo del ministero della Difesa è stato messo Arturo Parisi che
succede al dimissionario Antonio Martino. Se da un lato c'era da
aspettarsi il non accreditamento della radicale Bonino (da tempo
filostatunitense) stupisce la bocciatura di Marco Minniti, diessino e
noto per la sua propensione al militarismo, celebre la sua
frase:” Potrà sembrare stravagante, ma, secondo me, la
politica comune della difesa è una battaglia di sinistra,
è una battaglia riformista”. Di certo Parisi e
sottosegretari vari dovranno accollarsi in pratica l'onere (non dubito
che per loro vi sarà anche l'onore) di far ripartire la macchina
bellica italiana. Su Analisi Difesa di questo mese leggiamo alcuni
passaggi a tal proposito: "navi e aerei fermi per assenza di
carburante, veicoli immobilizzati per mancanza di ricambi,
attività addestrative cancellate...” ed ancora”
...il nuovo governo dovrà subito mettere mano a provvedimenti
legislativi d'urgenza per consentire allo strumento militare italiano
di funzionare anche al minimo dei giri”. Considerando quindi la
burla del ritiro ormai svelata nei fatti come la ratifica di quanto
stabilito dal precedente governo di centrodestra e il rifinanziamento
alle porte delle missioni in ambito NATO e ONU che passeranno, possiamo
con certezza confermare quanto sosteniamo da sempre e cioè che
nessun governo potrà sottrarsi al proprio destino di gendarme,
così come nessun politicante una volta raggiunto lo scranno
ministeriale potrà sottrarsi alle proprie
"responsabilità” alla faccia delle marce pacifiste e delle
dichiarizioni di principio.
Un ovvietà appunto e come tale, ahimè, inutilmente considerata da quei milioni d'individui ostili alle guerre che hanno votato un partito, un governo, uno stato.
Obi Uan