Umanità Nova, n 28 del 17 settembre 2006, anno 86

Messico incandescente
Resistenza e ribellione popolare tra repressione e truffe elettorali


C'erano due candidati da tempo favoriti per la poltrona di presidente. Uno è Felipe Calderón del PAN (Partido Acción Nacional), di destra. L'altro è Andrés Manuel López Obrador (AMLO) del PRD (Partido de la Revolución Democrática), "centro-sinistra". C'è un'istituzione-arbitro: il Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federación (Trife). Il Trife ha deciso la scorsa settimana - dopo un paio di mesi dalle elezioni del 2 luglio scorso - che il nuovo presidente del Messico sarà Felipe Calderón. La decisione del tribunale è il risultato del riconteggio dei voti delle elezioni nel 9% dei seggi totali - il ricorso presentato da AMLO dopo i primi risultati ufficiali, che davano la vittoria a Calderón grazie ad uno 0,58% in più, chiedeva di riesaminare tutti i voti, uno per uno.
Delle elezioni di luglio era responsabile l'Instituto Federal Electoral (IFE) che non comprendeva alcun rappresentante del PRD e stava sotto il controllo diretto del presidente uscente Vicente Fox. Come Calderón, Fox è del PAN. Il software utilizzato per il conteggio preliminare dei voti era stato affidato ad una ditta di cui è proprietario Diego Zavala. Diego Zavala è il cognato di Calderón.
Secondo le centinaia di osservatori incaricati del monitoraggio, le elezioni di luglio erano ok. Tutto era stato regolare anche secondo José Salafranca, esponente del Partido Popular spagnolo di Aznar, che era a capo di una delegazione di osservatori dell'europarlamento. Tuttavia, proprio Salafranca è stato ripreso da Tobias Pfulger della commissione esteri UE, il quale ha condannato il silenzio degli osservatori di fronte agli evidenti brogli. Si parla di «migliaia di sezioni in cui le schede non corrispondevano al numero di votanti registrati, verbali riassuntivi con dati palesemente falsi, schede che non presentano le piegature indispensabili per essere introdotte nelle urne, pacchi aperti e manomessi, sezioni in cui una parte degli scrutatori designati sono stati sostituiti all'ultimo minuto» e «più di venti video che mostrano aperte manomissioni dei plichi elettorali da parte degli scrutatori». Inoltre, da ricordare sono anche le «[m]igliaia di elettori che non hanno potuto votare per mancanza di schede o per  un'inspiegabile cancellazione dalle liste [..], milioni di voti spariti e poi improvvisamente ricomparsi - ma non tutti - proprio negli stati con una forte preferenza per Amlo». Come se non bastasse, «si sono moltiplicate le testimonianze che parlano di furti di urne, compra-vendita di voti, nomi tolti o aggiunti dalle liste elettorali, persone cui è stato impedito di votare». Infine, si deve aggiungere che «un nutrito gruppo di studiosi dell'università nazionale (UNAM) ha denunciato l'incoerenza matematica tanto dei risultati preliminari come di quelli definitivi presentati dall'IFE», e che «secondo la denuncia presentata al Tribunale Elettorale […] in 70.000 dei 133.000 seggi si sono verificate delle irregolarità».
López Obrador e i suoi non hanno perso tempo: già sabato 8 luglio, in piazza della Costituzione a Città del Messico, circa 500.000 persone si sono presentate alla prima "assemblea informativa" convocata da AMLO contro il «colpo di stato». Un milione e mezzo hanno partecipato alla seconda assemblea domenica 16 luglio. Infine, più di due milioni sono scesi in piazza domenica 30 luglio per la terza assemblea. Già la seconda era stata «la manifestazione politica più grande della storia del Messico». Un precedente c'era stato nell'aprile dello scorso anno, quando 300.000 persone si riversarono nello Zocalo della capitale per protestare con il "desafuero", il tentativo - messo in atto dal presidente Fox, PAN e PRI (Partido Revolucionario Institucional) - di togliere ad AMLO l'immunità di cui godeva in quanto sindaco di Città del Messico per estrometterlo attraverso vie "legali" dalla corsa per la presidenza.
Come si può immaginare, la campagna elettorale è stata molto aspra. Contro López Obrador si sono messi in moto i grandi poteri economico-finanziari e i monopolisti, i media (che in cambio hanno ricevuto ulteriori e rilevanti privilegi), l'amministrazione Bush e tutti coloro che tengono alla destra delle privatizzazioni infinite e dal pugno di ferro. Dal canto suo, AMLO (che Fox definisce «pericolo pubblico») non è una belva della rivoluzione. Certo, il suo programma fa inorridire la destra, ma questo non è indice di radicalismo. Basti evidenziare che accanto, ad esempio, alle intenzioni di aumentare il salario minimo, frenare le privatizzazioni selvagge e applicare gli "Accordi di San Andrés" con l'EZLN, il candidato del PRD «[t]ace però su questioni importantissime come la problematica delle donne, il narcotraffico, la legislazione sulle biotecnologie che consente alle multinazionali di saccheggiare a volontà le risorse umane e naturali del paese», afferma che «rispetterà l'ordine macroeconomico internazionale, manterrà la disciplina finanziaria», e nel suo programma «neppure si esige di rinegoziare il NAFTA (North American Free Trade Agreement), il disastroso trattato di libero commercio tra Usa, Canada e Messico». AMLO stesso dichiara pubblicamente le sue intenzioni; e se ci si preoccupa di fargli sottolineare che se fosse presidente non danneggerebbe gli imprenditori, egli risponde chiaramente «No, non lo farei», precisando: «l'ho detto molte volte in piazza».
