Gli anniversari costringono a bilanci, a verifiche, a confronti
interiori ed esteriori tra ciò che si era e ciò che si
è, tra il mondo in cui ci tocca vivere oggi e quel che ci
circondava. La distanza tra un dato evento e il momento presente
può essere reale, ma anche del tutto apparente, perché un
certo fatto può continuare ad accadere. Non solo gli effetti di
un accadimento istantaneo possono essere ancora vivi, ma, piuttosto,
l'evento non ha finito di prodursi, determinando una modifica dello
statuto del tempo, avendo introdotto una dimensione di presente che non
riesce a diventare passato mentre impedisce al futuro di sorgere.
Questo punto nel tempo piega lo spazio e lo trascina nel suo
precipitare. Il mondo-spazio precipita nella perdita di memoria e non
attende alcun futuro. Nel punto-evento si arresta ogni sviluppo,
finisce la storia, il passato non conta più, e non può
sorgere alcun progetto di futuro, il futuro è impensabile. Non
si tratta della iterabilità di un'immagine televisiva che crea
l'abbaglio del tempo reale. L'immagine dell'evento può essere
rimandata e ripetuta, non solo in occasione dell'anniversario dello
stesso, ma ciò può fallire nel rendercelo presente.
Diverso è, come dicevamo, il fatto che l'evento continui ad
accadere.
Le torri gemelle di New York continuano a cadere dall'11 settembre 2001
e nel loro precipitare trascinano con sé lo spazio del mondo.
Non è possibile stabilire una distanza con quel giorno
perché non è ancora finito, purtroppo non è ancora
finito. L'eccezionalità dell'evento non sta solo in sé,
nell'accadere nel cuore dell'impero o nel numero dei morti o nella sua
spettacolarità o nella sua estetica o nel soggetto cui è
attribuito, il fondamentalismo islamico. L'eccezionalità
dell'evento sta nello spazio di eccezione che apre: la guerra
permanente al terrorismo. Questo sintagma non contiene più un
ossimoro (guerra permanente), ma descrive lo stato di eccezione in cui
il mondo è caduto. La guerra, l'evento in cui, per definizione,
la vita normale viene sospesa, diventa qualcosa di quotidiano e dai
contorni sfumati, senza inizio né fine, sfondo dello scorrere
apparente dei giorni. E non si tratta di una guerra contro un nemico
riconoscibile e facilmente individuabile, ma contro qualcosa, qualcuno,
che incarnerebbe la minaccia indeterminata per eccellenza, il
terrorismo e che fino a ieri era oggetto di indagini di polizia,
più che di una guerra.
Il nemico è ovunque, la guerra è ovunque, tutti siamo in
guerra. L'eccezionalità del momento bellico determina la
necessità di misure appropriate. La prevalenza della decisione
sulla deliberazione, con lo scadere del ruolo dei parlamenti a favore
dei governi. Le restrizioni alla libertà individuale motivate
con le esigenze di sicurezza (rafforzato controllo sulle comunicazioni
e sugli spostamenti di ogni singolo). Lo spostamento di consistenti
parti dei bilanci pubblici da capitoli civili a quelli militari, per
finanziare le sempre più frequenti spedizioni all'estero. Il
ritorno in auge dei miti della patria e dell'eroe: la bandiera, i
soldati, le bare, i monumenti, l'intestazione di vie e piazze, il
sacrificio necessario, il nuovo ossimoro soldati di pace. Il
militarismo come categoria centrale della vita sociale e politica, sul
cui ordinato svolgimento vegliano i cugini dei soldati di pace,
cioè i tutori dell'ordine (interno: giacché all'ordine
esterno, con operazioni di polizia internazionale pensano i soldati di
pace).
La circostanza poi che il nemico si caratterizzi per la sua
appartenenza religiosa (fondamentalismo islamico) determina una
reazione identitaria che ha fatto riscoprire le nostre radici cristiane
e giudaiche. La religione, nello scontro di civiltà, si proclama
unica portatrice di valori e pretende di dettare le regole del
comportamento morale valide nella sfera individuale, ma vuole anche che
le leggi degli stati si adeguino a quegli insegnamenti morali. Se la
pretesa è antica, l'ascolto che vi si offre è del tutto
nuovo. Il prete, accanto al soldato, al poliziotto e al carabiniere,
diventa anche modello umano di comportamento, nonché
protagonista della comunicazione quotidiana (giornali, dibattiti
televisivi, fiction).
Ogni progettualità alternativa è sospetta, perché
la destabilizzazione dell'ordine costituito determinerebbe un vantaggio
per il nemico: di fatto il conflitto sociale indebolisce il fronte
interno, l'internazionalismo è intelligenza con il nemico,
l'antimilitarismo un colpo alle spalle dei nostri soldati. Non solo.
Ogni ricetta parziale, ogni progetto alternativo che non faccia i conti
con il legame indissolubile tra potere statale, economico e militare,
prima balbetta, poi ammutolisce, come è accaduto a quello che fu
il movimento dei movimenti.
Far dell'11 settembre 2001 un anniversario significa porre quell'evento
nella distanza dell'accaduto. È l'evidenza dello stato di cose
presenti che impone l'attualità della prospettiva
rivoluzionaria. Lo stato d'eccezione in cui il crollo permanente delle
torri gemelle ci trascina richiede una rottura del presente, dimentico
del passato e privo di futuro, lungo le coordinate
dell'internazionalismo e dell'antimilitarismo. Il movimento anarchico
ha oggi davanti a sé un compito ineludibile.
W. B.