La notizia non ha avuto molta eco nell'informazione nazionale, in
parte perché già anticipata nello scorso febbraio, ma
soprattutto perché politicamente inopportuna, visto che riguarda
l'incriminazione di tre militari del reggimento lagunari "Serenissima",
reparto allora operante in Iraq e attualmente impegnato nella missione
"di pace" sotto le bandiere dell'Onu in Libano.
Il 5 agosto 2004, nel corso di una delle ''battaglie dei ponti'' che si
susseguirono in quei mesi a Nassiriya, i tre militari spararono su
un'autoambulanza uccidendo 4 civili che si trovavano a bordo -tra cui
una donna che doveva partorire - e per questo sono stati messi sotto
accusa per il reato, previsto dal codice militare di guerra, di uso
aggravato delle armi contro ambulanze e contro il personale addetto in
soccorso.
Il rinvio a giudizio, disposto dalla Procura militare di Roma, era in
qualche modo un atto dovuto, dopo l'apertura dell'inchiesta relativa a
tale strage, divenuta di dominio pubblico dopo le rivelazioni del
giornalista statunitense Micah Garen, il cui resoconto aveva già
portato davanti ai magistrati, lo scorso 25 gennaio, il caporal
maggiore Raffaele Allocca che allora si era difeso spiegando, come da
manuale, che aveva sparato sull'autoambulanza perché così
gli era stato ordinato dal maresciallo Fabio Stival. Oltre a questi due
militari un terzo, le cui identità risulta coperta, risulta ora
indiziato.
Facile immaginare le argomentazioni della difesa: si trattò di
un'azione di guerra a seguito di un attacco contro i militari italiani,
nel corso del quale "i nostri ragazzi" spararono qualcosa come 42.601
colpi di ogni calibro. D'altra parte, lo stesso caporal maggiore
ricevette persino un encomio per il suo comportamento in battaglia.
Altrettanto prevedibile la sentenza, dato che neanche in Italia, in
tempo di pace, nessun uomo in uniforme risulta a tutt'oggi condannato
per eccesso di difesa.
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