Umanità Nova, n 26 del 3 settembre 2006, anno 86
La manifestazione svoltasi sabato 26 agosto ad Assisi - con la
stessa ambientazione della tradizionale marcia per la pace
Perugia-Assisi - ha mostrato in modo assai evidente il vicolo cieco
imboccato da certo sedicente pacifismo, al punto che si sono registrate
le dissociazioni, certo non estremistiche, di realtà come
Emergency, Pax Christi o il Centro di ricerca per la pace di Viterbo.
Emblematico lo striscione d'apertura ("Forza Onu"), così come le
dichiarazioni di Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace che
promuoveva l'iniziativa, e gli articoli di Rina Gagliardi sul
quotidiano "Liberazione", tutti miranti a legittimare "senza se e senza
ma" l'intervento militare italiano in Libano, intervento che va a
sommarsi alla non ancora conclusa missione in Iraq e alla rinnovata e
rafforzata presenza tricolore con la Nato di soldati e mezzi in
Afganistan.
Per fortuna, ad Assisi, l'arruolamento volontario dei "soldati
arcobaleno" (riprendendo la tragica definizione utilizzata nel titolo
su "Il manifesto") è risultato assai limitato: soltanto duemila
persone, secondo le stime più generose, hanno accettato di
avallare l'interventismo governativo di centrosinistra e l'idea che il
militarismo possa essere la soluzione di un conflitto o che possa
difendere la vita delle popolazioni civili, solo perché gli
elmetti dei professionisti della guerra vengono dipinti di blu.
L'idea di pace avrebbe in se una sua radicalità, in quanto antitesi assoluta della guerra; basti pensare ai poveri fanti che scrivevano la parola "pace" nelle trincee della Prima guerra mondiale, rischiando la galera o la fucilazione per disfattismo. Eppure, in questi decenni, la pace è divenuta sempre più sinonimo di pacificazione forzata attraverso gli strumenti e le logiche della guerra, tanto da essere ormai l'immancabile argomentazione retorica di ogni discorso bellicista, persino nelle dichiarazioni dei generali.
Al punto che si sono visti marciare spudoratamente coi pacifisti, persino i vari D'Alema e Fassino che, al governo o all'opposizione, hanno sempre appoggiato le scelte di guerra, dal Kossovo all'Afganistan, dall'Iraq al Libano. E, paradossalmente, persino i mercenari e i militari di mestiere, caduti in azioni di guerra, sono stati definiti "costruttori di pace" e commemorati come tali, anche a sinistra, come se si trattasse di turisti per caso o di sfortunati inermi volontari.
Per questo, così come viene affermato da più parti, è davvero venuto il momento di abbandonare le ambiguità etiche e le complicità politiche del cosiddetto movimento per la pace, per sviluppare un nuovo movimento contro la guerra.
Urgono infatti tonnellate di sabbia, per inceppare troppo indisturbati meccanismi di morte ed oppressione, comunque pagati dai lavoratori, dai precari, da chi combatte per arrivare alla fine del mese.
KAS