C'erano due candidati da tempo favoriti per la poltrona di presidente.
Uno è Felipe Calderón del PAN (Partido Acción
Nacional), di destra. L'altro è Andrés Manuel
López Obrador (AMLO) del PRD (Partido de la Revolución
Democrática), "centro-sinistra". C'è
un'istituzione-arbitro: il Tribunal Electoral del Poder Judicial de la
Federación (Trife). Il Trife ha deciso la scorsa settimana -
dopo un paio di mesi dalle elezioni del 2 luglio scorso - che il nuovo
presidente del Messico sarà Felipe Calderón. La decisione
del tribunale è il risultato del riconteggio dei voti delle
elezioni nel 9% dei seggi totali - il ricorso presentato da AMLO dopo i
primi risultati ufficiali, che davano la vittoria a Calderón
grazie ad uno 0,58% in più, chiedeva di riesaminare tutti i
voti, uno per uno.
Delle elezioni di luglio era responsabile l'Instituto Federal Electoral
(IFE) che non comprendeva alcun rappresentante del PRD e stava sotto il
controllo diretto del presidente uscente Vicente Fox. Come
Calderón, Fox è del PAN. Il software utilizzato per il
conteggio preliminare dei voti era stato affidato ad una ditta di cui
è proprietario Diego Zavala. Diego Zavala è il cognato di
Calderón.
Secondo le centinaia di osservatori incaricati del monitoraggio, le
elezioni di luglio erano ok. Tutto era stato regolare anche secondo
José Salafranca, esponente del Partido Popular spagnolo di
Aznar, che era a capo di una delegazione di osservatori
dell'europarlamento. Tuttavia, proprio Salafranca è stato
ripreso da Tobias Pfulger della commissione esteri UE, il quale ha
condannato il silenzio degli osservatori di fronte agli evidenti
brogli. Si parla di «migliaia di sezioni in cui le schede non
corrispondevano al numero di votanti registrati, verbali riassuntivi
con dati palesemente falsi, schede che non presentano le piegature
indispensabili per essere introdotte nelle urne, pacchi aperti e
manomessi, sezioni in cui una parte degli scrutatori designati sono
stati sostituiti all'ultimo minuto» e «più di venti
video che mostrano aperte manomissioni dei plichi elettorali da parte
degli scrutatori». Inoltre, da ricordare sono anche le
«[m]igliaia di elettori che non hanno potuto votare per mancanza
di schede o per un'inspiegabile cancellazione dalle liste [..],
milioni di voti spariti e poi improvvisamente ricomparsi - ma non tutti
- proprio negli stati con una forte preferenza per Amlo». Come se
non bastasse, «si sono moltiplicate le testimonianze che parlano
di furti di urne, compra-vendita di voti, nomi tolti o aggiunti dalle
liste elettorali, persone cui è stato impedito di votare».
Infine, si deve aggiungere che «un nutrito gruppo di studiosi
dell'università nazionale (UNAM) ha denunciato l'incoerenza
matematica tanto dei risultati preliminari come di quelli definitivi
presentati dall'IFE», e che «secondo la denuncia presentata
al Tribunale Elettorale […] in 70.000 dei 133.000 seggi si sono
verificate delle irregolarità».
López Obrador e i suoi non hanno perso tempo: già sabato
8 luglio, in piazza della Costituzione a Città del Messico,
circa 500.000 persone si sono presentate alla prima "assemblea
informativa" convocata da AMLO contro il «colpo di stato».
Un milione e mezzo hanno partecipato alla seconda assemblea domenica 16
luglio. Infine, più di due milioni sono scesi in piazza domenica
30 luglio per la terza assemblea. Già la seconda era stata
«la manifestazione politica più grande della storia del
Messico». Un precedente c'era stato nell'aprile dello scorso
anno, quando 300.000 persone si riversarono nello Zocalo della capitale
per protestare con il "desafuero", il tentativo - messo in atto dal
presidente Fox, PAN e PRI (Partido Revolucionario Institucional) - di
togliere ad AMLO l'immunità di cui godeva in quanto sindaco di
Città del Messico per estrometterlo attraverso vie "legali"
dalla corsa per la presidenza.
Come si può immaginare, la campagna elettorale è stata
molto aspra. Contro López Obrador si sono messi in moto i grandi
poteri economico-finanziari e i monopolisti, i media (che in cambio
hanno ricevuto ulteriori e rilevanti privilegi), l'amministrazione Bush
e tutti coloro che tengono alla destra delle privatizzazioni infinite e
dal pugno di ferro. Dal canto suo, AMLO (che Fox definisce
«pericolo pubblico») non è una belva della
rivoluzione. Certo, il suo programma fa inorridire la destra, ma questo
non è indice di radicalismo. Basti evidenziare che accanto, ad
esempio, alle intenzioni di aumentare il salario minimo, frenare le
privatizzazioni selvagge e applicare gli "Accordi di San Andrés"
con l'EZLN, il candidato del PRD «[t]ace però su questioni
importantissime come la problematica delle donne, il narcotraffico, la
legislazione sulle biotecnologie che consente alle multinazionali di
saccheggiare a volontà le risorse umane e naturali del
paese», afferma che «rispetterà l'ordine
macroeconomico internazionale, manterrà la disciplina
finanziaria», e nel suo programma «neppure si esige di
rinegoziare il NAFTA (North American Free Trade Agreement), il
disastroso trattato di libero commercio tra Usa, Canada e
Messico». AMLO stesso dichiara pubblicamente le sue intenzioni; e
se ci si preoccupa di fargli sottolineare che se fosse presidente non
danneggerebbe gli imprenditori, egli risponde chiaramente «No,
non lo farei», precisando: «l'ho detto molte volte in
piazza».
