Umanità Nova, n 24 del 2 luglio 2006, anno 86
L'accordo tra Italia e Russia
La partita del gas
Gazprom è al quarto posto tra le società quotate nel
mondo borsistico dopo Exxon Mobil Corp., General Electric Co. e
Microsoft Corp. È la numero uno mondiale nel settore gas
naturale per quantità prodotta ed entità delle riserve.
Nata dal ministero sovietico del Gas nel 1991, possiede il 16 per cento
delle riserve mondiali accertate. La quantità di gas prodotta da
Gazprom nel 2005, pari a 547,2 miliardi di metri cubi, equivale a 9,42
milioni di barili di petrolio al giorno, quasi pari all'estrazione
giornaliera dell'Arabia Saudita, maggiore fornitore di greggio al
mondo.
Ci sono legami strettissimi tra i vertici della Gazprom e il presidente
Putin (il presidente della società Dmitry Medvedev e il
direttore esecutivo Alexei Miller sono, rispettivamente, capo dello
staff di Putin e amico del presidente russo).
Il Cremlino punta a costruire dei monopoli in grado di utilizzare le
ricchezze del paese (i pozzi petroliferi e i giacimenti di gas) per
rilanciare il ruolo della Russia come potenza politica ed economica. La
dipendenza europea dalla Russia, in cifre, si può sintetizzare
così: Gazprom nel 2006 venderà all'Europa, 151 miliardi
di metri cubi (4,1% in più del 2005) arrivando a 158 nel 2007 e
163 nel 2008.
Attualmente, il gas naturale russo viene convogliato lungo due
direttrici principali (invariate rispetto a quelle che vi erano
nell'Unione Sovietica), una attraverso il Turkmenistan smista il 20%,
l'altra con il condotto ucraino convoglia il restante 80%. Il gas russo
per arrivare a Baumgarten in Slovacchia deve quindi usufruire dei
gasdotti ucraini in mano all'azienda Naftogaz che, ovviamente, esige un
"pedaggio", fondamentale per far quadrare i bilanci dell'Ucraina.
Gazprom, (8 settembre '05) ha siglato un accordo per la costruzione di
un nuovo gasdotto di 1200 km che entro il 2010, passando sotto il mar
Baltico porterà gas russo in Germania. Di quest'impresa tra
Berlino e Mosca si faranno carico Gazprom (Russia 51%), EON con la sua
affiliata Ruhrgas (Germania 24,5%) e BASF con la sua affiliata
Wintershall (Germania 24,5%). Costo complessivo dell'opera 4 miliardi
di euro.
Il progetto di far saltare gli equilibri della regione baltica, visto
che lo scopo di questo gasdotto è quello di tagliar fuori
Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, che come l'Ucraina ricavano una
sostanziosa fonte di sostentamento dal passaggio dei gasdotti, parte
quindi da lontano e, comunque, ben prima della crisi dello scorso
inverno.
In questo contesto si possono spiegare le ragioni del calo di forniture
di gas all'area europea durante l'ultima stagione fredda. In questa
operazione Putin ha usato il presunto o reale furto di gas da parte
dell'Ucraina per lanciare un avvertimento: "niente più prezzo di
favore per gli ex satelliti, ma costi di mercato". Contemporaneamente,
una punizione per l'atteggiamento filoccidentale ucraino ed anche un
segnale per gli altri Stati, dell'area, che tendono ad avvicinarsi agli
Stati Uniti.
Ma ciò che ci riguarda più da vicino è che, con
questa strategia, Gazprom esercita anche una pressione sui paesi
europei per poter entrare nel mercato liberalizzato dell'energia.
L'accordo con l'Italia
Su questo terreno ha già ottenuto dei risultati, a gennaio
l'allora ministro delle Attività Produttive Scajola aveva
incontrato il Ministro dell'Energia russo promettendogli di aprire il
mercato italiano in cambio del ripristino di regolari forniture di gas
al nostro paese.
Seguendo l'accordo siglato in precedenza del presidente Vladimir Putin
e della cancelliera Angela Merkel (1), pochi giorni fa Paolo Scaroni,
amministratore delegato dell'ENI, ha accompagnato Prodi nella sua
visita in Russia e si è presentato all'incontro con il numero
uno di Gazprom, Alexei Miller, definendo le linee generali dell'accordo
per cui la società russa potrà entrare nel mercato della
distribuzione di gas in Italia, mentre l'ENI acquisirà diritti
di estrazione di gas e petrolio in Russia.
Naturalmente questa ulteriore apertura è giustificata con il
solito ritornello per cui la presenza di più fornitori di gas
permetterà un abbassamento dei prezzi e maggior garanzia di
continuità nelle forniture.
