La partecipazione, peraltro applaudita, di Fausto Bertinotti,
presidente della camera dei deputati alla Festa nazionale di Azione
Giovani, l'organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, appare a
tutti gli effetti l'ultimo atto del processo di legittimazione di un
partito "postfascista" come A.N. che mantiene nel proprio simbolo e
nella sua dirigenza l'eredità di un passato mai passato.
Ed oltre alla presenza del leader di Rifondazione Comunista, va
segnalata nell'ambito della stessa festa tricolore anche quella del
presidente dell'Arci Paolo Beni e della ministra Ds Livia Turco.
Ancora una volta la cosiddetta pregiudiziale antifascista della
repubblica nata dalla Resistenza è stata così annegata
nello spirito della cosiddetta pacificazione nazionale, dopo che questo
ha cancellato la memoria di una guerra civile e sociale prolungatasi
almeno dal 1919 al 1945, accomunando i morti dell'una e dell'altra
parte al fine di azzerare ogni divisione e responsabilità.
Molti sono stati quelli che hanno lavorato più o meno
scientemente in questa direzione, dalla fine della seconda guerra
mondiale ad oggi, seppur in diverso modo e a diverso livello ed anche
con diversa connotazione ideologica; basti pensare al cosiddetto
"revisionismo storico" all'italiana che in realtà iniziò
subito a modificare gli eventi connessi alla Resistenza affrettandosi a
stabilirne la data di nascita (8 settembre 1943) e, soprattutto, quella
di morte (25 aprile 1945).
Era infatti, per troppi, una pagina da chiudere quanto prima non solo sul passato, ma anche sul presente e sull'avvenire.
A far tornare inizialmente sulle scene della politica nazionale i
fascisti, nel conflittuale dopoguerra italiano, fu Palmiro Togliatti.
Di fatto, proprio il segretario del Partito Comunista Italiano che,
nella sua veste di ministro Guardasigilli della neonata repubblica,
pose la sua firma nel giugno '46 a quell'amnistia che assicurò
impunità e scarcerazione a circa 10 mila fascisti della
repubblica di Salò, compresi torturatori di partigiani e
fucilatori di civili inermi.
Le indagini avviate invece sui tanti eccidi compiuti in Italia dai
nazi-fascisti finirono invece sepolte negli "armadi della vergogna", da
dove soltanto da poco stanno riemergendo.
Non casualmente il Movimento Sociale Italiano nacque a pochi mesi dalla
generosa amnistia, nel dicembre dello stesso anno, raccogliendo nel
nuovo partito innumerevoli esponenti del passato regime, anche con
gravi responsabilità individuali, e una serie di formazioni
minori clandestine.
Giudici più che indulgenti, formati e legati ideologicamente
agli imputati, nel frattempo rimettevano in circolazione, tra il '46 e
il '47, il grosso dello stato maggiore fascista e repubblichino;
d'altra parte risultava evidente la continuità del ceto che
esercitava le funzioni repressive statali incaricate, si fa per dire,
di impedire il ritorno al passato: dei 369 prefetti soltanto 2 non
avevano fatto parte dell'ingranaggio fascista; dei 135 questori e 139
vicequestori soltanto 5 tra quest'ultimi avevano avuto rapporti con la
Resistenza; dei 1.642 commissari soltanto 34 avevano avuto dei contatti
con l'antifascismo.
Si trattava dello stesso apparato che continuava a schedare i
"sovversivi"; nel casellario del Ministero dell'Interno su 13.716
sorvegliati per ragioni politiche 12.491 risultavano di sinistra;
questi almeno i dati ufficiali, dato che l'attività di
schedatura e controllo era capillare, sistematica e larghissima.
La comparsa del MSI, fortemente avversata a livello popolare, fu quindi
possibile grazie a consistenti assensi e complicità politiche.
Innanzi tutto va sottolineato il beneplacito dei Liberatori, ossia
delle autorità politico-militari britanniche e statunitensi
già da tempo impegnate nell'arruolamento in chiave anticomunista
di innumerevoli dirigenti del nazismo e del fascismo; quindi non si
può tacere la connivenza sia dei vertici della Democrazia
Cristiana, in esecuzione delle volontà della Chiesa di Pio XII
apertamente favorevole ad una totale riabilitazione dei fascisti, che
quella della dirigenza del PCI, tutti interessati a favorire la
creazione di un'estrema destra politicamente ben individuabile,
isolabile e ricattabile, utilizzando a tal fine anche la minaccia di
scioglimento per "ricostituzione del partito fascista".
L'appoggio, anche finanziario, da parte delle gerarchie cattoliche a
favore dei fascisti ebbe come principali sostenitori la curia romana,
l'Azione Cattolica, l'organo dei Gesuiti La Civiltà Cattolica e
i Comitati civici di Luigi Gedda.