Più a sinistra e fuori dai palazzi, su impulso della "Sexta
Declaración de la Selva Lacandona" dell'EZLN nel giugno 2005, si
è intrecciato il tessuto sociale di base che è andato a
costruire "la Otra Campaña" (l'Altra Campagna) che riunisce
organizzazioni della sinistra non istituzionale, popolazioni indigene,
Ong e altre organizzazioni e individui per dar vita ad un'alternativa
di sinistra che venga, come non si stanca di ripetere il Subcomandante
Marcos, "dal basso". Non un movimento che cerchi di conquistare il
potere politico, bensì una rete di appoggio e di collegamento
tra le svariate organizzazioni e movimenti di resistenza e ribellione
popolare. Una realtà che, in opposizione al sistema politico
istituzionale, dovrebbe essere il fondamento per nuove forme di
autogestione sociale che si sostituiscano all'attuale sistema di
governo in pesante stato crisi, con l'intenzione di fornire uno sbocco
pacifico agli intensissimi conflitti sociali, evitando lo scontro
aperto e la lotta armata - reazioni istituzionali permettendo. Come
ormai è noto, il progetto della Otra Campaña ha
attraversato il Messico con una apposita "carovana" partita il gennaio
scorso, in parallelo e in opposizione alla campagna elettorale.
La Otra era passata, fermandosi, anche a San Salvador Atenco.
Lì, nel maggio scorso, il presidente municipale di Texcoco,
Nazario Gutiérrez Martínez del PRD, tradendo precedenti
accordi, aveva dato ordine alla polizia di sgombrare i fioristi
ambulanti dal mercato di Belisario Dominguez, terreno sul quale la
multinazionale Wal Mart avrebbe intenzione di costruire un centro
commerciale. Il violento attacco della polizia aveva causato una dura
reazione dei lavoratori, della popolazione e dei militanti del Frente
de Pueblos en Defensa de la Tierra (FPDT, aderente alla Otra
Campaña). I risultato degli scontri sono state l'uccisione di un
ambulante di 14 anni, la morte cerebrale di uno studente, decine e
decine di feriti (tra cui alcuni agenti di polizia, al cui contingente
iniziale si erano poi aggiunti 600 uomini di rinforzo) e più di
200 arresti. Oltre ad essersi resa responsabile di pestaggi selvaggi e
indiscriminati su centinaia di persone, la polizia ha violentato due
studentesse di 19 e 22 anni e un'altra donna (come denuncia il Centro
per i Diritti Umani Miguel Autgustín Pro Juárez) mentre
veniva trasportata al carcere di Santiaguito. Anche altre giovani,
secondo testimonianze raccolte dalla Commissione Internazionale di
Osservazione per i Diritti Umani, hanno subito abusi: detenute, sono
state costrette a barattare la loro libertà con rapporti
sessuali.
A dare un'idea dei conflitti sociali che attraversano il paese
contribuisce anche ciò che sta accadendo ad Oaxaca. Dal 22
maggio scorso migliaia di insegnanti protestano per ottenere aumenti
salariali, miglioramenti delle infrastrutture scolastiche e aiuti per
gli studenti meno abbienti e gli studenti lavoratori. Il 14 giugno il
presidio permanente tenuto nello Zocalo della città di Oaxaca da
migliaia di insegnanti in sciopero è stato brutalmente attaccato
dalla polizia. L'ordine era arrivato da Ulises Ruiz Ortiz, governatore
di Oaxaca, che nel frattempo aveva sfruttato i media per mettere in
atto una campagna diffamatoria. Lo sciopero degli insegnanti, con
l'appoggio degli studenti e della popolazione, continua ancora oggi,
tra omicidi, tentati omicidi, aggressioni e innumerevoli arresti, il
tutto ad opera di polizia e sicari del governatore. Il 14 giugno,
subito dopo la distruzione di Radio Plantón (strumento di
informazione degli scioperanti), gli studenti hanno occupato Radio
Universidad. Il primo di agosto, a seguito di una manifestazione di
circa 3.000 donne oaxaqueñas ("La Marcha de las Cacerolas"), le
manifestanti hanno chiesto senza successo uno spazio nelle trasmissioni
di Canal 9. Data la risposta negativa, si è provveduto ad
occupare la stessa sede di Canal 9 e la sua stazione radio. Il 21 di
agosto, gli strumenti dell'emittente sono stati danneggiati
dall'attacco dei pistoleros di Ruiz Ortz. Nello stesso giorno, i
ribelli hanno occupato le sedi di altre 12 radio: una di queste
è stata attaccata il giorno successivo, sempre da individui "non
identificati" che hanno ucciso uno degli occupanti. Nel frattempo, si
era costituita la "Asemblea Popular del Pueblo de Oaxaca" (APPO), che
riunisce 360 organizzazioni, con lo scopo di ottenere la destituzione
del governatore.
In questo contesto, proseguono le iniziative di resistenza civile delle
migliaia di persone che, protestando contro la truffa elettorale,
ancora occupano il centro di Città del Messico. La prossima
importante mobilitazione è prevista per sabato 16 settembre,
giorno in cui - contemporaneamente alla sfilata delle forze armate - si
dovrebbe riunire una Convenzione Nazionale Democratica che comprenda
«i rappresentanti delle organizzazioni popolari di tutto il
paese». In tale occasione si dovrebbe decidere «se
costituire un governo alternativo o un coordinamento di
resistenza».
Silvestro