Umanità Nova, n 25 del 16 luglio 2006, anno 86
Aveva 24 anni. Era un rumeno senza documenti, un "clandestino". È morto tra il fango e la merda in fondo ad una fogna, inghiottito da una piena improvvisa, che lo ha risucchiato mentre lavorava senza alcuna protezione. La ditta che lo impiegava in nero era una delle tante che avevano vinto il subappalto per l'Amiat, l'ex municipalizzata che, tra le altre attività, gestisce le fogne di questa città. La paga dell'operaio immigrato era di tre euro l'ora. La sua morte è la metafora di una Torino dove sono partiti i lavori per il raddoppio del cpt-lager di corso Brunelleschi, teatro di rivolte e fughe sin da quando, nel lontano aprile del '99 venne aperto. Pareva un incubo quella primavera. Le sbarre e i container di latta vennero messi insieme in fretta a furia: il governo di centro sinistra aveva fretta di rendere operativa nella nostra città la legge "Turco-Napolitano" che istituiva queste galere per immigrati, luoghi dove rinchiudere esseri umani colpevoli di non avere le carte in regola. Quando il Cpt venne aperto i bombardieri di Massimo D'Alema martellavano le città della Serbia e del Kosovo in quella che venne definita una "guerra umanitaria". Orrendo ed efficace ossimoro. I profughi "buoni" di quella guerra, i kosovari, vennero rinchiusi per mesi nell'ex base Nato di Comiso e poi subito rispediti indietro, in quanto agli altri, quelli "cattivi", se presi, vennero subito destinati ai vari Cpt della penisola e poi espulsi verso le bombe, la fame e la morte.
Oggi come allora la maggiore preoccupazione degli abitanti della zona di corso Brunelleschi era il deprezzamento dei loro appartamenti: due camere, cucina, doppi servizi, garage, piano alto... vista lager. Poco fine, decisamente poco fine. Chi vuole comprare una casa dove il dolore e la sofferenza inflitti ad altri esseri umani sono lo spettacolo quotidiano?
Ma facciamo un passo indietro. In questi anni il Cpt della città della Mole è stato teatro di rivolte ed evasioni sempre più frequenti. La più clamorosa, tra quelle recenti, nella notte tra il 2 e il 3 giugno: i migranti reclusi, divelte le suppellettili, affrontano i loro carcerieri. 17 prigionieri riusciranno ad fuggire dalla prigione amministrativa dove lo Stato Italiano rinchiude chi non ha documenti, colpevole di non averli, colpevole di essere nato in posti dove la guerra, la povertà, le discriminazioni rendono impossibile pensare ad un futuro di vita e dignità.
Le polemiche divampano furiose tra destra e sinistra. L'(ex) picchiatore (post) fascista Ghiglia da fiato alla protesta degli abitanti. Ghiglia soffia sul fuoco e invoca il trasferimento del Cpt fuori Torino. I giornali sostengono che il comune di Lombardore sia pronto ad accogliere il Cpt. Gli amministratori del paese smentiscono: in provincia come a Torino la gente ha animo sensibile e non ama la vista del Cpt.
Anche a sinistra le polemiche si fanno roventi: la struttura di
corso Brunelleschi viene definita invivibile e tutti chiedono una
galera più umana.
Alcune coincidenze. Forse casuali, forse no.
Il 14 giugno in cronaca cittadina del quotidiano "La Stampa" compare l'articolo di un giornalista molto noto per la precisione questurinesca delle sue note. Si tratta di Massimo Numa, dimostra attitudini da vero agente segreto, rivelando ai lettori del quotidiano torinese tutti i particolari dell'annunciato raddoppio del Cpt. Un raddoppio da 11 milioni di euro.
Il Cpt si trasformerà in vero hotel a cinque stelle. Scrive Numa: "Casette con bagno per ogni unità abitativa, aria condizionata, tivù; servizio di lavanderia e vivanderia." Vi risparmiamo il resto.
Numa con precisione impeccabile cita:
Il nome della ditta che ha vinto l'appalto per i lavori, la "Coema Edilità Srl". Ma non solo. C'è anche l'indirizzo: corso Unione Sovietica 560. Lo stesso Numa nell'occhiello dell'articolo precisava il contenuto del suo scoop: tutti i particolari del "contratto 'segretato' con la Coema Edilità". Se qualcuno avesse voluto indicare un obiettivo non avrebbe potuto fare di meglio.