Ovviamente anche il padronato vide con favore tale riorganizzazione
antioperaia e anticomunista; lo stesso Enrico Mattei, ex-partigiano
bianco ed esponente di punta nel neocapitalismo italiano, avrebbe
paragonato i fascisti ad un taxi di cui servirsi, pagando,
finché potevano risultare utili per il mantenimento del comando
nelle fabbriche.
Ad entrambi i due maggiori partiti democratici, DC e PCI, non era
sicuramente estraneo l'intento di volersi sottrarre reciprocamente una
fetta considerevole di potenziali elettori fascisti che, senza un
partito, avrebbero potuto confluire nella Democrazia Cristiana in nome
dell'anticomunismo o nel Partito Comunista per ostilità verso la
democrazia borghese e l'occupazione Usa.
In tale ambiguo clima di pacificazione nazionale, nel gennaio del '47
il PCI giunse a promuovere manifestazioni pubbliche a Perugia e Roma,
con la partecipazione di Ezio Maria Gray, già ministro fascista
ed in seguito dirigente missino, a fianco di esponenti partigiani. Nel
1951, fu quindi lo stesso Togliatti ad intervenire presso le
autorità per consentire - contro la mobilitazione partigiana e
popolare - un comizio del segretario missino De Marsanich, già
sottosegretario agli Affari esteri ai tempi del duce.
La legittimazione istituzionale e l'accesso in Parlamento, furono presto debitamente ripagati dal MSI.
La prima occasione fu l'elezione del sindaco, democristiano, di Roma
nel '47, in cui i voti missini si rilevarono decisivi; negli anni
seguenti il MSI appoggiò i governi regionali in Sicilia e
Sardegna e le giunte comunali in mano alla DC in diverse città
del centro-sud.
Nel '52, vi fu l'allora clamoroso "abbraccio di Arcinazzo" tra il
dirigente democristiano Andreotti e Rodolfo Graziani, il
maresciallo-governatore responsabile delle stragi di libici ed ex-capo
dell'esercitò di Salò, appena scarcerato.
I voti missini risultarono ancora determinanti: nel '53 ci fu
l'astensione a favore del monocolore tecnico di Pella, ex
podestà fascista di Biella, che come capo del governo fu il
primo a trattare col sindacato filofascista CISNAL. Nel '57 il MSI
salvò il governo DC-PSDI-PRI guidato da Segni e, subito dopo,
condizionò pesantemente il governo monocolore DC Zoli; simili
favori furono ricompensati con l'autorizzazione del trasferimento a
Predappio dei resti di Mussolini. Nel '59 il MSI sorresse un altro
governo Segni e nel '60 si arrivò all'appoggio missino al
governo Tambroni, ferocemente repressivo e antioperaio, finché
non fu cacciato dalla rivolta popolare ormai dilagante da Genova a
tutta Italia. L'Osservatore Romano intanto approvava la collaborazione
democristiana con i fascisti sostenendo che questi erano in fondo dei
buoni cattolici.
In una sua circolare l'allora ministro della pubblica istruzione, il DC
Ermini, invitava i provveditori "a celebrare nel giorno 25 di aprile
l'anniversario della nascita di Guglielmo Marconi".
Interessante ricordare che tra i collaboratori di Tambroni e tra i
sostenitori di un governo autoritario vi era tale Giovanni Baget Bozzo,
allora a capo del gruppo "Ordine civile" e ancora oggi ben noto per le
sue posizioni di destra e per essersi pronunciato a favore
dell'abolizione del 25 aprile come Festa della Liberazione.
Nel maggio '62 il MSI non si lasciò sfuggire la
possibilità di fornire nuovamente il proprio decisivo contributo
alla elezione di Segni a presidente della repubblica.
Intanto finanziamenti al MSI, alla CISNAL e agli gruppi di estrema
destra affluivano copiosamente e senza mistero dal mondo
dell'imprenditoria, sia pubblica che privata.
Tutto questo, mentre ovunque in Italia gruppi fascisti di ogni risma
imperversavano con attentati, aggressioni e provocazioni collegate ad
una serie di trame eversive occulte miranti al colpo di stato, che
vedevano intersecarsi l'azione di settori fascisti, servizi segreti,
ambienti militari, poteri occulti e strutture segrete della Nato. Tali
piani, dopo alcuni tentativi di golpe più o meno credibili,
determineranno, come è risaputo, la cosiddetta strategia della
tensione e le stragi di stato degli anni Settanta.
Il "taxi" fascista era lanciato di corsa contro le lotte sociali,
pilotato da soggetti alle dirette dipendenze delle strutture repressive
statali impegnate ad impedire che il paese fosse "preda dei comunisti e
dell'anarchia".
