E due. Dopo il reportage sul CPT di Lampedusa, la nuova inchiesta
estiva di Fabrizio Gatti per conto de "L'Espresso" ha fatto conoscere
al grande pubblico la terrificante realtà degli immigrati
sfruttati e schiavizzati nelle campagne del Sud, in particolare nella
zona della Capitanata tra le province di Foggia e Bari.
Ancora una volta non ci resta che sottolineare come la comunicazione di
massa sia in grado di raggiungere moltissime persone in pochissimo
tempo con l'effetto di far considerare scoop ciò che
è sempre stato denunciato pubblicamente da chi si occupa di
immigrazione e combatte durissime battaglie quotidiane contro
persecuzioni e abusi inflitti ai migranti. Sono anni che il movimento
antirazzista punta il dito contro le condizioni disumane nelle quali
sono costretti a vivere migliaia di immigrati che bagnano col loro
sangue e il loro sudore le terre coltivate a pomodori, uva e viti:
quindici, venti euro per una giornata lavorativa di quindici ore senza
contratto e senza diritti.
Il lavoro agricolo in Italia si regge sempre di più su una
massa enorme e indefinita di lavoratori immigrati alla mercé
di italianissimi padroni senza scrupoli. Una situazione che non
riguarda solo la Puglia ma anche la Sicilia, dove i lavoratori
stagionali sono ormai quasi tutti stranieri (maghrebini, subsahariani
ma anche rumeni e polacchi): da Cassibile ad Alcamo la dinamica
è sempre la stessa: i caporali intercettano gli immigrati
alle prime luci dell'alba, contrattano come in un moderno mercato degli
schiavi, e li caricano sui furgoni per portarli nel luogo di lavoro. A
volte se ne sbarazzano dopo averli (sotto)pagati, oppure li fanno
sistemare in casolari e tuguri dalle condizioni igieniche disastrose
pretendendo anche un canone di affitto detratto, ovviamente, dal
già esiguo salario. Ma può anche succedere che
questi lavoratori immigrati scompaiano letteralmente nel nulla,
così come è successo a centinaia di braccianti
polacchi in Puglia. Una sporca faccenda resa nota nei giorni scorsi
dopo le denunce del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza che ha acceso i
riflettori su una serie di "morti anomale" avvenute nelle campagne
pugliesi sin dall'anno scorso. Dopo la pubblicazione del reportage, la
redazione del giornale è stata tempestata di segnalazioni di
persone che avevano vissuto esperienze terribili lavorando in Italia e
che hanno offerto un quadro raccapricciante del traffico di esseri
umani tra la Polonia e il nostro paese. E sembra che al momento siano
ben 123 i cittadini polacchi di cui non si sa più nulla. A
giudicare dalle numerose testimonianze raccolte, è
assolutamente fondata l'ipotesi che molta gente sia stata ammazzata
senza pietà per aver protestato contro le disumane
condizioni di lavoro o semplicemente per motivi di vero e proprio
terrorismo psicologico nei confronti degli sfruttati.
Le autorità italiane e polacche non hanno potuto fare a meno
di affrontare la questione svegliandosi da un torpore assai sospetto
con una intensificazione dei controlli e delle ispezioni nei poderi per
contrastare il lavoro nero e perseguire i datori di lavoro. Ma
è interessante rilevare come in provincia di Foggia i legami
tra proprietari terrieri, mezzadri, mafiosi e forze dell'ordine siano
solidissimi: dalle testimonianze di molti immigrati risulta che i
carabinieri di Foggia che li hanno interrogati le prime volte avevano
contatti con i gestori dei campi, oppure erano essi stessi proprietari
delle terre in cui i polacchi erano sfruttati. Nel frattempo il governo
italiano esprime il suo sconcerto, invia gli ispettori del lavoro e si
nasconde dietro a un dito puntando a un non meglio precisato piano di
rilancio dell'agricoltura nel Sud. Ma restano le incognite sui fondi
europei da destinare ai progetti, le colpe di chi "non poteva non
sapere" e le resistenze degli agricoltori.
Infatti, più di metà degli imprenditori agricoli
della Capitanata, il triangolo d'oro del pomodoro rosso, recluta
manodopera aggirando la legge. Il 15 per cento dei braccianti italiani
non ha uno straccio di contratto e di garanzia e per gli stranieri la
percentuale è ancora più alta: oltre il 25 per
cento, un contadino ogni quattro.
Gli stranieri sono più vulnerabili e più esposti
a pressioni rispetto ai braccianti italiani: accettano più
facilmente un impiego senza alcun accordo scritto, senza contratto,
senza tutele. Come se non bastasse, sta emergendo un fenomeno nuovo ed
estremamente odioso: nella zona tra Barletta e Cerignola sono state
segnalate una serie di aggressioni di cui sono vittime lavoratori
immigrati, in particolare africani che vivono abitualmente tra
Margherita di Savoia e Zapponeta. I picchiatori sono italiani. Il
motivo, ancora una volta, i campi. Gli stagionali locali non vogliono
che gli immigrati entrino nel business della vendemmia: in una giornata
si guadagnano in media 42 euro, quasi esclusivamente a nero, ma gli
africani offrono lo stesso servizio a meno della metà. E la
guerra tra poveri è servita.
Le leggi razziste impediscono agli immigrati anche solo di esistere
giuridicamente per tutelare i loro diritti, e le leggi sul lavoro
spianano la strada allo sfruttamento schiavistico normalizzando la
flessibilità e la precarietà. Questo mix
criminale fa sì che oggi, in Italia, i lavoratori vengano
ammazzati dai padroni per consolidare dominio e profitto, e che i
lavoratori si ammazzino fra di loro per questioni di sopravvivenza.
Perché la legge del mercato e della massima riduzione del
costo del lavoro per affrontare la concorrenza globale portano proprio
a questo: abbrutimento, morte, estinzione della solidarietà
di classe. Per la gioia dei padroni, delle mafie e delle
élite politiche che senza mafie e padroni non potrebbero
perpetuare se stesse.
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