Umanità Nova, n 29 del 24 settembre 2006, anno 86

Il Sisde e i No Tav
Sotto la lente delle spie

Sul n.3/2006 della rivista del SISDE, Gnosis – Rivista italiana di intelligence, compare un articolo dal titolo Il movimento e il no alla Tav – Alla scoperta della lotta dal basso. Abbiamo potuto leggere solo la versione online (www.sisde.it), ridotta, dell'articolo, ma è già possibile fare qualche considerazione.
Il testo analizza il rapporto tra movimento contro il Tav e i gruppi che vengono definiti dell'antagonismo radicale, autonomi ed anarchici. A tali gruppi viene attribuito un ruolo non indifferente nella partecipazione alla dura opposizione al progetto del Tav che ha avuto il suo picco nell'autunno-inverno 2005 con la battaglia del Seghino e la liberazione di Venaus, ruolo che sarebbe provato dall'alta percentuale di indagati per detti fatti appartenenti a queste aree.
L'interesse della lotta no Tav per l'antagonismo radicale starebbe soprattutto nella sua natura popolare (non legata a categorie particolari), l'avere un obiettivo limitato e definito, il carattere spontaneo e autorganizzato del movimento, pronto ad accettare anche di compiere azioni illegali (blocchi stradali, resistenza, ecc.).
Nel rifiuto della delega e della mediazione istituzionale starebbe la politicità intrinseca di un movimento che si dice apolitico, politicità intrinseca che avrebbe attirato autonomi ed anarchici i quali, orfani del movimento no global e del movimento no war, avrebbero deciso di svolgere un lavoro politico nel movimento no Tav, senza pretese di egemonia o di accelerazione della lotta, nella prospettiva di un passaggio dal locale al nazionale e dal resistenziale all'offensivo del conflitto tra movimento che preme dal basso e istituzioni che premono dall'alto. Per le caratteristiche locali della lotta no Tav, questa prospettiva sarebbe però velleitaria. L'azione dei gruppi autonomi e anarchici potrà solo al limite portare "nell'ambito di mobilitazioni fortemente sentite dalla popolazione, una progressiva legittimazione di modalità di lotta radicali".
L'articolo è interessante, come tutti testi, sia per quel che dice che per ciò che non dice. La difficoltà evidente per l'analista è proprio la natura del movimento no Tav, caratterizzata dal legame tra popolazione e territorio su di un'area per nulla insignificante: la quantità di popolazione interessata e la vastità del territorio (oltre alla sua posizione geografica, uno dei principali assi di collegamento tra Italia e Francia) nonché la qualità non mediata della protesta e la sua lunghezza nel tempo, hanno messo sotto scacco il tentativo di occupazione militare del territorio avvenuta nell'autunno 2005 finalizzato all'avvio dei lavori di sondaggio. La sconfitta politica dello stato e delle cosiddette forze dell'ordine è stata in quell'occasione evidente e clamorosa. E ciò che è emerso è proprio la politicità della vicenda no Tav, cioè il fatto che la posta in gioco è l'autodeterminazione o eterodeterminazione di un'area significativa di territorio e della sua popolazione.
L'analista deve poi prendere atto dell'interazione tra popolazione e quelli che definisce gruppi antagonisti. Non sfugge l'impossibilità per l'analista di giudicare estranei al movimento no Tav questi gruppi. Ed infatti a detti gruppi si attribuiscono solo un maggior numero di indagati per i fatti dell'autunno 2005. Come se non fosse sotto gli occhi di tutti che la procura della repubblica di Torino, vista l'impossibilità di procedere contemporaneamente contro un'intera popolazione e comunque contro migliaia di comuni cittadini che hanno agito a volto scoperto ha, del tutto politicamente, scelto chi indagare, tentando di dividere i buoni dai cattivi.
L'aporia che grava su tutto il testo consiste nell'impossibilità di dare ragione del fenomeno del movimento no Tav, una volta che se ne sono definite le caratteristiche (popolare, spontaneo, autogestito, disponibile all'illegalità di massa nel perseguimento dell'obiettivo datosi), nell'ottica dell'istituzione statale. Il problema non esplicitato dell'analista è: fallito l'uso della forza, se il movimento non si esaurisce spontaneamente, come può lo Stato raggiungere il suo obiettivo limitato e definito di far passare il Tav in Valle di Susa?
La questione non è l'esportabilità del modello no Tav fuori dalla Valle di Susa: la proposizione di un problema del genere è fuorviante e risponde a logiche stataliste, giacché è lo Stato ad aver mandato da fuori le sue truppe in Valle di Susa. E ha dovuto pure ritirarle. In un'ottica orizzontale non si esporta un bel niente: ogni movimento è in questo senso autoctono.
Chi ha un bel problema oggi è lo Stato. E l'articolo che abbiamo commentato ne è chiara testimonianza.

Marcione

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