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Umanità Nova, n 22 del 18 giugno 2006, anno 86

Nuova riforma del lavoro in Spagna
La strategia del granchio


Le due esperienze democratiche della Spagna del XX secolo hanno coinciso con le due crisi economiche più gravi che ha vissuto l'Europa contemporanea: la Seconda Repubblica venne proclamata nel 1931, quando arrivavano nel nostro paese gli effetti dello strepitoso affondamento di Wall Street, mentre la Transizione democratica iniziò nel 1975, nel pieno della crisi economica dovuta all'aumento dei prezzi del petrolio.

Durante gli anni '70, com'era successo nel 1931, le difficoltà che minacciavano il processo politico, manifestatesi chiaramente con il colpo di Stato del 1981, relegarono in secondo piano i problemi economici del paese derivanti tanto dalle gravi carenze dello sviluppo industriale durante il Franchismo quanto dalla crisi internazionale del 1973.

Gli Accordi della Moncloa, firmati nel 1977 da Adolfo Suárez [1] e dai partiti di opposizione, tracciarono il percorso dell'evoluzione politica della Spagna, fino al consolidamento di un regime democratico ma, allo stesso tempo, posero le basi della politica economica post-franchista che stabiliva la supremazia assoluta dell'iniziativa privata, l'apertura al capitalismo multinazionale e la sua integrazione, a qualunque costo, nel Mercato Comune europeo. E se l'evoluzione politica concordata dagli uni e dagli altri soddisfaceva, fino a un certo punto, le aspirazioni popolari, l'orientamento economico approvato negli Accordi della Moncloa era molto lontano dalle richieste di una classe lavoratrice che durante la Transizione presentava un alto livello di sindacalizzazione e che aveva dimostrato una grande capacita di mobilitazione.

In concomitanza con il cambiamento politico che il paese stava vivendo, la rinuncia dei lavoratori all'introduzione di riforme economiche a loro favorevoli, e la rinuncia a trarre vantaggi sociali dalla crisi economica del capitalismo internazionale, fu possibile solamente grazie alla docile dipendenza dei principali sindacati spagnoli – CCOO, UGT ed ELA – dai partiti nazionalisti e di sinistra che, anteponendo la riforma politica alle rivendicazioni sindacali, avevano firmato gli Accordi della Moncloa con la destra franchista, qualificata rappresentante del capitalismo nazionale. Quando i lavoratori più combattivi prospettavano, nelle assemblee di fabbrica e officine, maggiori richieste sociali o nuovi conflitti lavorativi, si scontravano con i dirigenti sindacali socialisti e comunisti che placavano le proteste con minacce profetiche: "Arriverà un Pinochet! Tornerà la Dittatura!".

Solo la CNT possedeva la forza numerica – circa 200.000 iscritti – e l'autonomia sindacale per opporsi agli Accordi della Moncloa. Pertanto, i poteri politici ed economici decisero di distruggere il movimento libertario attraverso la montatura poliziesca del caso Scala [2], che fu presentato dall'agenzia ufficiale d'informazione nel seguente modo: "Un commando della FAI (Federació Anarquista Ibérica), spalleggiato da tre soggetti in possesso di documentazione che li accredita come iscritti alla centrale sindacale CNT, è stato l'autore, secondo il Comando di Polizia di Barcellona, dell'attentato contro il teatro-ristorante Scala".

Fallito questo tentativo, si optò per addomesticamento dell'anarcosindacalismo al Congresso della Casa de Campo del 1979, congresso che spaccò la Confederazione [3]. Benché la CNT non venne distrutta né addomesticata dalla Stato, non si può negare che per quasi dieci anni essa visse in una situazione agonica, dovendo dedicare la maggior parte del tempo a della volontà a sopravvivere al disincanto sociale dei lavoratori, al silenzio dei mezzi di comunicazione e alla confusa usurpazione del suo messaggio.

Sgomberato il campo sindacale si perseguì una politica economica volta a sacrificare i lavoratori affinché gli imprenditori potessero ottenere benefici straordinari, con la speranza che questi investissero parte del surplus nell'apertura di nuove imprese destinate a creare nuovi posti di lavoro. Perciò, benché la disoccupazione fosse la prima conseguenza della crisi e la causa principale delle altre difficoltà economiche – disavanzo pubblico e diminuzione dei consumi – i governi, con la complicità dei sindacati socialista e comunista, tentarono di uscire dalla crisi esclusivamente attraverso manovre monetariste, finalizzate a ridurre l'inflazione. Mentre i lavoratori "tiravano la cinghia" e il tessuto produttivo del paese veniva distrutto, crescevano in modo spettacolare gli investimenti speculativi.

