Umanità Nova, n 22 del 18 giugno 2006, anno 86
La notizia dello sgombero del residence in via Cavezzali a Milano, abitato da immigrati in regola o abusivi, ha fatto il giro d'Italia, anche perché quel luogo era già andato agli onori della cronaca per l'assassinio di Abdu, giovane magrebino, ucciso da una guardia giurata durante una rissa.
L'operazione da parte della Prefettura è stata predisposta in grande stile, con numerosissime forze di Polizia, Vigili del Fuoco, ambulanze e pullman da riempire di persone da identificare, arrestare e nel caso deportare.
Il numero delle forze messe in campo dalle istituzioni è giustificato non solo dall'enorme numero di persone che abitavano quel residence, che avrebbero potuto opporre resistenza, ma soprattutto dalla presenza tra queste persone di piccoli criminali e spacciatori (sono stati sequestrati in alcune abitazioni diversi chili di eroina) che si stavano trasformando man mano in piccoli ras di quartiere. Infatti, quel palazzo, aveva già visto numerosissime denuncie da parte di famiglie (anche immigrate) che abitavano lì stesso, per le minacce, la prepotenza e la violenza esercitata da questi ma anche dai bravi delle immobiliari, proprietarie di molti appartamenti.
Ma tutta questa storia ha un origine. Per capire via Cavezzali, bisogna sapere che quel residence si è trasformato da palazzo a 5 stelle in un inferno di affittopoli, per colpa delle immobiliari che hanno comprato gli appartamenti e, senza tanti scrupoli, li hanno affittati a chiunque a prezzi esosi. All'inizio a famiglie, poi a spacciatori, prostitute, pensando a guadagni facili. Da quel momento in poi hanno alimentato in questo modo una situazione di sfruttamento, sciacallaggio, violenza e degrado. La vita è diventata sempre più impossibile. Oltre alle bande di spacciatori di eroina, in quei corridoi regnavano i bravi delle immobiliari che minacciavano, abbattevano porte, facevano violenza per estorcere denaro alla gente.
Ecco perché nel quartiere, di fronte allo sgombero della polizia, non c'è stata una reazione di rifiuto o di condanna, da parte di molti, italiani, ormai in pochi, e immigrati.
Per noi questa situazione apre una riflessione ed un problema di grande importanza, perché è un fenomeno che riguarda sempre di più i quartieri popolari delle nostre città, dove vive la nostra gente.
Le speculazioni delle immobiliari, una concentrazione sempre più coatta di diverse popolazioni di differenti comunità, condizioni di vita in cui vige sempre di più lo sfruttamento più selvaggio dell'uomo sull'uomo, genera sempre di più degrado, violenza, piccoli e grandi sfruttatori. Alla figura del padrone si affianca quella del padroncino immigrato, che compra un appartamento col mutuo e se la fa pagare da 10 suoi connazionali, mettendoli dentro con un affitto esoso. In strada si formano le bande di spacciatori (compreso di eroina) o semplicemente di giovani che si contendono il territorio a coltellate. Gli italiani in cambio, non tutti per fortuna, vuoi per ignoranza o per razzismo, cadono nelle braccia della lega e di AN che paventano la formazione di bande in camicia verde.
Non mi dilungo di più in una descrizione di una situazione di degrado che probabilmente molti di voi conoscete e neanche pretendo di dare qui una spiegazione sociologica a tutto ciò. Ritengo però che abbiamo bisogno di farci delle domande e cercare delle risposte. Io penso che la via d'uscita, in una situazione come quella in cui viviamo oggi, cioè di scarsa conflittualità sociale, sia comunque e sempre l'autorganizzazione in chiave solidale, in questo caso anche antirazzista, che si pone l'obiettivo di ricostruire un tessuto di solidarietà nei quartieri popolari, emarginando i rass e i piccoli sfruttatori, ostacolando la destra leghista e fascista, ma allo stesso tempo difendendosi anche contro la violenza dei criminali. È necessario attaccare le immobiliari, ma anche i piccoli proprietari che sfruttano selvaggiamente i propri connazionali, che non possono protestare perché spesso sono senza documenti o non sanno dove andare. Una forma di autorganizzazione che si ponga l'obiettivo di costruire una convivenza dignitosa, che si basi non sui principi dello stato, che anzi vuole che gli si deleghi la gestione della vita pubblica, ma riappropriandocene a partire da esigenze comuni e non privatistiche.
Io vivo nel quartiere di via Cavezzali e per alcuni anni ho fatto attività sociale in questa zona di Milano con immigrati. Le preoccupazioni sono molte, per un futuro sempre più esplosivo, fatto di scontri tra bande e comunità. Ma per questo ritengo che sia ancora più importante continuare, lottare, discutere per trovare soluzioni pratiche per affrontare la situazione.
Riccardo Bonelli