Più a sinistra e fuori dai palazzi, su impulso della "Sexta Declaración de la Selva Lacandona" dell'EZLN nel giugno 2005, si è intrecciato il tessuto sociale di base che è andato a costruire "la Otra Campaña" (l'Altra Campagna) che riunisce organizzazioni della sinistra non istituzionale, popolazioni indigene, Ong e altre organizzazioni e individui per dar vita ad un'alternativa di sinistra che venga, come non si stanca di ripetere il Subcomandante Marcos, "dal basso". Non un movimento che cerchi di conquistare il potere politico, bensì una rete di appoggio e di collegamento tra le svariate organizzazioni e movimenti di resistenza e ribellione popolare. Una realtà che, in opposizione al sistema politico istituzionale, dovrebbe essere il fondamento per nuove forme di autogestione sociale che si sostituiscano all'attuale sistema di governo in pesante stato crisi, con l'intenzione di fornire uno sbocco pacifico agli intensissimi conflitti sociali, evitando lo scontro aperto e la lotta armata - reazioni istituzionali permettendo. Come ormai è noto, il progetto della Otra Campaña ha attraversato il Messico con una apposita "carovana" partita il gennaio scorso, in parallelo e in opposizione alla campagna elettorale.
La Otra era passata, fermandosi, anche a San Salvador Atenco. Lì, nel maggio scorso, il presidente municipale di Texcoco, Nazario Gutiérrez Martínez del PRD, tradendo precedenti accordi, aveva dato ordine alla polizia di sgombrare i fioristi ambulanti dal mercato di Belisario Dominguez, terreno sul quale la multinazionale Wal Mart avrebbe intenzione di costruire un centro commerciale. Il violento attacco della polizia aveva causato una dura reazione dei lavoratori, della popolazione e dei militanti del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (FPDT, aderente alla Otra Campaña). I risultato degli scontri sono state l'uccisione di un ambulante di 14 anni, la morte cerebrale di uno studente, decine e decine di feriti (tra cui alcuni agenti di polizia, al cui contingente iniziale si erano poi aggiunti 600 uomini di rinforzo) e più di 200 arresti. Oltre ad essersi resa responsabile di pestaggi selvaggi e indiscriminati su centinaia di persone, la polizia ha violentato due studentesse di 19 e 22 anni e un'altra donna (come denuncia il Centro per i Diritti Umani Miguel Autgustín Pro Juárez) mentre veniva trasportata al carcere di Santiaguito. Anche altre giovani, secondo testimonianze raccolte dalla Commissione Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani, hanno subito abusi: detenute, sono state costrette a barattare la loro libertà con rapporti sessuali.
A dare un'idea dei conflitti sociali che attraversano il paese contribuisce anche ciò che sta accadendo ad Oaxaca. Dal 22 maggio scorso migliaia di insegnanti protestano per ottenere aumenti salariali, miglioramenti delle infrastrutture scolastiche e aiuti per gli studenti meno abbienti e gli studenti lavoratori. Il 14 giugno il presidio permanente tenuto nello Zocalo della città di Oaxaca da migliaia di insegnanti in sciopero è stato brutalmente attaccato dalla polizia. L'ordine era arrivato da Ulises Ruiz Ortiz, governatore di Oaxaca, che nel frattempo aveva sfruttato i media per mettere in atto una campagna diffamatoria. Lo sciopero degli insegnanti, con l'appoggio degli studenti e della popolazione, continua ancora oggi, tra omicidi, tentati omicidi, aggressioni e innumerevoli arresti, il tutto ad opera di polizia e sicari del governatore. Il 14 giugno, subito dopo la distruzione di Radio Plantón (strumento di informazione degli scioperanti), gli studenti hanno occupato Radio Universidad. Il primo di agosto, a seguito di una manifestazione di circa 3.000 donne oaxaqueñas ("La Marcha de las Cacerolas"), le manifestanti hanno chiesto senza successo uno spazio nelle trasmissioni di Canal 9. Data la risposta negativa, si è provveduto ad occupare la stessa sede di Canal 9 e la sua stazione radio. Il 21 di agosto, gli strumenti dell'emittente sono stati danneggiati dall'attacco dei pistoleros di Ruiz Ortz. Nello stesso giorno, i ribelli hanno occupato le sedi di altre 12 radio: una di queste è stata attaccata il giorno successivo, sempre da individui "non identificati" che hanno ucciso uno degli occupanti. Nel frattempo, si era costituita la "Asemblea Popular del Pueblo de Oaxaca" (APPO), che riunisce 360 organizzazioni, con lo scopo di ottenere la destituzione del governatore.
In questo contesto, proseguono le iniziative di resistenza civile delle migliaia di persone che, protestando contro la truffa elettorale, ancora occupano il centro di Città del Messico. La prossima importante mobilitazione è prevista per sabato 16 settembre, giorno in cui - contemporaneamente alla sfilata delle forze armate - si dovrebbe riunire una Convenzione Nazionale Democratica che comprenda «i rappresentanti delle organizzazioni popolari di tutto il paese». In tale occasione si dovrebbe decidere «se costituire un governo alternativo o un coordinamento di resistenza».

Silvestro

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