Si spiega in questo modo il fatto che la classe operaia spagnola ha vissuto per due decenni angosciata dalla disoccupazione, che raggiunse un livello estremamente grave a causa di una politica volta a proteggere gli investimenti anziché i posti di lavoro e per la debolezza economica ereditata dal franchismo, e senza la risorsa dell'emigrazione – soluzione impraticabile per la ripercussione internazionale della crisi economica degli anni settanta. Negli anni '50 e '60 centinaia di migliaia di spagnoli erano emigrati fuggendo dalla miseria verso l'Europa settentrionale, dove incontrarono le migliaia di esiliati che vivevano lì sin dagli anni '40 per sfuggire alla repressione. Gli uni e gli altri contribuirono a sollevare l'economia spagnola con il denaro che, sottraendolo ai propri salari, inviavano alle famiglie. Dal 1975 ciò non fu più possibile.

Pertanto, la disoccupazione divenne il primo problema sociale ed economico della Spagna. Una cifra ufficiale di disoccupati che per anni superò i due milioni di lavoratori, per quanto i governi succedutisi truccassero i numeri ed ostacolassero la contabilità, ai quali si doveva sommare una quantità per nulla disprezzabile di sottoccupati, di prepensionati – con imprese come Telefónica o Iveco con prepensionati di poco più di 45 anni – e un'economia sommersa che rappresentava fino al 10% della ricchezza e dell'occupazione del paese.

Inoltre l'economia spagnola, una volta che i governi socialisti ebbero smantellato l'industria per esigenze dell'Unione Europea, si concentrò sul turismo e l'edilizia – due settori fortemente stabili. Migliaia di famiglie, specialmente in Andalusia, lavoravano negli alberghi e nei ristoranti della costa durante l'estate e sopravvivevano senza lavoro o grazie a lavori occasionali per il resto dell'anno. Non sorprende dunque che la mancanza di lavoro per i disoccupati, i sottoccupati e gli stagionali divenisse la principale preoccupazione degli spagnoli. Solamente l'economia sommersa e, soprattutto, l'aiuto delle famiglie, autentiche protagoniste dello stato sociale in Spagna, impedirono un'esplosione sociale.

Il colmo è che negli ultimi quindici anni, come frutto della divisione economica di un mondo globalizzato, la Spagna ha raggiunto un culmine inverosimile nell'agricoltura che permette di ottenere prodotti ortofrutticoli fuori stagione per l'esportazione verso la fredda Europa del nord. El Ejido, in Andalusia, si è trasformata da villaggio sperduto nel deserto almeriense nella città con più automobili di lusso per abitante di tutto il continente. Di contro, attualmente, un lavoratore spagnolo su tre ha un contratto di lavoro precario e, solo nell'ultimo trimestre, le Empresas de Trabajo Temporal [ETT – Agenzie di Lavoro Temporaneo] hanno realizzato più di 550.000 contratti, molti dei quali per qualche giorno o qualche ora. Questa insicurezza lavorativa è accompagnata da una diminuzione del potere d'acquisto: nei primi cinque mesi di quest'anno l'inflazione è stata del 3,9%, mentre l'aumento salariale è stato mediamente del 3,1%, e l'incremento risulta essere ancora minore per i milioni di funzionari delle diverse amministrazioni pubbliche.

Nello stesso tempo in cui si imponeva una moderazione salariale che ha creato solamente povertà, e si dettavano leggi contro la disoccupazione che favorivano la precarietà, lo Stato imponeva un modello sindacale chiuso e fortemente sovvenzionato. Lo scontento dei lavoratori ha fatto diminuire drasticamente la sindacalizzazione, che ha raggiunto livelli tra i più bassi dell'Europa occidentale; ma la fiacchezza economica è stata rimpiazzata dallo Stato, il quale ha generosamente sovvenzionato tutti i sindacati che aderiscono al modello sindacale imposto, la cui pietra angolare è rappresentata dalle Elezioni Sindacali, che trasferiscono il modello politico di delega di potere e rappresentatività nell'ambito sindacale.

Attualmente i sindacati spagnoli, con l'eccezione della CNT, non potrebbero sopravvivere senza l'aiuto dello Stato e la complicità del padronato. Non solo ricevono locali gratuiti in tutti gli angoli del paese, non solo ricevono sovvenzioni multimilionarie, non solo hanno migliaia di distaccati il cui stipendio viene pagato dal governo e dalle imprese, ma soprattutto hanno creato una potente rete clientelare di privilegi: lavori sicuri solamente per i propri affiliati, incarichi e ruoli dirigenziali intermedi ai quali si accede solamente con la tessera sindacale, corsi di formazione gratuiti per i sindacati e generosamente pagati ai sindacati…