I partiti di centro (DC, PSDI, PLI, PRI), nascondendosi dietro la tesi
degli opposti estremismi, si rendevano co-responsabili della
sistematica repressione dei movimenti collettivi di sinistra da parte
delle forze di polizia, mentre all'estrema destra era permesso tutto,
compresi gli assassini mirati e i massacri indiscriminati per seminare
terrore.
Nel dicembre del '70, ad esempio, il prefetto di Milano Libero Mazza
redigeva un rapporto sulla situazione locale dell'ordine pubblico
negando ogni pericolo da destra ed evidenziando la minaccia costituita
da 20 mila militanti dell'estrema sinistra. Due anni dopo, il questore
di Padova, Allitto Bonanno, stilava un analogo documento che
minimizzava le attività dei "ragazzi nazionali" e criminalizzava
la sinistra extraparlamentare.
Il potere politico, caratterizzato dall'egemonia della destra DC,
rivelava in questo periodo la più sfacciata connivenza con le
forze della reazione, nel marzo '71 ben 77 deputati democristiani
solidarizzavano con il movimento della "Maggioranza Silenziosa"
costituito da nostalgici fascisti, anticomunisti e squadristi abituali.
Nel sedicente Comitato di Resistenza Democratica, promosso dal noto
"golpista liberale" Edgardo Sogno, figuravano invece insieme a vari
fascisti, anche esponenti "moderati", come dirigenti del PLI e persino
Paolo Pillitteri allora segretario regionale socialdemocratico.
Il ruolo del PSDI, a partire dall'operato del presidente della
repubblica Saragat, era infatti improntato in tale periodo non solo
alla contrapposizione con il Partito Comunista, ma anche verso le lotte
operaie e i movimenti giovanili.
Nel dicembre del '71, i voti missini assicuravano l'elezione del democristiano Giovanni Leone alla presidenza della repubblica.
La campagna elettorale della primavera del '72, vedeva quindi
l'opposizione delle piazze antifasciste ai comizi del MSI, difesi dalla
Celere anche a costo di fare morti, come accadde a Pisa dove fu
assassinato l'anarchico Serantini, ma legittimati anche dai partiti
dell'arco parlamentare, PCI compreso, che non vollero fare propria la
volontà di tanti nuovi e vecchi partigiani.
La politica in particolare del PCI apparve allora del tutto
incomprensibile, anche a tanti propri aderenti, chiusa sia nei
confronti dell'antifascismo militante che verso la campagna
illusoriamente promossa da Lotta Continua per il "MSI FUORILEGGE". In
realtà tale politica del PCI rientrava perfettamente nella
logica della conquista dei voti moderati del ceto medio e nella
prospettiva dell'intesa governativa con la DC meglio conosciuta come
"compromesso storico".
Nel '74 al referendum per l'abrogazione della legge sul divorzio, scendeva in campo la santa alleanza DC-MSI.
Nell'aprile del '75, dopo l'ennesimo assassinio compiuto a Milano dai
fascisti, esplodeva la rabbia antifascista ed ancora una volta le forze
dell'ordine difesero le sedi del MSI e dell'estrema destra causando
morti e feriti tra i dimostranti, sia a Milano che nel resto d'Italia.
Per tutti gli anni Settanta, tra una strage e l'altra, il MSI avrebbe
continuato quindi a vivere ai margini della Democrazia Cristiana,
momentaneamente tenuto in disparte, mentre lo stesso capitalismo
italiano mostrava di preferire governi di centro-sinistra aperti
all'utile collaborazione del PCI.
Nel dicembre '76, nasceva Democrazia Nazionale, aggregazione
minoritaria fuoriuscita dal MSI su posizioni formalmente più
moderate e presentabili che per tre anni anticipò il percorso di
Alleanza Nazionale. Dietro tale operazione si parlò
dell'appoggio fornito da Andreotti e dal "venerabile" Licio Gelli della
Loggia P2, ma recentemente è emerso anche il sostegno
consistente in 10 milioni di Lire elargito da tale Silvio Berlusconi.
Per uscire dal limbo della politica, il MSI doveva attendere i primi anni Ottanta.
Nel 1982 il leader radicale Marco Pannella presenziava al congresso
nazionale missino; quindi nell'83, dopo l'uccisione di un attivista del
Fronte della Gioventù, il MSI ricevette una larga
solidarietà e nello stesso anno, Bettino Craxi, al momento delle
consultazioni per la formazione del suo governo, incontrò anche
i dirigenti missini. Fu infatti soprattutto il segretario del PSI che,
rinnegando origini e identità antifasciste, scelse in quel
periodo di riabilitare il partito con la fiamma tricolore, definendolo
nell'83 "un partito come tutti gli altri".
Lo sdoganamento missino segnò nell'84 un'ulteriore tappa:
rappresentanti della DC e del PLI parteciparono al congresso del MSI.
