Afganistan senza pace - Cronache di guerra 2001/2006 di Marco Rossi, 150 pagg., 8 euro, edizioni Zero in Condotta, Milano.
È appena uscito per le edizioni Zero in Condotta "Afganistan
senza pace - Cronache di guerra 2001/2006" la nuova fatica di Marco
Rossi. E posso proprio dirlo: un libro come questo non poteva uscire
nel momento più opportuno.
Di questi tempi, davvero cupi, diventa uno strumento importante per
diradare una cortina di fumo che sta rendendo invivibile un clima
politico e culturale già misero di suo. È innegabile che
l'onda corta dell'opposizione all'invasione e occupazione dell'Iraq,
dopo la flebile parentesi oceanica di Roma, si fosse arenata in un
attendismo elettorale tanto febbrile quanto paradossale dove il
pacifismo nella sua gran parte si faceva comodamente abbindolare dalla
maglie larghe del partitismo centrosinistro.
Sarebbe facile scodellare le tante previsioni che come anarchici
abbiamo ripetuto (a cominciare da Umanità Nova ma ovviamente
ovunque nelle piazze, negli scioperi o davanti alle strutture del
militarismo) dimostrando l'ovvietà di un'analisi spietata e
veritiera che solo un approccio antimilitarista e antiautoritario
consente di operare. Non farlo sarebbe comunque peggiore, perché
la consapevolezza d'essere troppo minoritari e scarsamente ascoltati
nel marasma pacifista ci conferma ogni giorno che tacere è un
lusso che non possiamo correre.
E che l'Afganistan non fosse un problema ma "il problema" l'avevamo
dichiarato in più frangenti a partire dall'ultima performance di
quello che è rimasto del movimento nowar in Italia del 18 marzo
scorso, quando l'appuntamento socialforumense europeo aveva chiesto
un'adesione ad un manifesto risoluto ma chiaramente monco: dalla
scaletta dei no, dei pro dei contro era sparito proprio l'Afganistan.
Una dimenticanza possibile? O come alcuni hanno tentato di spiegare
dovuta al fatto che "era già inclusa nella richiesta generica di
abbandonare tutti i teatri di guerra" qualche riga sotto? Via dall'Iraq
a lettere cubitali (disimpegno ribadito persino dal centrodestra)
mentre dall'Afganistan neppure dopo, solo neppure? Va bene passare per
malelingue ma per cretini proprio no. Mesi dopo, infatti, ed arriviamo
a poche settimane fa, un centrosinistra compatto (con la sola eccezione
di 4 voti alla camera e di una dimissione, peraltro rientrata) ha posto
la fiducia alla proroga della partecipazione italiana alla guerra in
Afganistan. Davvero troppo?
Ora l'Italia non solo insiste ma rilancia e qualche migliaio di soldati
stanno sbarcando in Libano sotto l'egida del "se" e del "ma" (l'ONU)
dopo l'attacco terroristico di Israele contro la popolazione di quei
territori. Basterebbe questo per comprendere quanto utile sia
diffondere questo lavoro di Marco. Un lavoro che parte da lontano
così come si dovrebbe fare quando si parla di un popolo e un
paese devastato da anni di guerra, di dittatura, tribalismo,
sfruttamento ma allo stesso tempo di un luogo foriero di culture e
storia.
Sappiamo bene come la memoria per l'occidente sia sempre più
"memoria dell'oggi" dove già quella di ieri o dell'altro ieri
è troppo lontana, poco utile o peggio scomoda.
Un modo di dire della guerriglia afgana (citato proprio nel libro come
incipit all'articolo "l'ignoto, l'incerto e l'inatteso") chiosa: "Gli
americani hanno gli orologi, noi dalla nostra parte abbiamo il tempo".
Ed è così che i media gestiscono le notizie nella
caoticità dell'informazione di guerra, usando le 24 ore, dove la
verità è sempre l'ultima e l'ultima parola spetta sempre
a chi stabilisce orari, scalette e palinsesti a partire dal più
imponente: quello del potere.
In tal senso l'impostazione del libro, suddiviso in cinque capitoli
(Antefatti, La guerra dopo la guerra, Una guerra stupefacente, Crimini
di guerra e Italiani a Kabul) va inteso: l'intenzione di ristabilire
una verità prima di tutto "cronologica" partendo da lontano per
arrivare a oggi, come si dovrebbe in fondo attenersi nello studio della
storia, di qualsiasi storia prima di varcare lassi di tempo, ipotesi di
collegamenti temporali o qualsivoglia approfondimento. Così
l'autore non fa che assemblare in modo coerente, dopo aver ristabilito
la memoria, tutti gli articoli apparsi su Uenne dall'esplodere di
Enduring freedom del 2001, settimana dopo settimana, fino alla recente
riconferma della guerra, pardon della "pace", anche da parte del
militarismo italico.
La cosa più importante di questa mole cronologica, ora
finalmente composta e accessibile immediatamente, consiste proprio
nella freddezza dei fatti riportati, nelle notizie costantemente
occultate dai telegiornali o alla meglio riposte in corsivi minori nei
quotidiani, piuttosto che reperibili nelle pubblicazioni e dispacci di
organizzazioni indipendenti. Oppure sovrapposte nel paradosso della
modernità mediatica che fa del surplus, della stratificazione la
sua maggiore arma per mistificare il senso, l'essenza di un fatto
nell'intesa di comunicare il necessario ai dominati, ovvero le bugie.
L'autore ci informa di tutto quello che è possibile sapere su
quanto accade in quei luoghi cercando allo stesso tempo di ricordarci
il passato (tutto il passato conoscibile) per farci comprendere meglio
il presente. Ma il libro non ci fornisce solo questo aiuto, consente
anche l'adozione di strumenti utili per affrontare con onestà il
da farsi; in uno scenario di occidentalizzazione ad ogni costo, nel
ladrocinio delle risorse energetiche e nelle mire espansionistiche, non
può bastare la vaghezza di un'istanza etica, una sfrontatezza
nonviolenta di un pacifismo che divide in buoni e cattivi appena
qualcuno alza la voce per poi scoprire che le deleghe arcobaleno hanno
trasformato in un mese provetti Ghandi in scafati strateghi delle armi
in pugno.
In ultima istanza non posso che augurarmi la massima diffusione e
pubblicizzazione di questo libro, approfittando il più possibile
di questi mesi ancora caldi di scelte governative guerrafondaie, di
tradimenti sinistri (in realtà annunciati) e di "silenzi
assordanti".
Stefano Raspa