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Umanità Nova, n 26 del 3 settembre 2006, anno 86

Milano, 11 marzo 2006
Sentenza di rappresaglia


29 imputati. L'accusa è molto grave. Fra i reati contestati, concorso morale in devastazione e saccheggio. Pena prevista dagli otto ai quindici anni. Pena irrogata 4 anni per 18 imputati, assoluzione per altri 9 (in due hanno patteggiato).

Ecco una delle più recenti applicazioni di un reato mai tanto contestato come in quest'ultimo anno.

Delitto pensato dal legislatore per tumulti di popolo e insurrezioni, ha suscitato notevole interesse nella magistratura a cominciare da Genova 2001, per continuare con Torino e Val di Susa nel 2005, per finire con Milano, 11 marzo 2006.

Prima del G8 di Genova di questo reato non si parlava da 22 anni.

Ebbene, l'11 marzo 2006 ha ben ripagato i 22 anni di attesa dei Tribunali italiani.

Milano, Corso Buenos Aires. 38 minuti nei quali, in meno di 200 metri, accanto ai manifestanti circolano passanti, fotografi e giornalisti che camminano, entrano ed escono da negozi, scattano fotografie, girano video. Questo lo scenario costato caro a 25 persone sulle quali si è abbattuta la ferocia di una custodia cautelare di 130 giorni nelle carceri di San Vittore e Bollate e, per molte di loro, di una condanna a quattro anni, agli arresti domiciliari. Non male per i fanatici della finalità rieducativa della pena e del reinserimento sociale del reo.

La magistratura non si è negata nulla questa volta. 

Rigetto di tutte le istanze di scarcerazione, costruzione di un impianto accusatorio talmente fallace dal punto di vista probatorio da costringere a vere e proprie architetture giuridiche difficili da scardinare anche per i più arguti penalisti, negazione dei permessi visita dalla data di rinvio a giudizio (9.6.2006) e, in ultimo, lettura della sentenza a porte chiuse.

Era forse possibile difendersi di fronte ad un giudice che nega la libertà ad un individuo per il suo "assoluto disprezzo per la vita", perché in un mese non ha dato prova della "benché minima disponibilità ad un pentimento, ad ammettere l'errore e collaborare alla ricostruzione dei fatti" e secondo il quale "l'invocata ragione secondo cui gli arrestati subirebbero ritardi negli studi e rischierebbero di perdere il posto di lavoro francamente è incommensurabile con i beni che loro stessi hanno esposto a pericolo con quelle condotte"?

Come difendersi di fronte a chi propone una pena di 5 anni e otto mesi per chi passa una bottiglietta d'acqua ad un compagno durante una manifestazione e arriva a sostenere che preordinazione e organizzazione del fatto criminoso si fondino su messaggi scambiati tramite il sito di indymedia?

Come difendersi di fronte ad una "giustizia" che senza indugio rinchiude e condanna persone senza alcuna prova della condotta che viene loro contestata?

Evidentemente nessuna difesa è prevista.

Il messaggio è chiaro. Ti trovi in una manifestazione che non si svolge secondo i dettami istituzionali, meglio ancora se non vi è l'appoggio di alcuno dei partiti-poteri, e poni in serio pericolo la tua libertà, la tua vita.

Ed ecco la chiave. Chi non si allinea, chi lotta contro l'autoritarismo statale, chi non collabora coi poteri forti finisce nella canicola delle maglie repressive che prendono le forme più svariate e che non hanno alcun freno.

L'intento è chiaro. 

Esprimere liberamente il proprio pensiero, manifestare, singolarmente o collettivamente, il proprio dissenso (peraltro addirittura definiti "diritti" dalla Carta Costituzionale) mette in allarme lo Stato che reagisce duramente e "seda gli animi", confinandoli in carcere per oltre quattro mesi. 

Nessuno dei 25 arrestati è riprodotto in un fotogramma o frammento di video nell'atto di compiere i reati contestatigli. Nessuno. Eppure l'ingranaggio repressivo si mette in moto e questa volta punisce davvero duramente.

Quale metodo migliore per manifestare il proprio potere e minare la volontà di lottare contro chi consente una sfilata fascista nel pieno centro di una città se non la privazione della libertà personale?

Quale luogo migliore se non il carcere può essere utilizzato per chi non accetta supino le molteplici espressioni dell'autorità quali l'uso della forza, il trattamento disumano riservato agli immigrati, l'imposizione di "grandi opere" che stravolgono l'ambiente e sono un pericolo per l'uomo, le condizioni di assoluta precarietà lavorativa e abitativa in cui non-vive la maggior parte della popolazione, il sostegno ad occupazioni militari e guerre?

Quale luogo migliore se non il carcere per dividere, lacerare e piegare chi ha scelto di lottare ogni giorno per il rispetto della persona e per la libertà di ogni individuo? 

V.S.

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