testata di Umanità Nova

Umanità Nova, n 24 del 2 luglio 2006, anno 86

Referendum e federalismo
La commedia degli equivoci


Durante l'appena conclusa campagna referendaria, si è avuto la possibilità di assistere ad una vera commedia degli equivoci, genere teatrale che da sempre ha appassionato e coinvolto larghe fasce di pubblico popolare, tra un scambio delle parti e un gioco di parole.
L'avevano infatti variamente definito un referendum decisivo sul federalismo, attorno alla sorte della cosiddetta devolution, per l'unità nazionale e riguardo i valori sanciti dalla carta costituzionale; ma basta osservare gli schieramenti a favore del Sì o del No, per comprendere che tale consultazione era falsata fin dall'inizio. Come spiegare altrimenti, ad esempio, che sullo stesso versante si siano trovate assieme forze come la Lega Nord, con tanto di rinnovate pulsioni secessioniste, ed Alleanza Nazionale con i suoi tricolori al vento, mentre da "sinistra" il ds Pietro Fassino si appellava alla difesa dell'identità nazionale?

Evidentemente, ben altri sono stati i giochi politici, più o meno evidenti, dietro la consultazione popolare sulla legge di modifica della seconda parte della Costituzione che prefigurava una modifica dell'assetto istituzionale dello stato italiano.

In molti casi si è persino avuto l'impressione che da entrambe le parti ci fosse chi, più o meno sommessamente, stava facendo il tifo per la vittoria della controparte; impressione confermata comunque dagli stessi risultati delle urne che indicano come buona parte dell'elettorato di destra, al sud ma non solo, ha scelto di non pronunciarsi o di votare contro la riforma voluta dal "suo" governo.
Persino nelle rispettive argomentazioni, è apparsa più che evidente sia l'analogia di tante tematiche che la comune intenzione di giungere ad un confronto allargato fra tutti i partiti per sciogliere i nodi politici più problematici che tale riforma evidenziava; eloquente la dichiarazione di Prodi, appena constatato di aver vinto con una larga quanto inaspettata maggioranza del 61,7%, di voler riaprire subito il dialogo per giungere a "modifiche condivise".

Finanche nell'appellarsi al più facile populismo, da Bossi a Prodi, si era fatto a gara nell'assicurare per il futuro la riduzione del numero di onorevoli lautamente stipendiati dai contribuenti.

Inoltre è apparso chiaro che, aldilà delle dichiarazioni di principio, la "modernizzazione" introdotta dal governo di centrodestra risultava tutt'altro che incompatibile con quello di centrosinistra, basti vedere come ormai da anni la prospettiva di un rafforzamento "presidenzialista" del ruolo del premier risulti allettante non soltanto alle destre; così come il cosiddetto federalismo fiscale da sempre auspicato dal noto filosofo Massimo Cacciari, del tutto in sintonia con le rivendicazioni leghiste, pur avendo egli appoggiato il No proprio sostenendo che la riforma del centro-destra non era abbastanza federalista.

La Lega Nord oggi alle corde, quella stessa che D'Alema ebbe a definire come una costola della sinistra, appare peraltro corteggiata da più pretendenti e, dietro le apparenti intransigenze e le invettive contro gli italiani, certo non sembra disdegnare eventuali offerte provenienti dall'altra sponda, tanto da citare a modello le concessioni di Zapatero all'autonomismo catalano.

D'altra parte da tempo, nel panorama della politica parlamentare, tutti si sono scoperti federalisti, pur se appare davvero grande la loro lontananza dall'originaria idea di federalismo, non soltanto nella sua concezione anarchica ma anche nella versione repubblicana emersa durante le lotte risorgimentali.

I federalisti repubblicani del Risorgimento italiano, infatti, avevano un programma rivoluzionario per l'abbattimento del potere temporale del papa e di tutte le monarchie, vedendo in essi la negazione di ogni principio di libertà, prospettando invece la realizzazione di diverse repubbliche fondate sulle libertà di pensiero, d'associazione, di stampa e di culto, ed aprendo comunque la strada ad ulteriori battaglie e conquiste sociali. I loro orizzonti non erano certo quelli del comunismo, ma neppure quelli ristretti, tristi e discriminanti della Padania, baluardo della cristianità e della media impresa tartassata, così come sono evocati dai Bossi e dai Calderoli che sovente si richiamano strumentalmente al federalismo di un Carlo Cattaneo.

Da parte loro, i federalisti antiautoritari, partendo dalla lotta di classe e dal principio associazionista, rappresentarono invece la critica più radicale del movimento socialista contro il capitalismo e lo stato, tanto da prefigurare una nuova società organizzata e basata su libere federazioni di consigli di lavoratori, sindacati e comunità solidali. La loro rivoluzione sociale nasceva proprio nello sviluppare tra gli sfruttati coscienti un altro metodo e un'altra visione dell'organizzazione che, appunto, era federalista e anarchica.

D'altronde un federalismo di stato o uno stato federalista restano, come ogni forma di dominio politico, nemici di una società liberamente federata su basi egualitarie che, a settant'anni dalla rivoluzione spagnola, rimane l'unica alternativa al potere.

Anti

una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti