Umanità Nova, n 27 del 10 settembre 2006, anno 86

Uragano sociale
New Orleans un anno dopo Katrina
Capitalismo della catastrofe e resistenza popolare

Il 28 agosto le agenzie di stampa riportavano febbrilmente che il Governo USA aveva fatto una dura autocritica a proposito del proprio intervento dopo l'uragano Katrina che il 29 agosto del 2005 aveva devastato la costa sud-orientale degli Stati Uniti. "Il nostro obiettivo era assicurare case per i bisognosi, mi vergogno di dire che quest'anno a New Orleans abbiamo fallito", così aveva dichiarato Alphonso Jackson, segretario della HUD, United States Department of Housing and Urban Development, il 28 agosto 2006 di fronte ai giornalisti. Il discorso, definito da molti cronisti presenti "ponderato e impeccabile" era però l'ennesimo abile scherzo mediatico del collettivo di artisti-attivisti The Yes Men, che dopo il clone del sito americano della WTO e quello della Dow Chemical Company, con perfetto tempismo, un giorno prima dell'anniversario della catastrofe dell'uragano Katrina, avevano creato un sito internet identico all'originale (in questo caso la Housing Authority of New Orleans), per poi diffondere comunicati e organizzare incontri e conferenze stampa al posto dei reali rappresentanti.
Il falso degli Yes Men ha contribuito a riaprire la discussione sull'uragano Katrina e i suoi effetti, un argomento che, esattamente ad un anno dal disastro è tornato prepotentemente alla ribalta anche per l'uscita del documentario When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts di Spike Lee (presentato in questi giorni alla mostra di Venezia) e di molti libri sull'argomento.
L'uragano "Katrina" è stato un potente ciclone tropicale che ha colpito gli USA tra il 28 e il 31 agosto dello scorso anno, causando gravi danni nella costa sud-orientale (la cosiddetta Gulf Coast). È stato uno dei peggiori disastri naturali degli Stati Uniti e l'uragano più devastante e costoso che abbia mai flagellato il paese dal 1900, anno dell'uragano Galverston, che uccise tra le 8.000 e le 12.000 persone. Ad un anno dall'uragano mancano tuttora all'appello ben 4mila persone (oltre ai 1.336 morti accertati). La devastazione, inoltre, ha interrotto per mesi le forniture di carburante, l'importazione e l'esportazione di beni. Almeno un milione di persone sono rimaste senza casa, mentre in tutta la Gulf Coast, altri circa 5 milioni di persone sono state prive di corrente elettrica per almeno due mesi prima di riattivarla. In particolare la città più colpita dal disastro è stata New Orleans, dove vi è stata la completa inondazione del 90% del territorio cittadino.
Davanti alla catastrofe, sono emerse da subito l'inefficienza e la ferocia delle autorità cittadine e federali. Fra i principali responsabili del disastro che ha investito la città vi è sicuramente il suo primo cittadino Ray Nagin, il sindaco nero eletto col voto dei bianchi che per non incorrere nella critica di un eccessivo allarmismo e, soprattutto, per difendere gli interessi del settore commerciale e alberghiero, ha emesso con colpevole ritardo, la mattina del 28 agosto, l'ordinanza di evacuazione obbligatoria della città, la prima di una catena di decisioni fallimentari che costeranno la vita a migliaia di persone. Peggio ancora hanno saputo fare le autorità federali, col Presidente Bush in testa che in quei giorni, prima ancora di organizzare i soccorsi, ha inviato l'esercito a pattugliare le strade per mantenere il rispetto dell'ordine e delle proprietà private. Le immagini di anziani e bambini, in maggioranza poveri eneri, che chiedevano cibo e assistenza, fronteggiati nelle strade o nel famigerato Superdome da agenti di polizia e soldati armati fino ai denti verranno giustificate dalle notizie di razziatori e violentatori diffuse ad arte dai media. Soltanto dopo parecchi giorni che i media di tutto il mondo avevano raccontato panzane su panzane sulla quella specie di girone infernale che sarebbe stato lo stadio del Superdome trasformato in centro d'accoglienza, grazie al coraggioso reportage di un giornalista del quotidiano britannico The Guardian si venne a scoprire che quasi tutte le storie di stupri, omicidi, casi di cannibalismo etc. erano state inventate di sana pianta per giustificare l'occupazione militare di New Orleans e che nello stadio dei Saints decine di migliaia di persone avevano trovato un rifugio estremo alla furia dell'uragano e, dopo esser state abbandonate per giorni senza assistenza, nel clima malsano di una città sommersa, con i cadaveri delle vittime lasciati nei corridoi, avevano tentato in tutti i modi di uscire, di organizzarsi, di trovare una risposta collettiva alla situazione disperata a cui la colpevole incompetenza delle autorità le stava condannando.
Le stesse autorità non trovarono di meglio, nei giorni successivi, che dipingere i rifugiati e i superstiti come una moltitudine minacciosa di saccheggiatori e stupratori. Di fronte a chi cercava in tutti i modi di non morire di fame e di sete, Bush autorizzò la guardia nazionale ad aprire il fuoco per ristabilire l'ordine contro chi era stato bollato con il marchio infame di ladro e violentatore. Intanto, i suoi portavoce si affrettavano a dire che sollevare la questione razziale a proposito dell'uragano Katrina fosse solo "fonte di divisioni", mentre qualsiasi menzione dell'origine razziale del massacro di New Orleans sarebbe stata solo un intervento degli oppositori all'"agenda politica" dell'amministrazione.