Nel 1985, mentre correvano i mitici anni del rampantismo, delle
tangenti e della proclamata morte delle ideologie, si giunse
così alla completa integrazione del fascismo parlamentare nel
panorama istituzionale.
Forte di questo clima, negli anni tra il '91 e il '94 il neofascismo
italiano viveva quindi una nuova stagione. Nel '93 Silvio Berlusconi
apriva una carta di credito a Fini, succeduto ad Almirante alla guida
del partito, sostenendone la candidatura a sindaco di Roma; Forza
Italia si alleava al MSI per le politiche nel Meridione (era dai tempi
del Partito Monarchico Popolare di Lauro che un partito non fascista
faceva una scelta simile), mentre i giornali scoprivano il volto
"nuovo" e per bene del neo-segretario, definito "un bravo ragazzo"
anche da Francesco Cossiga.
Nel '94 il MSI andava al governo, con ben cinque ministri, con Forza Italia e la Lega Nord.
Nel '95 a Fiuggi si teneva il Congresso della "svolta" in cui,
raccogliendo una manciata di ex-democristiani di destra, il MSI si
trasformò in Alleanza Nazionale. All'interno del partito che
conservava nella bandiera anche la fiamma tricolore ardente dal
catafalco del duce, non si registrarono grandi cambiamenti sostanziali,
ma fu sufficiente per il definitivo "sdoganamento". Non mancava il
plauso di monsignor Ruini, fautore dell'alleanza di centrodestra, e il
filosofo ex-DC Rocco Buttiglione ebbe a definire ormai i postfascisti
come "la destra democratica".
Così cadevano anche le ultime resistenze.
Per la prima volta i partiti di sinistra mandarono i loro
rappresentanti al congresso di un partito erede della Repubblica di
Salò; mentre si sprecavano i commenti positivi di
personalità non di destra: Vittorio Foa, Eugenio Scalfari, lo
storico liberale Denis Mack Smith, autore di un ponderoso saggio su
Mussolini...
Da parte sua, l'onorevole diessino Luciano Violante fin dal '94 aveva riabilitato in parlamento "i ragazzi di Salò".
Un suo compagno di partito andava anche oltre: nel '98 il sindaco del
PDS di Cattolica annuncia di voler ricollocare una targa rievocativa
della Marcia su Roma inaugurata sotto il regime nel '32.
Nessuno stupore quindi se in questi anni sia cercato di assicurare la
pensione ai repubblichini o togliere ogni residuo riferimento
antifascista nella Costituzione, come a suo tempo proposto da Marcello
Pera dall'alto della sua carica istituzionale. D'altra parte
nell'ottobre 2001 è stato lo stesso ex-presidente della
Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, ad equiparare partigiani e fascisti di
Salò, rendendo onore al "sentimento che animò molti dei
giovani che allora fecero scelte diverse e che lo fecero, credendo di
servire ugualmente l'onore della propria patria".
Nessuna meraviglia neppure se oggi Alleanza Nazionale, oltre a
raccogliere gli ex del MSI, si presenta come l'ultimo approdo dei
reduci di altre formazioni dell'estremismo fascista degli anni Settanta
e Ottanta (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, NAR, Terza
Posizione...), oppure se un partito che si proclama liberale come Forza
Italia alle ultime elezioni politiche ha stretto intese elettorali con
tutte le fiamme tricolori dell'estrema destra.
Siamo all'ultimo capitolo di un gioco iniziato già all'indomani della Liberazione.
D'altra parte, aldilà dei saluti romani e dei tetri labari
littori, il nucleo ideologico-culturale di base risulta immutato, come
provano in modo trasparente le recenti dichiarazioni di un dirigente di
Azione Giovani, tale Francesco Marascio: "Essere conservatori significa
sposare una visione del mondo tradizionale, cioè immune dalla
contaminazione ideologica iniziata con la rivoluzione francese alla
fine del 1700 (...) Volendo trovare uno slogan possiamo tranquillamente
riproporre il celebre Dio, patria e famiglia".
Archivio antifa
Fonti utilizzate:
Daniele Barbieri, Agenda nera. Trent'anni di neofascismo in Italia, Coines, Roma 1976;
Renzo Vanni, Trent'anni di regime bianco, Giardini, Pisa 1976;
Giorgio Bocca, Il filo nero, Mondadori, Milano 1995;
Roberto Chiarini, Destra italiana dall'Unità d'Italia a Alleanza Nazionale, Marsilio, Venezia 1995;
Mario Coglitore e Claudia Cernigoi, La memoria tradita. L'estrema
destra da Salò a Forza Nuova, Zero in Condotta, Milano 2002;
Antonio Tabucchi, L'oca al passo, Feltrinelli, Milano 2006.