Con il discorso all'Università di Regensburg Benedetto XVI ha
dato nuovo vigore al clima da crociata che attraversa le società
cristiane e musulmane, sempre più emotivamente coinvolte dalla
forza persuasiva delle jihad che i clericali nostrani, come quelli
islamici, proclamano dai media e nelle piazze.
Nel giro di pochi anni abbiamo visto rafforzarsi in maniera drammatica
il fondamentalismo musulmano, ma nello stesso tempo il cristianesimo
evangelico (ben saldo al governo degli USA) si è reso
responsabile di una politica di espropriazione e guerra a danno dei
popoli arabi.
In un concitato effetto a spirale, i fondamentalismi cristiani e
musulmani si affrontano, si scontrano e si offrono l'un l'altro
"sragioni" per attizzare gli incendi che stanno minacciosamente
scotendo le nostre società.
Il clima che si respira è quello da guerra di religione, o
meglio, da scontro di civiltà e ciò che più
preoccupa è il fatto che i toni usati per descrivere i "nemici"
siano forti e chiari, non attenuati neanche più dal politically
correct che sembrava fosse diventato lo slang preferito dai poteri
dominanti.
Il discorso di Ratzinger, dunque, non arriva certo come un fulmine a
ciel sereno, perché eravamo già abituati ai deliri
anti-musulmani di Badget-Bozzo o del Cardinal Biffi. Sapevamo, quindi,
che anche nella chiesa cattolica le tendenza più retrive (e
maggioritarie), di cui Benedetto XVI è espressione, avevano da
tempo scelto la linea della crociata anti-islamica.
L'intervento del Papa non può, allora, essere interpretato come
gaffe, né si possono accusare i musulmani di aver frainteso.
Siamo in pieno scontro militare e culturale e la posta in gioco sembra
essere diventata la sopravvivenza dell'una e dell'altra cultura, mentre
la realtà vede il mondo occidentale schiacciare quello islamico
rafforzandone, nel contempo, l'anima più irrazionale.
l'escalation di violenza, quindi, avrebbe imposto una prudenza che il
nostro "monaco" contro-riformatore non sembra aver intenzione di usare.
Di fronte alle solite reazioni scomposte degli islamici, gli
occidentali gridano al fondamentalismo, mentre la santa sede (sempre
meno santa e sempre più stato belligerante) si arrampica sugli
specchi cercando di spiegare, a coloro che lanciano molotov contro le
chiese di Nablus, quanto il papa intendesse tendere la mano ai
musulmani.
In realtà le cose non stanno assolutamente così e
Benedetto XVI ha scritto e letto ciò che sempre si è
sforzato di dimostrare: il dio cristiano è dio di amore e
ragione, mentre gli altri "son nessuno".
L'assoluta incapacità di riconoscere l'alterità è
parte essenziale delle dottrine religiose. Per chi non ne è
parte si preparano roghi, sia in terra che nell'al di là.
Sull'Osservatore Romano di oggi (lunedì 18 settembre 2006), il
nuovo segretario di stato, Tarcisio Bertone, dichiara quanto segue: "La
posizione del Papa sull'Islam è inequivocabilmente quella
espressa dal documento conciliare Nostra Aetate: "La Chiesa guarda con
stima i musulmani". Aggiunge poco dopo: "L'opzione del Papa in favore
del dialogo interreligioso e interculturale è altrettanto
inequivocabile".
Peccato che solo pochi giorni fa il pontefice si sia adoperato per
oscurare l'incontro interreligioso di Assisi, in cui risplendeva la sua
ostentata assenza, il significato della quale, in caso non lo si fosse
ben interpretato, sta tutto in un suo messaggio al vescovo della
città ospitante l'incontro, Domenico Sorrentino. In questo si
faceva presente, contro qualsiasi tentazione sincretistica che
l'incontro avrebbe potuto sollecitare, che lo spirito di Francesco
d'Assisi non può essere interpretato con le categorie laiche
dell'ecologia e del pacifismo, ma solo attraverso l'evento della sua
conversione a Gesù Cristo (mica a Maometto!).
Il discorso di Regenburg è costruito su un'idea forte e
chiaramente rimarcata: il dio dei cristiani è logos, cioè
è il dio della ragione, per cui non agire secondo ragione
è contrario alla volontà di dio. Al contrario, il dio dei
musulmani non è legato a nessuna delle categorie umane, è
assolutamente trascendente, ragion per cui un comportamento
irrazionale, come quello dettato dalla violenza, è assolutamente
conciliabile con questo dio. Il papa usa le parole dell'imperatore
Manuele II Paleologo, ma queste sono assolutamente in linea con lo
svolgersi della sua argomentazione. Addirittura, onde evitare la solita
e reiterata obiezione che vorrebbe dare del Corano esclusivamente una
lettura pacifista, il pontefice tiene a rimarcare sottilmente (quanto
è colto, quest'uomo) che: "Sicuramente l'imperatore sapeva che
nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede".
È una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era
ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore
conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate
nel Corano, circa la guerra santa".
Questo per dire: inutile che vi affanniate a negarlo, le parti buoniste
sono state vanificate e superate dalle successive sure sulla jihad.
Insomma, è evidente come, nonostante i distinguo e le scuse
della curia, le parole del papa siano assolutamente tese a "marcare la
differenza". Tra il cristianesimo e le altre religioni, tra il
cattolicesimo e la scienza, prossima vittima della "ragione" papale.
Questo marcare la differenza, mi sembra, stia caratterizzando l'azione
politica e pastorale del nuovo papa. Nelle cose della politica,
infatti, gli spostamenti degli equilibri in campo sono preparati da
cambiamenti di rotta che inizialmente possono non essere percepiti, ma
poi, una volta che un processo si è avviato, restano solo gli
idioti, o i servi della carta stampata, vaticanisti in primis, a far
finta di niente.
Paolo Iervese