Umanità Nova, n 28 del 17 settembre 2006, anno 86

Contro la libertà delle donne
Di stupri, delitto d'onore, controllo sociale, razzismo...


Il fatto che molti drammatici episodi di violenza sulle donne abbiano visto la responsabilità di immigrati ha dato il via ad una serie di interventi politici ed istituzionali indirizzati in generale ad un più stretto controllo sociale e, in particolare, a misure più rigide nei confronti degli stranieri.
A Milano il sindaco Moratti ha richiesto un vertice sull'emergenza immigrati, mentre dalla compagine di governo, Amato ha chiesto di introdurre per gli immigrati il giuramento che prevede il rispetto della costituzione e della libertà femminile: iniziative che mostrano in modo evidente strumentalità e idiozia.
Eppure alcune riflessioni si impongono.
Ma prima di tutto un punto fermo: uno stupro è uno stupro. E uno stupratore, che affondi le proprie radici in una cultura integralista o ecumenica, sessuofoba o patriarcale, è sempre uno stupratore, vale a dire un porco schifoso.
Non un mostro (parola che etimologicamente designa un evento formidabile e inconsueto), perché ce ne sono, ahimè, troppi... ma un porco schifoso sì. Non può esserci una lettura deterministica di certi comportamenti, in quanto niente può indurre uno stupro e un atto di violenza se non la responsabilità individuale.
Solo dopo aver detto questo, si possono prendere in considerazione i contesti sociali, la morale sessuale, l'interferenza della religione, il ruolo delle donne, della famiglia e così via.
È evidente la subordinazione fisica sociale e culturale a cui sono condannate le donne in vari paesi dell'area islamica o della zona medio orientale, orientale e africana.
Ma siamo sicuri che la cultura di casa nostra sia indenne da simili concezioni? Siamo sicuri che per mettere piede in Italia ci debba essere un esame d'ammissione? O forse la pretesa di ogni religione, soprattutto monoteista, di interferire nella vita privata marchia inevitabilmente di discriminazione sessuale ogni contesto sociale, compreso il nostro?
Secondo dati forniti dall'OCSE, in Europa la prima causa di morte per le donne tra i 15 e i 60 anni è l'omicidio.
Altri dati ci informano che in Italia l'80% delle violenze sulle donne avvengono nel contesto familiare o nella cerchia parentale. La cronaca ci conferma questo quotidianamente; e se gli stupri fanno notizia, tanto più se compiuti da stranieri, le centinaia di donne brutalizzate o ammazzate semplicemente perché vogliono modificare un rapporto di coppia ne fanno molta meno.
Frequentemente leggiamo di mariti e fidanzati che non sopportano di essere piantati da una donna e l'ammazzano: eppure una parte dell'opinione pubblica stenta a considerarli violenti sanguinari; spesso i giornali titolano in modo comprensivo "dramma della disperazione", raccontando il dramma personale di uno che non potendo più disporre a suo piacimento del corpo di una donna l'ammazza e "si rovina la vita" diventando un  assassino. Spesso molti di questi personaggi sono carabinieri, poliziotti, guardie giurate, gente armata e con un onore da difendere: ma questo meriterebbe un discorso a parte.
E quindi il padre della ragazza pakistana sgozzata a Brescia perché voleva vivere a modo suo ha fatto esattamente quello che fanno tanti mariti e fidanzati nostrani. La tragedia di Hina ha destato la compassione e la rabbia generale forse anche perché è stata ammazzata la sua voglia di occidentalizzazione, il suo desiderio di aderire ad uno standard che conosciamo; ma una di noi che esce dallo standard di sposa italica è colpevole di frustrare ed esasperare un maschio inducendolo alla violenza.
Quello della ragazza pakistana è stato un delitto d'onore simili a molti di casa nostra, generato da una cultura patriarcale e sessista che riesce ad esercitare un dominio assoluto trasversale alle varie culture e civiltà. E non bisogna dimenticare che il delitto d'onore era contemplato fino a pochi decenni fa nella nostra legislazione e che in ogni caso è ancora presente nella testa di tanta gente. Anche da noi, come nelle culture più integraliste, il corpo della donna è un ambito su cui si esercita  il dominio, del potere religioso, del potere economico,del potere politico.
Abbiamo assistito a campagne politiche e referendarie (questione aborto e referendum sulla procreazione medicalmente assistita) in cui il corpo della donna, il suo apparato genitale è stato esibito e setacciato televisivamente per favorire l'affermazione dell'una o dell'altra posizione elettorale.
Sono convinta che anche questa violenza pubblica, questo uso del corpo della donna, proposto come qualcosa di assolutamente disponibile e saccheggiabile abbia contribuito in modo non irrilevante all'aumento degli stupri.
Dopodiché mi fermo. Guai utilizzare queste riflessioni per ridurre, banalizzare, appiattire le violenze contro le donne che vedono protagonisti molti immigrati.
Se la destra utilizza strumentalmente le vicende che hanno visto il coinvolgimento di immigrati per fomentare razzismo e misure repressive, la sinistra istituzionale utilizza maldestramente dati e statistiche sulla violenza contro le donne per sottolineare il fenomeno nel contesto italiano e alleggerire di fatto quanto avviene per responsabilità degli immigrati: un atteggiamento pericoloso, che adombra non solo una "falsa coscienza" ripetutamente dimostrata (si pensi solamente alla "giusta" missione in Libano), ma anche un atteggiamento razzista.
È inammissibile denunciare con enfasi le violenze di casa nostra e le ingerenze vaticane su sessualità e condotte di vita per poi tollerare benevolmente la feroce repressione e le violenze che si consumano ai danni delle donne di altri paesi. Badiamo bene a non confondere il rispetto delle altre culture con il razzismo.
Qualche anno fa il presidente della regione toscana propose di praticare negli ospedali pubblici una forma simbolica di mutilazione genitale per le bambine africane, in modo da ridurre il danno rispettando però la tradizione; si trattava di trafiggere il clitoride con uno "spillone" sterile invece che reciderlo: non un intervento sanitario necessario, ma ancora una tortura gratuita, igienica però, ideata all'insegna dello scambio culturale. Questa è la tolleranza.
Mi è stato comunicato che quest'anno in una mia classe sarà inserita una ragazza diciassettenne, incinta, con chador e mi è stato raccomandato di usare la massima cautela, favorire l'apprezzamento delle compagne verso il suo stile di vita, farle fare solo compiti scritti perché non parla in pubblico etc. È questo il rispetto culturale? Favorire la crescita individuale e l'autonomia di alcune e la segregazione di altre per rispettarne la cultura? Le risposte non sono semplici, perché le problematiche quotidiane del rapporto tra culture diverse sono complesse.
Ma la violenza , il dominio sui corpi, la discriminazione, la sopraffazione, la negazione della libertà e della vita chiedono una risposta sola ed inequivocabile, che non può certo essere affidata all'ennesimo moralismo rappresentato dalla tolleranza, bensì dalla concreta pratica della solidarietà. La solidarietà e l'internazionalismo devono essere ripresi, rilanciati e praticati per consentire la liberazione e l'autodeterminazione di tutte le sfruttate e gli sfruttati del mondo.

Patrizia

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