Alle pacche sulle spalle siamo abituati, ed anche se Prodi è un
"amico meno interessante" visto che non potrà ospitare Putin
nella consueta vacanza in Sardegna, di certo il presidente russo ha
fatto salti di gioia vedendo confermato il suo piano dal partner
italiano.
Per quel che ci riguarda, domandiamo se c'è ancora qualcuno che
crede alle barzellette delle liberalizzazioni e del loro benefico
effetto sui costi al consumo.
L'elogio della concorrenza
Di sicuro c'è qualcuno che ancora le racconta, il ministro
Bersani che, presentando il pacchetto sulla liberalizzazione del
mercato dell'energia, afferma che è necessaria più
concorrenza per ridurre prezzi. Ovvero, "far procedere le
liberalizzazioni, che in questi anni hanno avuto una pausa". Parte da
qui il programma per "ridurre, in prospettiva, i prezzi per le famiglie
e le imprese". Si comincia dal gas, "incentivando nuovi gasdotti o
nuovi terminali, riformulando, se necessario, i tetti antitrust
all'import di gas dall'estero… e per le comunità che
diranno sì a rigassificatori, gasdotti e centrali, potranno
partire subito sconti sulle bollette o sgravi fiscali".
Si capisce subito che con il governo del centro sinistra si respira
un'aria… nuova! A tal proposito ci piacerebbe sapere cosa
succederà a quelle comunità che, invece, vicino ai
rigassificatori non vogliono vivere.
Due passi indietro per inquadrare la situazione italiana.
A partire dalla crisi petrolifera del 1973 il gas naturale ha
rappresentato l'unica diversificazione energetica effettivamente
attuata in Italia. Pari al 10,2% dei consumi energetici nel 1973, nel
2004 il gas è salito al 34,0%, aumentando di 4,6 volte in valore
assoluto. Questa crescita è stata però sostenuta
dall'incremento delle importazioni, nello stesso periodo passate
dall'11,5% all'84% del fabbisogno complessivo.
Poiché nei contratti di acquisto dall'estero i prezzi sono
fortemente indicizzati su quelli del petrolio, la diversificazione
è stata molto meno efficace in termini economici. Per ovviare
almeno in parte alla stretta correlazione fra i prezzi del gas e del
greggio, sempre più spesso vengono proposte, come accennato
prima, due soluzioni: un'ulteriore liberalizzazione del settore e un
ampio ricorso al GNL (gas naturale liquido, per intenderci, quello
prima liquefatto, poi trasportato via nave e riportato allo stato
aeriforme attraverso i rigassificatori).
Non vorrei sembrare banale ma non mi è mai capitato di rimanere
senza gas se non per rarissimi interventi d'emergenza, eppure, negli
ultimi mesi, anche la fornitura di gas pare diventata un problema
nazionale. Parlano di un inverno rigido, dei furti dai gasdotti che
attraversano l'Ucraina, tutto è possibile ma dietro ogni
emergenza c'è sempre più di una ragione che rimane in
ombra.
Cerchiamo qualcosa in più per andare oltre le dichiarazioni
rilasciate agli organi d'informazione e comprendere cosa accade in
concreto.
Il mercato dell'energia è un po' particolare, i tempi di predisposizione dell'offerta sono molto lunghi e la domanda di energia è rigida (nel senso che chi ha bisogno di energia difficilmente può farne a meno). Nessuna liberalizzazione può condurre a prezzi ribassati se non c'è un'abbondanza di offerta: se l'offerta è carente, i prezzi rimangono sempre alti. La realtà ci insegna che le fonti di energia più utilizzate dipendono da risorse limitate e, quantunque si possa godere di abbondanti riserve, sono le stesse compagnie o i paesi produttori a fissare prezzi di cartello in perfetto stile monopolistico. Non possiamo poi dimenticare che, per garantirsi il controllo delle fonti energetiche, le grandi potenze passano facilmente dalla disquisizione sulle manovre dei mercati internazionali alla guerra sul campo.
Inoltre, in epoca di liberismo sfrenato alcuni sono meno liberisti di altri, capita così che la legislazione italiana, in particolare, il decreto legislativo del 23 maggio 2000, n.164, con cui l'Italia ha recepito nell'ordinamento interno la direttiva europea n.30 del 1998 ha fissato, per contrastare il monopolio ENI, dei "tetti", cioè delle quote massime, sia di immissione di gas nella rete nazionale (75 per cento dei consumi nazionali) sia di vendita ai clienti finali (50 per cento dei consumi nazionali). Nel primo caso nessun operatore può immettere in rete più del 75 per cento del fabbisogno nazionale; questa percentuale scenderà al 61 per cento nel 2009; nel secondo caso, nessun impresa potrà vendere ai clienti finali più del 50% dei consumi nazionali di gas annuali.