Ad un anno da Katrina, i dati diffusi dall'organizzazione indipendente Gulf Coast Reconstruction Watch ci parlano del dopo-Katrina come del più grande e disumano sgombero di poveri e afro-americani mai avvenuto negli USA dal termine della Guerra Civile americana alla fine del 19° secolo.
A distanza di un anno, oltre 1,2 milioni di persone sono ancora sfollate in Louisiana e Missouri, delle quali oltre 200.000 dalla sola New Orleans, dove solo il 60% della città ha l'elettricità che funziona e metà degli ospedali e tre quarti degli asili rimangono chiusi.
Secondo lo storico Mike Davies, nella "ricostruzione" di New Orleans è all'opera un vero e proprio "capitalismo della catastrofe" che ha determinato le scelte delle autorità. Gli aiuti ai proprietari della propria abitazione sono stati infatti approvati con un ritardo di 10 mesi e, finora, niente è stato sborsato. Ciò, però, non ha impedito al consiglio comunale di New Orleans di approvare la City Ordinance 26031, che ha fissato al 29/08/06 il termine entro cui provvedere alla sistemazione della propria casa, a rischio di essere demolita o espropriata. Nell'anniversario dell'uragano Katrina, a New Orleans sono entrati in funzione i bulldozer per radere al suolo tutte le case non ancora ricostruite, quelle di proprietari che non tornati e per poter espropriare la terra che sarà a disposizione della speculazione edilizia.
Nel frattempo, pochissimo è stato stanziato per ricostruire le abitazioni in affitto, mentre l'80% delle case popolari pubbliche sono lasciate chiuse. Prima di Katrina, a New Orleans circa 49.000 persone vivevano nelle case popolari o con sussidio per l'affitto.
Un anno dopo, a meno di mille persone è stato concesso di tornare perché oltre 5.000 case popolari, sulle 7.100 totali, sono ancora sbarrate nonostante oltre la metà siano agibili. Gli affitti sono naturalmente balzati di quasi il 40%, contribuendo a scacciare chi non ce la fa: l'American Community Survey stima che i residenti afro-americani dell'area di New Orleans siano scesi dal 37 al 22 per cento, mentre i bianchi aumentano dal 59 al 73 per cento. Nella città gioiello della Luisiana, a un anno di distanza dalla tragedia, mancano ancora quasi la metà degli abitanti originali, un terzo degli ospedali e la metà delle scuole sono ancora chiusi, il sessanta per cento delle case non ha elettricità.
Bush (che ha proclamato il 29 agosto, anniversario della tragedia, "Giornata nazionale del ricordo") vanta nel suo sito ben 13 viaggi nella zona del Golfo, anniversario di Katrina incluso, ma agli americani continua ad apparire come il responsabile di un'amministrazione drammaticamente inefficiente, che affidava ai raccomandati politici agenzie importanti come la Fema, l'agenzia incaricata di combattere le emergenze nazionali, incapace di affrontare il dramma dei più poveri e dei più indifesi.
Recentemente ha fatto scalpore il rapporto molto documentato di CorpWatch sulla gestione del dopo-Katrina, che dimostra che degli oltre 110 miliardi di dollari stanziati, il 90% dei contratti sono stati affidati ad imprese esterne agli stati colpiti da Katrina e, tra questi, oltre il 70% sono stati assegnati direttamente senza nessuna gara pubblica. Il recupero dei cadaveri è assegnato per 6 milioni di dollari a Kenyon, filiale della Service Corporation International, diretta da Robert Waltrip, stretto amico della famiglia Bush. Il capo della FEMA, agenzia governativa per l'emergenza, è Joseph Allbaugh, ex direttore della campagna presidenziale di Bush. Due suoi clienti sono tra i primi a firmare i contratti post-Katrina. Si tratta dello Shaw Group, e dell'Army Corps of Engineers, che hanno totalizzano 700 milioni di dollari di contratti, come la KBR, una filiale della Halliburton, già diretta dal Vice Presidente Dick Cheney. Tra le altre imprese presenti, c'è anche la multinazionale Bechtel, recentemente sotto accusa per i suoi legami con la famiglia Bin Laden, e per i favoritismi dell'amministrazione Bush nell'assegnazione dei contratti in Iraq.
In questa situazione negli ultimi dodici mesi molti degli ex abitanti di New Orleans hanno scelto la strada dell'autoorganizzazione sociale: le iniziative di solidarietà, le marce, le proteste, le cause legali, le proposte delle reti, delle organizzazioni di abitanti, dei sindacati hanno accompagnato la cronaca locale.
Un anno dopo, le reti sono sul piede di guerra perché niente é tornato come prima. In occasione del primo anniversario dell'uragano, si sono svolte grandi mobilitazioni principalmente a New Orleans, ma anche in altre città degli USA, organizzate da moltissime reti e organizzazioni.
Non ultimo, citiamo il Survivor's Village, accampamento eretto nel giugno 2006 dai residenti di New Orleans con l'appoggio del United Front for Affordable Housing Coalition, per chiedere ad HANO e HUD, entità governative che gestiscono il settore, di riaprire immediatamente le oltre 5.000 case popolari pubbliche ancora chiuse nonostante siano agibili in gran parte. 

robertino

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti