Umanità Nova, n 28 del 17 settembre 2006, anno 86

11 settembre: le Torri continuano a cadere
Rompere il Presente


Gli anniversari costringono a bilanci, a verifiche, a confronti interiori ed esteriori tra ciò che si era e ciò che si è, tra il mondo in cui ci tocca vivere oggi e quel che ci circondava. La distanza tra un dato evento e il momento presente può essere reale, ma anche del tutto apparente, perché un certo fatto può continuare ad accadere. Non solo gli effetti di un accadimento istantaneo possono essere ancora vivi, ma, piuttosto, l'evento non ha finito di prodursi, determinando una modifica dello statuto del tempo, avendo introdotto una dimensione di presente che non riesce a diventare passato mentre impedisce al futuro di sorgere. Questo punto nel tempo piega lo spazio e lo trascina nel suo precipitare. Il mondo-spazio precipita nella perdita di memoria e non attende alcun futuro. Nel punto-evento si arresta ogni sviluppo, finisce la storia, il passato non conta più, e non può sorgere alcun progetto di futuro, il futuro è impensabile. Non si tratta della iterabilità di un'immagine televisiva che crea l'abbaglio del tempo reale. L'immagine dell'evento può essere rimandata e ripetuta, non solo in occasione dell'anniversario dello stesso, ma ciò può fallire nel rendercelo presente. Diverso è, come dicevamo, il fatto che l'evento continui ad accadere.
Le torri gemelle di New York continuano a cadere dall'11 settembre 2001 e nel loro precipitare trascinano con sé lo spazio del mondo. Non è possibile stabilire una distanza con quel giorno perché non è ancora finito, purtroppo non è ancora finito. L'eccezionalità dell'evento non sta solo in sé, nell'accadere nel cuore dell'impero o nel numero dei morti o nella sua spettacolarità o nella sua estetica o nel soggetto cui è attribuito, il fondamentalismo islamico. L'eccezionalità dell'evento sta nello spazio di eccezione che apre: la guerra permanente al terrorismo. Questo sintagma non contiene più un ossimoro (guerra permanente), ma descrive lo stato di eccezione in cui il mondo è caduto. La guerra, l'evento in cui, per definizione, la vita normale viene sospesa, diventa qualcosa di quotidiano e dai contorni sfumati, senza inizio né fine, sfondo dello scorrere apparente dei giorni. E non si tratta di una guerra contro un nemico riconoscibile e facilmente individuabile, ma contro qualcosa, qualcuno, che incarnerebbe la minaccia indeterminata per eccellenza, il terrorismo e che fino a ieri era oggetto di indagini di polizia, più che di una guerra.
Il nemico è ovunque, la guerra è ovunque, tutti siamo in guerra. L'eccezionalità del momento bellico determina la necessità di misure appropriate. La prevalenza della decisione sulla deliberazione, con lo scadere del ruolo dei parlamenti a favore dei governi. Le restrizioni alla libertà individuale motivate con le esigenze di sicurezza (rafforzato controllo sulle comunicazioni e sugli spostamenti di ogni singolo). Lo spostamento di consistenti parti dei bilanci pubblici da capitoli civili a quelli militari, per finanziare le sempre più frequenti spedizioni all'estero. Il ritorno in auge dei miti della patria e dell'eroe: la bandiera, i soldati, le bare, i monumenti, l'intestazione di vie e piazze, il sacrificio necessario, il nuovo ossimoro soldati di pace. Il militarismo come categoria centrale della vita sociale e politica, sul cui ordinato svolgimento vegliano i cugini dei soldati di pace, cioè i tutori dell'ordine (interno: giacché all'ordine esterno, con operazioni di polizia internazionale pensano i soldati di pace).
La circostanza poi che il nemico si caratterizzi per la sua appartenenza religiosa (fondamentalismo islamico) determina una reazione identitaria che ha fatto riscoprire le nostre radici cristiane e giudaiche. La religione, nello scontro di civiltà, si proclama unica portatrice di valori e pretende di dettare le regole del comportamento morale valide nella sfera individuale, ma vuole anche che le leggi degli stati si adeguino a quegli insegnamenti morali. Se la pretesa è antica, l'ascolto che vi si offre è del tutto nuovo. Il prete, accanto al soldato, al poliziotto e al carabiniere, diventa anche modello umano di comportamento, nonché protagonista della comunicazione quotidiana (giornali, dibattiti televisivi, fiction).
Ogni progettualità alternativa è sospetta, perché la destabilizzazione dell'ordine costituito determinerebbe un vantaggio per il nemico: di fatto il conflitto sociale indebolisce il fronte interno, l'internazionalismo è intelligenza con il nemico, l'antimilitarismo un colpo alle spalle dei nostri soldati. Non solo. Ogni ricetta parziale, ogni progetto alternativo che non faccia i conti con il legame indissolubile tra potere statale, economico e militare, prima balbetta, poi ammutolisce, come è accaduto a quello che fu il movimento dei movimenti.
Far dell'11 settembre 2001 un anniversario significa porre quell'evento nella distanza dell'accaduto. È l'evidenza dello stato di cose presenti che impone l'attualità della prospettiva rivoluzionaria. Lo stato d'eccezione in cui il crollo permanente delle torri gemelle ci trascina richiede una rottura del presente, dimentico del passato e privo di futuro, lungo le coordinate dell'internazionalismo e dell'antimilitarismo. Il movimento anarchico ha oggi davanti a sé un compito ineludibile.

W. B.

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