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Umanità Nova, n 21 dell'11 giugno 2006, anno 86

I politici chiacchierano, gli immigrati si ribellano
Fuga per la libertà


Lo scorso 24 maggio il nuovo ministro alla solidarietà sociale Paolo Ferrero si è recato a Lampedusa per un'ispezione al locale Centro di Permanenza Temporanea.

Questa prima uscita pubblica del ministro ha provocato reazioni contrastanti nel mondo politico e presso il movimento antirazzista in seguito alle sue dichiarazioni in cui si prefigurava la possibilità di un provvedimento indirizzato alla regolarizzazione di circa 485mila immigrati, cioè tutti coloro i quali hanno presentato domanda presso gli uffici postali in base all'ultimo decreto flussi. Va ricordato che la quota di ingresso prevista dal precedente governo era stata fissata a 170mila unità: le domande "eccedenti" sono dunque 315mila. Il ministro, pur non parlando esplicitamente di una sanatoria, aveva lasciato intendere la possibilità di una regolarizzazione generalizzata: "Adegueremo i flussi alla realtà: se ci sono 480 mila persone che lavorano ed hanno presentato domanda a loro si darà il permesso". 

Poi, Ferrero ha promesso: "Niente più espulsioni verso paesi che non sono firmatari della Convenzione di Ginevra. Tra questi c'è anche la Libia", in piena sintonia con il sottosegretario al Viminale Marcella Lucidi che lo accompagnava. Infine, il ministro ha duramente criticato la Bossi-Fini definendola "sbagliata".

Per quanto riguarda i CPT, il ministro è parso meno barricadero: chiuderli no, ma "superarli". Cosa questo voglia dire nessuno lo ha ancora capito.

Ci ha pensato Giuliano Amato, il neoministro dell'Interno, a raffreddare i bollenti spiriti del Ferrero. Prima di tutto il capo del Viminale si è affrettato a ricucire proprio con Tripoli incontrando l'ambasciatore libico presso la Santa Sede Abdulhafed Gaddur (all'incontro erano presenti il vice ministro Marco Minniti e il capo della polizia De Gennaro). Nel comunicato ministeriale si legge che Amato ha confermato la piena collaborazione al controllo dell'immigrazione clandestina, anche in considerazione dell'inizio della stagione estiva, e da parte libica è stato ribadito l'impegno e una forte volontà di cooperazione con il governo italiano.

Riteniamo quindi che le deportazioni, con buona pace di Ferrero, continueranno.

Sul nuovo decreto flussi, il ministero dell'interno ha precisato ulteriormente con una nota del 27 maggio: "Rispetto alla quota di 170.000 unità vi è un'eccedenza di domande presentate pari a circa 315.000. È dunque possibile - ma lo sapremo solo più avanti - che le domande in regola superino la quota inizialmente fissata. A un caso del genere è applicabile l'articolo 3 del Testo Unico n. 286/1998 (Turco-Napolitano) come modificato dalla legge 189/2002 (Bossi-Fini), a norma del quale ulteriori decreti flussi possono essere adottati dal presidente del consiglio dei ministri con il parere: del comitato dei ministri, della conferenza unificata Stato-città/Stato-regioni-autonomie e delle competenti commissioni parlamentari".

Insomma, Giuliano Amato rivendica con orgoglio una perfetta continuità con il passato sia nell'azione di governo sia nell'impianto normativo applicato. 

Ebbene, il ministro Ferrero l'ha sparata grossa e il suo intento demagogico è abbastanza palese. Nel gioco delle parti, Amato riveste il ruolo che più gli si addice riconducendo i toni della discussione su un piano di lucida realpolitik. Ciò che è davvero agghiacciante è che tale partita si gioca sulla pelle degli immigrati: più di 300mila persone che da un lato sperano in una regolarizzazione e dall'altro temono che la loro identificazione (per contestuale rifiuto della domanda) gli si ritorca contro così come troppo spesso è avvenuto in passato.

Nel frattempo, tra una conferenza stampa del comunista Ferrero e un colloquio diplomatico del socialista Amato, gli immigrati si prendono da soli la libertà che gli spetta: il 3 giugno, a Torino, una rivolta nel CPT ha portato alla fuga di sedici persone. Niente male davvero.

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