Umanità Nova, n 20 del 4 giugno 2006, anno 86
Nei giorni scorsi due caccia F16 dell'Aeronautica militare italiana si sono scontrati in volo e sono precipitati, durante una missione d'addestramento nell'ambito dell'esercitazione multinazionale Spring flag in corso in Sardegna.
Nella nostra Isola si esercitano eserciti da tutto il mondo. L'attuale occupazione militare della Sardegna scaturisce (in parte) dal ruolo fondamentale attribuito all'isola nello scacchiere internazionale nel dopoguerra. Lo stato italiano impone le servitù militari come dei gravami irrinunciabili che le popolazioni devono accettare in nome di un superiore interesse nazionale. Per lo stato è garanzia di sicurezza interna e fedeltà alla NATO e all'alleato americano ciò che per noi è repressione sociale e testa di ponte per le guerre imperialiste. Per lo stato sono normali esercitazioni e creazione di posti di lavoro e indotti ciò che per noi è elemosina sociale, rapina e devastazione dei beni e della salute collettiva.
L'occupazione militare distorce il tessuto socioeconomico preesistente e ipoteca quello potenziale, in quanto difficilmente compatibile con altre attività. L'impoverimento conseguente del territorio lo rende dipendente dalle briciole rappresentate dalle modeste ricadute economiche dell'industria bellica.
La Sardegna con 37374 ettari di territorio sotto controllo militare (23766 di demanio militare e 13608 di servitù) è la regione italiana più sacrificata.
Gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavitù militare sono di fatto incommensurabili, solo l'immenso tratto di mare annesso al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell'intera isola (kmq 23.821). Sull'Isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da una condotta che attraversa la città, oltre ad un lunghissimo elenco di poligoni, caserme e sedi di comandi militari (di Esercito, Aeronautica e Marina).
A questo vanno aggiunte le basi, tra le quali spicca il caso di quella Usa di Santo Stefano: la concessione nell'arcipelago di La Maddalena di una base navale per sommergibili con armamento nucleare rappresenta il caso più eclatante di limitazione della sovranità italiana a favore di uno stato straniera. La base costituisce un vero e proprio sito nucleare sprovvisto della copertura di un adeguato sistema di sorveglianza e di allarme nonché di un piano di emergenza pubblicamente conosciuto. A ciò deve aggiungersi l'abusivo condominio della base americana con un immenso deposito di munizionamento navale. La Maddalena è uno degli 11 porti militari in Italia in cui attraccano navi e sommergibili a propulsione nucleare, fatto, questo, da cui scaturiscono molteplici problemi. La propaganda Nato sostiene che queste macchine siano molto sofisticate, ma se si guarda nel dettaglio si può verificare che la statistica degli incidenti negli ultimi 45 anni è agghiacciante, con dispersione di materiale radioattivo e irraggiamento di personale.
I controlli previsti in base alle leggi italiane impongono che, in presenza di una fonte radioattiva, vi siano centraline di controllo a distanza di 20 metri, ma gli USA non hanno mai permesso questa localizzazione, quindi le centraline sono così distanti da risultare pressoché inutili.
Il Poligono di Quirra sorge in quella parte di territorio compreso tra Cagliari e Nùoro, nella zona sud-orientale dell'isola, geograficamente conosciuto come "Salto di Quirra". È il più vasto poligono d'Italia e d'Europa. Le zone interdette o pericolose per la navigazione, annesse alla base militare, oltrepassano le acque territoriali e si estendono in acque internazionali impegnando 28.400 kmq. Alla militarizzazione dello sterminato tratto di mare corrisponde la militarizzazione dello spazio aereo.
Basi militari e ricadute economico-sociali
Quantificare le perdite subite dal popolo in mezzo secolo di alienazione di decine di migliaia di ettari di territorio, non è certamente possibile.
