Sul n.3/2006 della rivista del SISDE, Gnosis – Rivista
italiana di intelligence, compare un articolo dal titolo Il movimento e
il no alla Tav – Alla scoperta della lotta dal basso. Abbiamo
potuto leggere solo la versione online (www.sisde.it), ridotta,
dell'articolo, ma è già possibile fare qualche
considerazione.
Il testo analizza il rapporto tra movimento contro il Tav e i gruppi
che vengono definiti dell'antagonismo radicale, autonomi ed anarchici.
A tali gruppi viene attribuito un ruolo non indifferente nella
partecipazione alla dura opposizione al progetto del Tav che ha avuto
il suo picco nell'autunno-inverno 2005 con la battaglia del Seghino e
la liberazione di Venaus, ruolo che sarebbe provato dall'alta
percentuale di indagati per detti fatti appartenenti a queste aree.
L'interesse della lotta no Tav per l'antagonismo radicale starebbe
soprattutto nella sua natura popolare (non legata a categorie
particolari), l'avere un obiettivo limitato e definito, il carattere
spontaneo e autorganizzato del movimento, pronto ad accettare anche di
compiere azioni illegali (blocchi stradali, resistenza, ecc.).
Nel rifiuto della delega e della mediazione istituzionale starebbe la
politicità intrinseca di un movimento che si dice apolitico,
politicità intrinseca che avrebbe attirato autonomi ed anarchici
i quali, orfani del movimento no global e del movimento no war,
avrebbero deciso di svolgere un lavoro politico nel movimento no Tav,
senza pretese di egemonia o di accelerazione della lotta, nella
prospettiva di un passaggio dal locale al nazionale e dal resistenziale
all'offensivo del conflitto tra movimento che preme dal basso e
istituzioni che premono dall'alto. Per le caratteristiche locali della
lotta no Tav, questa prospettiva sarebbe però velleitaria.
L'azione dei gruppi autonomi e anarchici potrà solo al limite
portare "nell'ambito di mobilitazioni fortemente sentite dalla
popolazione, una progressiva legittimazione di modalità di lotta
radicali".
L'articolo è interessante, come tutti testi, sia per quel che
dice che per ciò che non dice. La difficoltà evidente per
l'analista è proprio la natura del movimento no Tav,
caratterizzata dal legame tra popolazione e territorio su di un'area
per nulla insignificante: la quantità di popolazione interessata
e la vastità del territorio (oltre alla sua posizione
geografica, uno dei principali assi di collegamento tra Italia e
Francia) nonché la qualità non mediata della protesta e
la sua lunghezza nel tempo, hanno messo sotto scacco il tentativo di
occupazione militare del territorio avvenuta nell'autunno 2005
finalizzato all'avvio dei lavori di sondaggio. La sconfitta politica
dello stato e delle cosiddette forze dell'ordine è stata in
quell'occasione evidente e clamorosa. E ciò che è emerso
è proprio la politicità della vicenda no Tav, cioè
il fatto che la posta in gioco è l'autodeterminazione o
eterodeterminazione di un'area significativa di territorio e della sua
popolazione.
L'analista deve poi prendere atto dell'interazione tra popolazione e
quelli che definisce gruppi antagonisti. Non sfugge
l'impossibilità per l'analista di giudicare estranei al
movimento no Tav questi gruppi. Ed infatti a detti gruppi si
attribuiscono solo un maggior numero di indagati per i fatti
dell'autunno 2005. Come se non fosse sotto gli occhi di tutti che la
procura della repubblica di Torino, vista l'impossibilità di
procedere contemporaneamente contro un'intera popolazione e comunque
contro migliaia di comuni cittadini che hanno agito a volto scoperto
ha, del tutto politicamente, scelto chi indagare, tentando di dividere
i buoni dai cattivi.
L'aporia che grava su tutto il testo consiste nell'impossibilità
di dare ragione del fenomeno del movimento no Tav, una volta che se ne
sono definite le caratteristiche (popolare, spontaneo, autogestito,
disponibile all'illegalità di massa nel perseguimento
dell'obiettivo datosi), nell'ottica dell'istituzione statale. Il
problema non esplicitato dell'analista è: fallito l'uso della
forza, se il movimento non si esaurisce spontaneamente, come può
lo Stato raggiungere il suo obiettivo limitato e definito di far
passare il Tav in Valle di Susa?
La questione non è l'esportabilità del modello no Tav
fuori dalla Valle di Susa: la proposizione di un problema del genere
è fuorviante e risponde a logiche stataliste, giacché
è lo Stato ad aver mandato da fuori le sue truppe in Valle di
Susa. E ha dovuto pure ritirarle. In un'ottica orizzontale non si
esporta un bel niente: ogni movimento è in questo senso
autoctono.
Chi ha un bel problema oggi è lo Stato. E l'articolo che abbiamo commentato ne è chiara testimonianza.
Marcione