Umanità Nova, n 29 del 24 settembre 2006, anno 86

Sfruttamento selvaggio, abusi, omicidi: il Belpaese dei migranti
Braccianti e Schiavi

E due. Dopo il reportage sul CPT di Lampedusa, la nuova inchiesta estiva di Fabrizio Gatti per conto de "L'Espresso" ha fatto conoscere al grande pubblico la terrificante realtà degli immigrati sfruttati e schiavizzati nelle campagne del Sud, in particolare nella zona della Capitanata tra le province di Foggia e Bari.
Ancora una volta non ci resta che sottolineare come la comunicazione di massa sia in grado di raggiungere moltissime persone in pochissimo tempo con l'effetto di far considerare scoop ciò che è sempre stato denunciato pubblicamente da chi si occupa di immigrazione e combatte durissime battaglie quotidiane contro persecuzioni e abusi inflitti ai migranti. Sono anni che il movimento antirazzista punta il dito contro le condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere migliaia di immigrati che bagnano col loro sangue e il loro sudore le terre coltivate a pomodori, uva e viti: quindici, venti euro per una giornata lavorativa di quindici ore senza contratto e senza diritti.
Il lavoro agricolo in Italia si regge sempre di più su una massa enorme e indefinita di lavoratori immigrati alla mercé di italianissimi padroni senza scrupoli. Una situazione che non riguarda solo la Puglia ma anche la Sicilia, dove i lavoratori stagionali sono ormai quasi tutti stranieri (maghrebini, subsahariani ma anche rumeni e polacchi): da Cassibile ad Alcamo la dinamica è sempre la stessa: i caporali intercettano gli immigrati alle prime luci dell'alba, contrattano come in un moderno mercato degli schiavi, e li caricano sui furgoni per portarli nel luogo di lavoro. A volte se ne sbarazzano dopo averli (sotto)pagati, oppure li fanno sistemare in casolari e tuguri dalle condizioni igieniche disastrose pretendendo anche un canone di affitto detratto, ovviamente, dal già esiguo salario. Ma può anche succedere che questi lavoratori immigrati scompaiano letteralmente nel nulla, così come è successo a centinaia di braccianti polacchi in Puglia. Una sporca faccenda resa nota nei giorni scorsi dopo le denunce del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza che ha acceso i riflettori su una serie di "morti anomale" avvenute nelle campagne pugliesi sin dall'anno scorso. Dopo la pubblicazione del reportage, la redazione del giornale è stata tempestata di segnalazioni di persone che avevano vissuto esperienze terribili lavorando in Italia e che hanno offerto un quadro raccapricciante del traffico di esseri umani tra la Polonia e il nostro paese. E sembra che al momento siano ben 123 i cittadini polacchi di cui non si sa più nulla. A giudicare dalle numerose testimonianze raccolte, è assolutamente fondata l'ipotesi che molta gente sia stata ammazzata senza pietà per aver protestato contro le disumane condizioni di lavoro o semplicemente per motivi di vero e proprio terrorismo psicologico nei confronti degli sfruttati.
Le autorità italiane e polacche non hanno potuto fare a meno di affrontare la questione svegliandosi da un torpore assai sospetto con una intensificazione dei controlli e delle ispezioni nei poderi per contrastare il lavoro nero e perseguire i datori di lavoro. Ma è interessante rilevare come in provincia di Foggia i legami tra proprietari terrieri, mezzadri, mafiosi e forze dell'ordine siano solidissimi: dalle testimonianze di molti immigrati risulta che i carabinieri di Foggia che li hanno interrogati le prime volte avevano contatti con i gestori dei campi, oppure erano essi stessi proprietari delle terre in cui i polacchi erano sfruttati. Nel frattempo il governo italiano esprime il suo sconcerto, invia gli ispettori del lavoro e si nasconde dietro a un dito puntando a un non meglio precisato piano di rilancio dell'agricoltura nel Sud. Ma restano le incognite sui fondi europei da destinare ai progetti, le colpe di chi "non poteva non sapere" e le resistenze degli agricoltori.
Infatti, più di metà degli imprenditori agricoli della Capitanata, il triangolo d'oro del pomodoro rosso, recluta manodopera aggirando la legge. Il 15 per cento dei braccianti italiani non ha uno straccio di contratto e di garanzia e per gli stranieri la percentuale è ancora più alta: oltre il 25 per cento, un contadino ogni quattro.
Gli stranieri sono più vulnerabili e più esposti a pressioni rispetto ai braccianti italiani: accettano più facilmente un impiego senza alcun accordo scritto, senza contratto, senza tutele. Come se non bastasse, sta emergendo un fenomeno nuovo ed estremamente odioso: nella zona tra Barletta e Cerignola sono state segnalate una serie di aggressioni di cui sono vittime lavoratori immigrati, in particolare africani che vivono abitualmente tra Margherita di Savoia e Zapponeta. I picchiatori sono italiani. Il motivo, ancora una volta, i campi. Gli stagionali locali non vogliono che gli immigrati entrino nel business della vendemmia: in una giornata si guadagnano in media 42 euro, quasi esclusivamente a nero, ma gli africani offrono lo stesso servizio a meno della metà. E la guerra tra poveri è servita.
Le leggi razziste impediscono agli immigrati anche solo di esistere giuridicamente per tutelare i loro diritti, e le leggi sul lavoro spianano la strada allo sfruttamento schiavistico normalizzando la flessibilità e la precarietà. Questo mix criminale fa sì che oggi, in Italia, i lavoratori vengano ammazzati dai padroni per consolidare dominio e profitto, e che i lavoratori si ammazzino fra di loro per questioni di sopravvivenza. Perché la legge del mercato e della massima riduzione del costo del lavoro per affrontare la concorrenza globale portano proprio a questo: abbrutimento, morte, estinzione della solidarietà di classe. Per la gioia dei padroni, delle mafie e delle élite politiche che senza mafie e padroni non potrebbero perpetuare se stesse.

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