Di certo, ciononostante, conosciamo il numero agghiacciante di morti e neonati deformi nel Salto di Quirra e a La Maddalena negli ultimi anni, l'impossibilità di bonificare gli enormi territori bombardati per decenni a Teulada e a Quirra, gli alti tassi di radioattività riscontrati nell'arcipelago de La Maddalena, la pressoché perfetta corrispondenza fra basi e parchi naturali - con questi ultimi istituiti in un secondo momento, quasi a impedire ulteriormente ogni possibile sguardo indiscreto. Poi, c'è il "caso Escalaplano". Negli anni Ottanta sono nati undici bambini che presentavano evidenti malformazioni e handicap fisici gravi. E di questi, ben sei sono concentrati in un solo anno: il 1988. Due elementi indispensabili per capire meglio la rilevanza del fenomeno: Escalaplano conta una popolazione di circa 2.600 anime e il tasso di natalità medio oscilla tra i 19 e i 21 neonati l'anno. Nell'88, statisticamente, si è quindi verificato circa il 25% di nascite anomale.
Qualunque discorso sulle servitù militari deve fondarsi sul postulato della loro installazione innaturale sul territorio. Nessuna zona della Sardegna, né del mondo, nasce con una vocazione militare: la loro presenza forzata impone un'iniziale alienazione del territorio, la quale comporta il ridimensionamento o la scomparsa completa delle attività precedenti e tradizionali. Da questo momento la comunità che vi abita si trova davanti a una duplice scelta: o l'emigrazione forzata o l'inserimento nell'organico militare. La prima alternativa comporta, nel singolo, evidenti difficoltà umane e sociali, nella collettività, impoverimento culturale, disagio sociale - numerose famiglie si smembrano, si spezzano legami e rapporti interrelazionali - perdita dell'identità. La seconda alternativa, più subdola, produce dipendenza economica della comunità verso l'installazione militare. Nell'immediato, infatti, i singoli e le imprese locali, sovente indotti dalle pressioni esercitate dai politici e dai sindacati, vedendo nelle richieste provenienti dalla base un possibile redditizio mercato per i loro prodotti o, più banalmente, una busta paga peraltro mai particolarmente remunerativa, abbandonano il sistema economico precedente per piegarlo e renderlo così totalmente dipendente dalla struttura militare. Così facendo, però, le stesse comunità si rendono schiave della base, sì da non poter chiedere, in futuro, l'allontanamento della stessa, pena una perdita di posti di lavoro.
La realtà è però che le servitù militari, con i loro espropri e i loro vincoli, impediscono la conservazione e lo sviluppo di qualunque attività economica sul territorio, agro-pastorizia, turismo, servizi avanzati, propongono un numero di buste paghe ben inferiore a quello che si avrebbe con un naturale e armonico uso delle risorse - basti pensare al "turismo sostenibile" impedito per lunghissimi tratti di costa nel Sulcis e nel Sarrabus o all'aberrante anomalia di basi, con armi convenzionali o nucleari, nell'arcipelago de La Maddalena - creano danni ambientali che richiedono alla collettività civile enormi spese per la bonifica, ammesso che questa sia effettivamente possibile.
Per non parlare poi dei cosiddetti indennizzi, ridicoli e pagati sempre in ritardo. Un calcolo rapido consente di valutare che l'indennizzo di Teulada rapportato ai 72 kmq di territorio asservito e ai cinque anni di ritardo porta una cifra di 5.787 lire al mese per ettaro.
Anche la salvaguardia del territorio da speculazioni edilizie
è argomento risibile quando si osservano le cubature delle basi
militari e, soprattutto, l'inquinamento radioattivo e dei suoli e delle
acque procurati dalla ricaduta di proiettili d'ogni genere e la
devastazione del territorio compiuta dalle guerre simulate - tratti di
roccia bombardati e fatti saltare in aria, alberi e piante sradicati e
bruciati dai carriarmati e dalle esplosioni, animali terrorizzati e
uccisi dal fuoco e dalle armi.
Le lotte
La storia mette in luce che l'unico freno all'occupazione militare è rappresentato dalla resistenza popolare. Indipendentemente dagli esiti raggiunti, di volta in volta, dalle singole lotte, senza di esse la militarizzazione del territorio sardo avrebbe sicuramente raggiunto dimensioni ancora maggiori. Ricordiamo le lotte di Tertenia (Anni '50), Pratobello ('69), Sinis-Cabras (76-80), dei pescatori di Teulada (2004).
Nel corso dell'ultimo anno si è costituita a Cagliari un'assemblea di chiara matrice anticapitalista, antifascista ed anticolonialista con l'intento di stimolare la nascita, dare forza e sviluppo a un movimento di lotta popolare contro l'occupazione militare diffuso nel territorio. Per contatti atobiu@yahoogroups.com.
su dotori