Inoltre, i mezzi di comunicazione pubblici e privati passano sotto silenzio le lotte nel lavoro che si sviluppano al margine di queste centrali sindacali, mentre lo Stato e il padronato fanno accordi solamente con queste organizzazioni per mezzo negoziati gerarchizzati al massimo livello; è quasi impossibile concertare un contratto collettivo nell'ambito di una impresa o una provincia. Con questo modello di negoziazione chiuso, CCOO e UGT da anni firmano grandi accordi che ratificano la perdita di diritti sociali, alcuni faticosamente strappati alla dittatura di Franco, con la scusa di diminuire la disoccupazione e di ridurre la precarietà, che continua a rappresentare la grande preoccupazione dei lavoratori. Tuttavia, con ogni nuovo accordo i lavoratori continuano a perdere diritti e, ora, la possibilità di ottenere un posto di lavoro fisso è sempre più una chimera per gli spagnoli.

L'ultimo di questi accordi è stato ratificato nei primi quindici giorni di maggio. Una Riforma del Lavoro negoziata e firmata in gran segreto alle spalle dei lavoratori e sulla quale i mezzi di comunicazione hanno mantenuto il silenzio affinché passasse inosservata. La CNT ha prodotto centinaia di documenti e tenuto centinaia di conferenze informative, si è denunciata la faccenda nelle manifestazioni dello scorso 1° Maggio, mentre il 1° aprile ci fu una manifestazione a Madrid alla quale parteciparono migliaia di anarcosindacalisti da tutta la penisola, dando nuova prova della rinascita organica che la CNT sta conoscendo negli ultimi anni.

Cosa offre questa Riforma del Lavoro? Più vantaggi per gli imprenditori: per coloro che convertiranno i vigenti contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato il licenziamento dei loro nuovi occupati sarà molto più economico, si creano nuove sovvenzioni per gli imprenditori che assumeranno nuovi lavoratori e si raddoppia da due a quattro anni il periodo di tempo entro cui poterle riscuotere; inoltre i padroni vedranno ridotti i loro apporti alla previdenza sociale per la disoccupazione e per il fondo che garantisce il pagamento dei salari nelle imprese in fallimento (FOGASA). Ciò significa che si insiste nel favorire l'arricchimento del padronato, anche con sovvenzioni statali, nella speranza – ma senza obbligo – che vengano assunti più lavoratori.

Su questa stessa linea si sta negoziando alla Camera una serie di misure fiscali destinate ad abbassare le imposte per le piccole e medie imprese, grazie all'impegno di partiti che si dicono di sinistra, come Esquerra Repubblicana della Catalogna. È particolarmente grave il fatto che la Riforma del Lavoro abbassi i contributi degli imprenditori alla previdenza sociale mentre il governo sta negoziando con CCOO e UGT una nuova riduzione delle pensioni, con la scusa del futuro deficit del sistema dello stato sociale.

In compenso, la Riforma del Lavoro stabilisce che i lavoratori che rimangano più di 24 mesi, in un periodo di due anni e mezzo, nello stesso posto di lavoro otterranno contratti a tempo indeterminato. Ma, come spiega la CNT, si tratta di "un brindisi al sole, perché gli imprenditori hanno dimostrato di avere vari modi per eludere questo tipo di misure". Molti imprenditori dispongono di diverse "imprese fantasma" attraverso le quali assumono lo stesso lavoratore, per lo stesso tipo di lavoro, senza anzianità e senza diritti acquisiti.

Juan Pablo Calero
traduzione di Silvestro

Note

[1] Allora leader del partito di centro UCD

[2] Il 15 gennaio '78, durante uno sciopero di protesta indetto dalla CNT di Barcellona contro gli Accordi della Moncloa, che vide scendere in piazza 15.000 persone, un lancio di molotov contro il teatro-ristorante Scala provocò la morte di tre lavoratori. Il gesto fu compiuto da alcuni giovani militanti spinti da tale Gambin "Rubio", personaggio riconosciuto come agente provocatore infiltrato della polizia.

[3] V congresso della CNT, Madrid dicembre '79. Durante questo Congresso si scontrarono due tendenze: una più moderata e sindacalista-riformista, il cui scopo fondamentale era il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori, costituita dai "Grupos de afinidad anarco-sindicalista"; l’altra tendenza, più radicale ed anarchica, vedeva la questione sindacale profondamente legata al cambiamento rivoluzionario della società. I fautori della linea più moderata disconobbero la legittimità del congresso e uscirono dalla CNT, mantenendo comunque per alcuni anni lo stesso acronimo (CNT) per la loro nuova organizzazione, ma dovettero infine cambiare la propria denominazione in CGT (Confederación General del Trabajo).

si ringrazia Claudio Venza per il prezioso aiuto nella compilazione delle note

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