Si apre il 2 ottobre a Torino il processo ai dieci antifascisti arrestati con l'accusa di devastazione e saccheggio (un reato punito con una pena che va dagli 8 ai 15 anni di carcere) in relazione ai fatti del 18 giugno 2005. Quel giorno era stata indetta una manifestazione di denuncia dell'accoltellamento di due occupanti del Barocchio squat da parte di una squadraccia fascista. Nella centralissima via Po la manifestazione era stata caricata dalla polizia. Irrilevanti i danni materiali, tanto fumo dei lacrimogeni, ma un'accusa pesantissima: devastazione e saccheggio. Quindi lunghi mesi fra carcere preventivo e arresti domiciliari e un processo che, appunto, si apre il 2 ottobre ed in cui non è in gioco solo la libertà degli imputati, ma la libertà di tutti. Infatti, quest'accusa draconiana è stata minacciata anche al movimento NO TAV per i fatti dell'8 dicembre 2005, quando il popolo della valle si è ripreso il prato di Venaus. Ma quest'accusa è stata usata anche contro gli antifascisti milanesi che l'11 marzo di quest'anno hanno cercato di impedire la parata della Fiamma Tricolore nel centro di Milano. Oltre quaranta gli arrestati, venticinque in custodia cautelare per oltre quattro mesi e diciotto condanne con rito abbreviato a quattro anni di galera il 19 luglio scorso. Il reato di devastazione e saccheggio ha dei contorni totalmente indefiniti e le procure lo vogliono addossare alla generalità dei partecipanti ad una manifestazione, solo che un vetro sia stato rotto o qualche sedia e tavolino rovesciato, qualche gelato sparito con una boccia delle mance: su questo si basa l'accusa nei confronti degli antifascisti torinesi, non è uno scherzo. I giudici e i politici non vedono le lame fasciste che continuano a colpire (ancora questa estate) e mandano a processo chi i fascisti detesta e combatte con i fatti e non a parole. A Torino, a Milano, dove la Resistenza è stata battaglia quotidiana e scelta di vita, qualcuno ancora non dimentica e continua a lottare.
Simone Bisacca