La legge italiana ha previsto anche la separazione societaria delle attività di commercializzazione - acquisto e vendita - dall'attività di trasporto e di distribuzione (nemmeno questo era previsto dalla direttiva europea; l'Italia è l'unico paese, insieme alla Spagna, ad aver introdotto questa separazione) decisione che apre delle falle nel sistema che collega e coordina l'approvvigionamento e la distribuzione.
Il risultato pratico è che ENI, ex monopolista, vende il gas
che importa in "eccesso", rispetto ai limiti stabiliti, ai concorrenti
esteri che a loro volta lo commercializzano in Italia (a voi scoprire
se ad un costo minore).
Take or pay: prendi o paga
Questa strana situazione è legata anche al fatto che la distribuzione del gas prevede grandi investimenti con ritorni economici che vanno a 10, 15, 20 e 25 anni. I contratti take or pay (stanno a significare letteralmente: prendi o paga) sono contratti a lungo termine stipulati con i paesi produttori di gas in base ai quali l'azienda importatrice si obbliga per un dato periodo di tempo ad acquistare ogni anno un determinato volume di gas con un limite superiore ed uno inferiore pagando un prezzo indicizzato a quello del petrolio. Questi contratti sono stati la base sulla quale si è costruita la collaborazione tra paesi produttori e consumatori. Questi contratti costituiscono una fonte di reddito fondamentale per il paese produttore, ed è questo uno dei motivi per cui è il paese produttore a richiederli; ma sono ben accetti anche da parte degli acquirenti visti i costi del trasporto del gas, pari a circa dieci volte il trasporto del petrolio, (sia che venga effettuato via tubo sia che il gas venga liquefatto e trasportato con la nave).
Tutte le strutture di adduzione del gas in Italia sono state posate dall'ENI, che era l'unico operatore presente nel settore del gas, è ovvio che, in relazione ai costi del trasporto, per sviluppare un giacimento bisogna assicurarsi che ci sia un cliente che poi acquisti. Questo costituisce il motivo fondamentale per cui il mercato del gas è regolato dai contratti take or pay; altrettanto evidente è che, se il trasferimento viene effettuato via tubo, il paese produttore e quello consumatore sono rigidamente collegati.
Mettere in discussione i contratti take or pay significherebbe mettere a repentaglio la sicurezza degli approvvigionamenti in Italia; intervenire su tali contratti per liberare le capacità di trasporto nell'illusione che i contratti spot (funzionali alla costruzione dei rigassificatori), stipulati oggi per domani, riescano a spiazzare quelli take or pay e quindi a creare una più forte competizione è più che velleitario.
Intanto l'ENI ha iniziato ad impiegare il gas in eccesso per produrre energia elettrica, ma come… servono nuovi gasdotti, rigassificatori, nuovi depositi per incrementare le riserve… e la principale impresa italiana deve trovare altri sbocchi per usare il gas che non può immettere nella rete di distribuzione nazionale, tanto che usa il metano per produrre energia elettrica che poi vende sui mercati esteri.
Non dovremmo preoccuparci troppo delle contraddizioni del capitale, del mercato liberista o della sghemba organizzazione dello stato, tra quelle fila, infatti, ci sarà sicuramente qualcuno cui i cosiddetti "tetti" piacciono, perché garantiscono la conquista di una fetta del mercato anche a chi, secondo i parametri dell'economia capitalista, competitivo non è, della serie: liberisti sì, ma bisogna far profitto un po' tutti. Purtroppo però, nostro malgrado, facciamo parte della categoria dei "clienti", cioè quelli che alla fine pagano una bolletta più cara, perché qualcuno ha sbagliato un investimento, si è arricchito con una speculazione borsistica o ha promosso una liberalizzazione che come risultato, sicuro, ha solo quello dell'incremento dei guadagni delle compagnie.
I soliti disfattisti antiliberisti? Secondo gli ottimisti, dovremmo, invece, rallegrarci perché l'ex "compagno" Putin uno sconto alle masse popolari di sicuro lo garantirà!
MarTa
(1) In occasione dell'ottavo summit Germano-Russo, è stato
definito un accordo, firmato il 27 aprile 2006 a Tomsk in Siberia, per
cui la tedesca BASF, parteciperà, con il 35%, all'esplorazione
di un importante campo di gas in Russia, in cambio la russa Gazprom,
avrà un accesso alla distribuzione di gas in Germania.