Gli attentati dell'8 settembre 2006, a Kabul nei pressi dell'ambasciata
Usa e contro una pattuglia italiana nei dintorni di Farah, nella zona
di responsabilità del Regional Command West a guida italiana,
confermano la gravità dello guerra in atto in Afganistan.
Appena il giorno prima, il capo delle operazioni della Nato, generale
James Jones, aveva ammesso che l'Alleanza non aveva previsto
l'estensione della violenza nel sud dell'Afganistan, chiedendo
ulteriori rinforzi ai 37 stati facenti parte della missione Isaf, sia
in termini di truppe che di mezzi aerei.
Inoltre, il generale aveva sollecitato la rimozione dei limiti nelle
regole d'ingaggio -conosciuti come caveat - per il pieno utilizzo in
modalità "combat" delle truppe Nato.
Per quanto riguarda il contingente italiano, di quasi 2 mila militari,
il ministro della Difesa Arturo Parisi ha già offerto da tempo
la sua disponibilità ad intervenire "fuori area", beninteso
"solo per operazioni di emergenza come l'aiuto ad alleati in
difficoltà", anche nelle turbolente province meridionali, ed ha
notoriamente iniziato - sin dalla fine di luglio - il
dislocamento di un task group (composto da paracadutisti del 9°
reggimento Col Moschin e da commandos della marina del Comsubin) di
forze speciali italiane a Herat, sede operativa del Prt di competenza
italiana, pronte ad essere impiegate nelle quattro province occidentali
dell'Afganistan sotto comando italiano. Un dispiegamento questo avviato
discretamente e in maniera scaglionata per non aumentare polemiche e
problemi in seno alla maggioranza governativa, allora impegnata nel
voto parlamentare per il discusso rifinanziamento della missione in
Afganistan.
Tale rafforzamento, più qualitativo che numerico, delle forze
italiane nel teatro afgano appare come il risultato, di compromesso,
tra le richieste avanzate dai comandi Nato e la necessità di non
aumentare in modo troppo vistoso il numero dei militari già
impegnati nell'intervento italiano in terra afgana, così da
tranquillizzare i malumori dei, peraltro pochi e presto rassegnati,
parlamentari dissidenti nelle file della cosiddetta "sinistra
pacifista" (Rifondazione comunista, Comunisti Italiani, Verdi e qualche
Ds).
Infatti, chiunque ha qualche nozione di cose militari, sa che poche
centinaia di soldati dei reparti speciali, con specifico addestramento
per operazioni non convenzionali e armamento antiguerriglia, sul campo
valgono quanto migliaia di unità appartenenti a reparti ordinari
quali alpini o bersaglieri, più adatti a presidiare, difendere e
pattugliare le aree di competenza piuttosto che a svolgere ruoli
offensivi.
Eppure si è fatto finta di non vedere e non sapere: ancora su
"Il Manifesto" del 6 settembre, assieme alla pseudo notizia riguardante
le truppe speciali, si potevano leggere le dichiarazioni stupite di
Russo Spena, capogruppo del Prc al senato, e di Angelo Monelli,
capogruppo dei Verdi alla camera, in attesa di conferme ufficiali da
parte di quell'esecutivo di cui, sino a prova contraria, fanno loro
stessi parte.
Ma la realtà della guerra sta smascherando velocemente le
manovre del governo e i funambolismi della sinistra parlamentare: la
guerra è guerra, con i rischi connessi.
Infatti, l'attentato dell'8 settembre, ha causato il ferimento proprio
di quattro incursori del Comsubin, così da togliere ogni
eventuale dubbio sul loro impiego che, a quel punto, veniva confermato
anche dal ministro Parisi pronto a precisare come "le nostre truppe
d'elite sono state inviate come supporto di qualità per gli
obbiettivi che ci siamo prefissi in sede Nato".
Da parte sua, lo stesso generale J.J. ha dovuto riconoscere che
l'insorgenza afgana non è per gli occupanti, come mai lo
è stato nella storia di questo paese, un problema militare
facile a risolversi: "È come agitare un alveare e le api
sciamano fuori".
Soltanto nell'ultimo anno, le perdite ufficiali dell'Isaf-Nato (senza
contare quelle Usa) assommano a circa cinquanta morti e a oltre cento
feriti, così come non sono pochi gli elicotteri e gli aerei
abbattuti.
E manca ancora almeno un mese, prima dell'arrivo del crudele inverno afgano.
U.F.