Nello stesso pezzo Numa cita i nomi e cognomi del prefetto di Torino, del vicecapo del Dipartimento "Libertà civili e immigrazione" del ministero dell'Interno e del Direttore centrale per i "servizi civili dell'Immigrazione e dell'Asilo". Questi tre sarebbero i "responsabili" della decisione del raddoppio. Di questi Numa si astiene dal riportare, oltre ai nomi, anche gli indirizzi.
Per finire, sempre con nome e cognome, è indicato il presidente del comitato per la difesa e l'estensione del parco Ruffini, che si batte contro il raddoppio del Cpt e per l'utilizzo del area come parco.
Il 2 luglio a Livorno, in Toscana, si tiene un convegno nazionale della FAI. Tra i molti argomenti in discussione quello dell'immigrazione e del razzismo.
La Federazione di Torino nella sua relazione annuncia una campagna contro i Cpt e denuncia l'ipocrisia di chi, a Torino, per "umanizzare", raddoppia. Il raddoppio del CPT, effettuato secondo criteri di "sicurezza", servirà in primo luogo a rendere più difficili le rivolte, impossibili le fughe.
Tutti gli antirazzisti torinesi lottano contro il Cpt e sono al
fianco dei migranti che si ribellano alle botte, alle umiliazioni, alle
deportazioni.
Il 4 luglio un pacco bomba viene recapitato a Beppe Fossati, direttore
di Torino Cronaca, foglio di area nazionalalleata, che si
contraddistingue per le posizioni razziste e fasciste e per il taglio
scandalistico. Fossati resta lievemente ferito. Il giorno successivo
arriva la rivendicazione della cosiddetta FAI informale, la sigla che
da qualche anno imita in modo tra l'aggressivo e l'irrisorio quella
della Federazione Anarchica Italiana. Oltre all'acrostico FAI
c'è anche quello RAT, che, secondo quanto riportano i giornali,
starebbe per Rete Anarchica Toscana.
Difficile non notare che "RAT" somiglia a "FAT" (Federazione Anarchica Torinese) e che proprio in Toscana la FAI ha discusso di iniziative contro i Cpt.
Coincidenze?
La Stampa, a pagina 43 della Cronaca del 6 luglio in alto pubblica un articolo sul pacco a Fossati, sotto da la notizia della rioccupazione dell'Alcova la sera del 4 luglio. Un accostamento casuale?
Lo scorso anno in occasione del pacco esplosivo ai vigili urbani di S. Salvario i quotidiani torinesi fecero a gara nell'indicare i colpevoli, con tanto di nomi, professioni, quartieri di residenza...
Coincidenze?
Arrivano altri pacchi, già annunciati dalla rivendicazione giunta ai giornali.
Il 6 luglio un pacco arriva alla Coema Srl, quella il cui nome e indirizzo era stato pubblicato su "La Stampa" del 14 giugno.
Il giorno successivo un altro pacco bomba viene trovato tra la posta diretta al sindaco Chiamparino.
Queste operazioni esplosive, da chiunque siano orchestrate, hanno una
conseguenza evidente: distogliere l'attenzione della cittadinanza dalla
galera per immigrati di Corso Brunelleschi, una galera che nostri
sinistri governanti si accingono a raddoppiare per umanizzarla. Ma non
si può umanizzare un luogo nato per negare l'umanità di
chi vi è recluso.
Con il plico esplosivo a Chiamparino, in più, si beatifica l'uomo simbolo della trasformazione di Torino in laboratorio della repressione, in parco giochi violento e criminale, dove nell'indifferenza di troppi la politica è arrivata ad uno dei punti più bassi di degenerazione, proprio con la recente riconferma a sindaco dell'ex sindacalista, ex quadro di partito, espressione della lobby politico-affaristica che sono oggi in primo luogo i DS e poi l'Unione.
Niente di meglio che l'ennesima emergenza "terrorismo" per far sì che la realtà del lager passi in secondo piano e venga dimenticata. I pacchi bomba non rivelano ma nascondono.
Mentre si levano le cortine fumogene della disinformazione di Stato e quelle dei pacchi sin troppo intelligenti sullo sfondo c'è una città laboratorio di nuove strategie disciplinari, una città dove si fatica ad arrivare alla fine del mese, una città dove c'è un lager e poche voci si levano per opporsi.
Una città dove un ragazzo di 24 anni annega nella merda nel silenzio e nell'indifferenza dei più. Negli stessi giorni due operaie bruciate vive nel laboratorio dove lavoravano in nero hanno avuto l'attenzione postuma del presidente Napolitano. Per Dani Mihalcea, l'operaio inghiottito dalle fogne, neppure questo. La sua morte, come la sua vita, resta clandestina.
M. M.